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Cop Rock: ecco perché non si fanno più crime musical

La serie TV del 1990 unisce il genere poliziesco a Broadway. E sarebbe stato meglio non farlo (anche se alcune clip sono imperdibili)

Negli ultimi anni abbiamo avuto diversi esempi di serie TV musical come Glee, Crazy-Ex Girlfriend e Galavant. Ogni tanto una serie TV trova un espediente narrativo per far cantare gli attori, da Scrubs fino The Flash. Ma nel nuovo millennio non ci sono mai state serie TV drammatiche in cui i protagonisti cantano il proprio dolore e si esibiscono in coreografie elaborate. Perché? Due parole: Cop Rock, il crime musical che guarderete perché curiosi, pentendovi un secondo dopo.

Cop Rock, il disastro più coraggioso mai andato in TV

Se guardate abbastanza serie TV (e chi non lo fa con tutti questi servizi streaming?), vi sarete accorti che l’originalità non è sempre il primo attributo che i produttori cercano nei nuovi progetti. Siamo in un’era dorata della TV, con prodotti splendidi e unici. Ma su dieci serie, nove si assomigliano. Per cui non possiamo che essere felici quando qualcosa di veramente nuovo e originale arriva sul piccolo schermo. Dalla comicità dei Simpson negli anni ’90 a quella di Fleabag più recentemente, passando per il fantasy del Trono di Spade. Un vento nuovo, imperdibile.

Quindi siamo certi che se fossimo stati dei telespettatori americani nel 1990, non ci saremmo mai persi l’episodio pilota di Cop Rock sull’ABC. Fu creata da Steven Bochco, che con Hill Street giorno e notte aveva dimostrato di saper girare episodi polizieschi di livello. E che aveva deciso di collaborare con Randy Newman (sì, quello della colonna di Toy Story, con due Oscar e cinque Grammy) e moltissimi altri musicisti per scrivere musica e testi del primo “crime musical” della storia.

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Con queste premesse, l’attenzione è alle stelle. Chi ama i musical non può mancare. Chi adora i polizieschi ha preso popcorn e un taccuino per risolvere il caso. E tutti gli altri accendono la TV, per quella forza irresistibile che ci impedisce di distogliere lo sguardo quando sta succedendo un disastro.

Abusi di potere in 4/4

La prima scena dell’episodio pilota ci porta subito nella realtà del LAPD, la polizia di Los Angels. O perlomeno la realtà filtrata dalla TV a cui siamo abituati, specie negli anni ’90. Poliziotti armati come in una guerra contro degli alieni ma senza giubbotto antiproiettile e caschetto. Una banda di malviventi che rappresentano tutti gli stereotipi razzisti che potete immaginare. Uno scontro a fuoco che dura abbastanza da farvi controllare l’ora due volte.

Ma a differenza di quanto avviene in un normale episodio di (inserite il nome di un poliziesco americano qualsiasi) vediamo anche la scena degli arresti. Perché la banda di criminali deve cantare “In the streets, we got the power“, un brano corale dal ritmo quasi interessante. Una buona canzone, anche se inquadrata senza dar risalto alla coreografia.

Seguono un po’ di interrogatori, con un agente che consiglia di smettere di malmenare i sospetti ma l’altro che ama troppo la giustizia per smettere di abusare del proprio potere. Ma arriva una trama tristemente rilevante anche oggi: un agente spara a un sospettato disarmato. Una storia che potrebbe diventare una moderna analisi sul tema della discriminazione. E che invece diventa uno dei migliori numeri musicali nella serie.

Il fattore ‘creepy’ incancellabile di Cop Rock

Nel video potete vedere quello che i musical sanno fare meglio di qualsiasi altra delle arti drammatiche: raccontare un tema forte in pochi minuti. Che sia la disperazione di un amante o il lutto per un personaggio che ci ha lasciato, le canzoni hanno la forza di oltrepassare la testa e arrivare al cuore. Ma per qualche ragione, le canzoni di Cop Rock ci lasciano sempre con un sopracciglio alzato. In parte crediamo sia colpa del production value. I due protagonisti della scena restano zitti e immobili per gran parte della canzone, con la telecamera che continua a inquadrarli. Quando invece una coreografia migliore o una regia più innovativa avrebbe potuto togliere un po’ l’imbarazzo dalla scena. Ma dall’altro lato crediamo sia anche colpa del fatto che persino un tema così socialmente rilevante non susciti praticamente nessuna reazione emotiva ai protagonisti.

