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Venom: The Last Dance è il peggiore capitolo della trilogia | Recensione

Un finale di trilogia che ridefinisce il concetto di low effort

Venom: The Last Dance è arrivato. Terzo capitolo di una trilogia partita con qualche perplessità, ma capace di sfidare apertamente la critica portando a casa un incasso record a fronte di recensioni che lo stroncavano. Un successo che ha fatto da base per continuare ad avanzare ciecamente, ignorando tutti i problemi e i risultati negativi, tanto da generare due spin-off (o presunti tali, vista la quasi totale assenza di collegamenti espliciti). E ora siamo qui, a parlare di Venom: The Last Dance in una recensione che, come si può intuire dal titolo, è una stroncatura senza un vero appello. Perché anche senza cercare per forza la reazione estrema, questo film è davvero difficile da salvare, con tutta la buona volontà.

Venom: The Last Dance si basa (poco) su una storia molto amata

Abbiamo lasciato Eddie Brock in Messico, in fuga dalla legge. Anzi, meglio, lo abbiamo lasciato in un altro Messico, quello del Marvel Cinematic Universe, trasportato lì dal pasticcio multiversale di Doctor Strange in Spider-Man: No Way Home. Ma è stato un viaggio breve e senza particolari conseguenze apparenti, se non un barista spaventato e un hangover di quelli tosti (ma forse questo è colpa della tequila).

Nel frattempo dall’altra parte dell’universo, su Klyntar, Knull il Dio dei Simbionti, creatore della razza di cui fa parte Venom, ha lanciato i suoi emissari in giro per il cosmo, alla ricerca della chiave che possa liberarlo dalla sua prigionia. Le conseguenze sarebbero tragiche, chiaramente. Si tratta di un’entità straordinariamente potente, nata al di là del cosmo stesso, e non va assolutamente liberata. Le basi per lo scontro quindi ci sono, la posta in gioco è il destino dell’universo. Riuscirà Venom a essere ancora una volta il Protettore Letale della Terra?

Facciamo una cosa: lasciamo da parte qualsiasi questione di fedeltà ai fumetti originali. Da una parte perché non è un parametro che funzioni davvero per valutare un’opera, con tantissimi esempi di modifiche al canone che hanno più che funzionato. Dall’altra perché un franchise su Venom senza Spider-Man ci dice fin dall’inizio che non possiamo aspettarci un’aderenza filologica all’originale.

Pur con queste concessioni (anche se continuiamo a chiederci chi abbia visto in Venom una figura che deve fare ridere) però questo film non si può salvare. È davvero un ciclo continuo di problemi, a partire da un pasticcio incredibile a livello di tono, affiancando comico e drammatico in maniera confusa, senza neanche voler giocare su questo contrasto.

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Ridefinire il concetto di low effort

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Una critica che chi vi scrive ha sempre portato avanti nei confronti di questo franchise nel suo insieme (comprendendo quindi anche gli “spin-off”) è come pur raccontandosi come un approccio nuovo ai cinecomic, scegliendo villain come protagonisti, non abbia fatto altro che usare le formule base senza aggiungere nulla. Addirittura era il titolo stesso della recensione di Madame Web. Qui però l’impressione è che si sia andati oltre.

Venom: The Last Dance è realizzato davvero senza il minimo impegno, basandosi su archetipi che sembrano presi dagli esempi di un manuale di sceneggiatura e senza alcun tentativo di integrarli fra loro. Viene davvero da chiedersi se e quanto sia stata pagata la sceneggiatrice Kelly Marcel (che qui eredita anche il ruolo di regista) perché sembra davvero un lavoro fatto in fretta, buttando sul foglio le prime idee che venivano e senza neanche una rilettura.

C’è un punto specifico di questo film che è particolarmente esemplificativo di ciò. Un momento in cui si è deciso di ricorrere a un deus ex machina talmente improbabile e ingiustificato da spezzare ogni possibile fiducia nel resto del film. E se ancora questo non bastasse, ci pensa la scena successiva. Se siete tra quelli che si sono lamentati per le sequenze musicali di Joker: Folie à Deux o anche semplicemente il tanto discusso cameo di Megan Thee Stallion in She-Hulk: Attorney at Law, preparatevi.

Ma in realtà tutto questo lo possiamo vedere fin dalla primissima scena. Un prologo in computer grafica, figlio dei peggiori action della fine degli anni ’90, che sembra più la cutscene di un videogioco (di quell’epoca) che l’apertura di un film del 2024.

Venom: The Last Dance è uno dei peggiori cinecomic di sempre

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L’unica vera concessione che si può fare a questo film riguarda il suo terzo atto. Il grande scontro finale richiede di “spegnere il cervello” come si suol dire, ignorando tutta una serie di obiezioni logiche, valutazioni sulla caratterizzazione dei personaggi, cambiamenti rispetto al materiale originale e addirittura contraddizioni con quanto precedentemente stabilito non solo nel franchise ma in questo stesso capitolo. Fatto ciò, possiamo goderci una sequenza piacevole, non straordinaria, ma quantomeno accettabile. Ovviamente però non è sufficiente a redimere il resto della pellicola.

Offre uno spettacolo indecoroso al pubblico, forzando insieme una serie di sottotrame non particolarmente originali, per arrivare a una conclusione straordinariamente abbozzata. Anche volendo chiudere un occhio (o entrambi) su aspetti come la fedeltà ai fumetti, la coerenza narrativa e la scelta di tono, non si può davvero salvare Venom: The Last Dance. Nemmeno l’adattamento italiano, che in alcuni punti fa delle scelte davvero poco ispirate.

Quello che auspichiamo è che questo franchise, che stando ai rumor dovrebbe proseguire anche oltre questa “ultima” danza, faccia una bella riflessione sul proprio futuro, giunto all’ennesimo capitolo pieno di problemi, che – forse sull’onda delle emozioni post-visione – siamo pronti a definire il peggiore finora. Ma questa speranza è la stessa che abbiamo espresso ai tempi di Madame Web e iniziamo ad avere qualche dubbio su quanto possa essere concreta.

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Autore

  • Mattia Chiappani

    Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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