Alla fine è successo. Era nell'aria già da anni, tra allusioni più o meno spudorate e una continua inquinatio bilaterale, ma ora è successo veramente. Lo storico crossover Simpsons/Griffin è finalmente arrivato e la realtà, come spesso succede, non ha niente a che vedere con il sogno che l'ha preceduta. Prima di lanciarci in considerazioni che potrebbero generare moti riottosi di consistente entità (piazzate di 10-20mila persone), ci sentiamo in dovere di precisare una cosa: “The Simpsons Guy” è un episodio – il primo – della 13a stagione dei Griffin, pertanto il crossover è stato interamente sceneggiato dal team di scrittori della serie. Questo elemento è la pietra angolare necessaria a chiunque voglia avventurarsi in una recensione di sorta, perché aiuta a porre il prodotto nella giusta prospettiva.
Quindi vi diciamo subito, fans dei Simpsons, che l'episodio vi farà storcere il naso, proprio perché qui dell'umorismo “culturale” dei nostri beniamini itterici c'è ben poco. Tutto l'episodio è una fiera degli eccessi triviali e politicamente scorretti de i Griffin, che sono gli indiscussi protagonisti dell'episodio. De i Simpsons abbiamo solo la cornice (Springfield) e qualche macchia di colore – giallo ovviamente – rappresentata da alcune delle gag più iconiche della serie (una fra tutte il salto della Gola di Springfield). Interessante, dal punto di vista critico, il prevedibile appaiamento tra i diversi membri delle due famiglie (Homer-Peter, Marge-Lois, Bart-Stewie, Lisa-Meg, Maggie-Chris, Piccolo aiutante di Babbo Natale-Brian), che ci offre l'occasione ideale per comprendere al meglio la natura derivativa dello show di Seth MacFarlane. Un inciso, giusto per evitare fraintendimenti. A noi I Griffin piacciono, e molto. Sono sporchi, brutti e cattivi, senza il minimo rispetto per la pubblica decenza e la comune moralità.
Diamine se ci piacciono. Ogni episodio include, spesso inconsapevolmente, rimandi al cinema Slapstick dei tempi andati, o alla standup comedy dissacrante degli anni '80 e '90, il tutto condito con qualche uscita parodica alla Mel Brooks. Affascinante. Eppure credo che nessuno di noi, alla vista del primo episodio dello show, abbia potuto evitare il paragone mentale con la famiglia più famosa della televisione mondiale (non i Jefferson). Magari con riflessioni di spessore del tipo: “Praticamente sono i Simpsons sotto metanfetamine”. Possiamo ragionevolmente affermare, al sicuro dal lungo braccio della fanbase, che i Griffin non sono altro che i Simpsons visti attraverso una lente deformante che ne va ad esaltare il lato grottesco. Peccato però che qui non stiamo parlando dei Simpsons delle prime 10 stagioni, vessillo della pop culture e potente strumento di critica sociale, ma di quelli “moderni” che, paradossalmente, si rifanno sempre più al modello deforme dell'imitatore. La derivazione della derivazione.
Fermi signori, forse abbiamo scoperto una forma di moto perpetuo concettuale. Vi siete mai chiesti perché sia Peter che Homer diventano sempre più stupidi (parliamo proprio di QI) di stagione in stagione? Se avete visto i quattro Keaton di Multiplicity (Mi sdoppio in 4) sapete già la risposta. Mai fare cloni di cloni. Questo è, tornando al crossover, il motivo principale del nostro dissenso. L'intero episodio un tornado di citazionismo da bar, stretto nel tourniquet della commercialità più sfacciata, senza la benché minima traccia di novità o – Odino ce ne scampi – di originalità. Tanto che sono gli stessi personaggi a dirlo, ammettendo che l'intera manovra altro non è che un esercizio di marketing, scherzando ovviamente. Ma anche noi scherziamo, ovviamente, perché non vogliamo certo essere gli uomini fumetto del caso, che indossano la maglietta “worst crossover ever” mentre sono impegnati a vomitare parole di veleno sulle pagine di chissà quale sito web.
Qui a Orgoglio Nerd siamo in grado riconoscere una pietra miliare della pop culture quando ne vediamo una. Sì, perché anche il plagiarismo più sfrenato, l'attraente ri-confezionamento del già visto, la banalità del supposto inedito, sono potenti elementi di critica nei confronti di una cultura popolare caciarona e iperconnessa, dove vecchio e nuovo sono distanti secondi, e tutto ciò che strappa una risata non è peccato. Le nostre perplessità, seppur sensate, perdono senso nel quadro più generale, dove persino i difetti evidenti di un prodotto del genere rappresentano, contestualmente, gioielli nella corona della pop culture. Zirconi in grado di sprigionare luminosi strali di critica nei confronti di quel deserto di creatività che alcuni chiamano “palinsesto”.
In conclusione, guardate il crossover “The Simpsons Guy”, vi divertirete molto. Dopo, però, soffermatevi un po' sulla vera (meta)ironia dell'episodio, quella dello scontato che critica il banale. Poche armi culturali eguagliano la potenza di una buona risata.
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