Ma se le migliori canzoni lasciano un sopracciglio alzato, le peggiori lasciano proprio la bocca aperta. Come questa canzone (di un altro episodio) che racconta di un mercante di bambini. Abbiamo provato a consultare l’Accademia della Crusca per trovare parole per descriverlo ma non siamo stati fortunati. Dovete per forza guardarlo. E prometterci di non distogliere lo sguardo.

Fuori luogo?

Abbiamo pensato a lungo a perché fosse così imbarazzante assistere ad alcune delle esibizioni canore mentre guardavamo la serie. Abbiamo avuto parecchio tempo per chiedercelo, perché mentre non cantano la serie è davvero noiosa. Non è solo che l’argomento è spinoso da trattare e non invita a cantare. I musical sono sempre un po’ fuori luogo. Ci sono quelli che parlano di piante carnivore aliene, quelli che raccontano di barbieri assassini e quelli che ci mostrano un cantante lirico con mezzo volto coperto da una maschera ossessionato da una ragazza. Parlare del traffico di bambini non può essere davvero più imbarazzante.

Siamo arrivati a questa conclusione, che però resta solo un’ipotesi: quella canzone serve solo per inserire un numero musicale, non per raccontare la storia. Il trafficante di bambini è contento di cantare, i genitori sotto copertura sono a disagio più per il modo che a di ballare che per il fatto che stiano cercando di comprare un neonato. Il brano fuori dal tribunale funziona meglio perché ricrea l’atmosfera confusionaria dei giornalisti fuori da un’aula da tribunale. Ma anche in quel caso restiamo perplessi perché non sposta avanti la trama, non mostra le emozioni dei protagonisti. E una scena che descrive quello che è appena successo, invece di muovere la storia. Un bravo sceneggiatore la taglierebbe.

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Dopo Cop Rock, possiamo ancora di sperare di vedere i musical in TV?

Nelle serie comedy che abbiamo citato all’inizio, le canzoni sono un’espediente narrativo. Che sia per mostrare la Crazy Ex-Girlfriend che fa la maniaca del controllo prima di un appuntamento, che serva per mostrare due personaggi innamorarsi in Glee, in ogni caso le note e le voci servono a raccontare la storia. Ne fanno parte. Cop Rock invece sembra una serie poliziesca mediocre (anche se con qualche buono spunto) a cui hanno aggiunto le canzoni in un secondo momento.

Inoltre ignora una delle regole quasi imprescindibili del teatro dal vivo: anche le storie più drammatiche hanno bisogno di levità, di qualche battuta. Chi recita dal vivo non racconterebbe mai una storia con una sola emozione, così come non canterebbe una canzone con una sola nota (eccezion fatta per Elio e le Storie Tese). Cop Rock si sentiva tutta la pressione del mondo sulle spalle. Doveva innovare, doveva convincere. E ha finito per fare del melodramma con qualche momento esilarante, una serie che si guarda più per l’imbarazzo che la qualità. Ma crediamo che il problema sia nell’esecuzione, non nell’ambizione.

Per questo motivo la serie fu cancellata dopo soli 11 episodi, senza arrivare a finire la stagione (per usare un termine meneghino, non è arrivata a mangiare il panettone). Nonostante abbia comunque vinto due Emmy, per l’editing e per la sigla di Randy Newman.

Oggi la pressione sarebbe diversa. Non sarebbe uno show in prima serata su una delle tre reti principali degli Stati Uniti. Sarebbe una serie su un servizio in streaming. Una di quelle che possono passare inosservate se non piacciono e diventare cult immediatamente se invece appassionano. Noi siamo convinti che sia possibile vedere un prodotto simile fare successo. Tanto da sopportare la visione di Cop Rock per scrivere quest’articolo.

Nel frattempo però possiamo goderci i musical in uscita al cinema come In The Heights e più avanti Dear Evan Hansen, Wicked e West Side Story. E magari riguardare per la milionesima volta Hamilton. Incrociando le dita e sperando di vedere una serie drammatica musical nel prossimo futuro. Senza mercanti di bambini, possibilmente.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, Nerd da prima che andasse di moda.

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