Con Li Troviamo Solo Quando Sono Morti, Al Ewing e Simone Di Meo hanno creato un universo intero. Non solo, persino un pantheon di divinità imperscrutabili. Con una trama travolgente e disegni che tolgono continuamente il fiato. Ma con il volume 2, Li Troviamo Solo Quando Sono Morti cambia atmosfera, salta avanti di cinquant’anni, rinnova il cast di personaggi: in questa intervista, Simone Di Meo ci ha raccontato come evolve un universo narrativo. La tavola rotonda organizzata da Scuola Internazionale di Comics di Torino, dove Di Meo insegna, ci ha invogliato a rileggere il volume da capo. Apprezzando ancora di più sceneggiatura, regia, colore.
Intervista a Simone Di Meo, disegnatore di Li Troviamo Solo Quando Sono Morti
Scuola Internazionale di Comics di Torino ha già organizzato altre tavole rotonde con i suoi docenti, alcuni fra i migliori artisti italiani nel mondo dei fumetti. Da persone che amano il medium ma hanno smesso di disegnare alle medie, apprezziamo sempre la possibilità di capire il ‘come’ un fumettista riesce a farci emozionare. Il ragionamento dietro la pagina disegnata, che a noi sembra magia ma è frutto di lavoro e attenzione.
Ma Simone Di Meo lo avevamo già incontrato a Lucca per l’uscita del primo volume di Li Troviamo Solo Quando Sono Morti, edito in Italia da Edizioni BD. All’epoca eravamo rimasti colpiti da quella storia, che raccontava di un universo dove il viaggio spaziale porta alla scoperta di enormi divinità antropomorfe. Grandissimi e maestosi, sono però sempre e solamente senza vita. Ma il Capitano Georges Malik vuole trovarne uno in vita.
Evoluzione narrativa e artistica
Quel volume finiva con Malik trasfigurato. Da Achab, diventava Moby Dick: dopo un finale di volume di portate cosmiche, diventava egli stesso una divinità. Il nuove volume riprende la storia cinquant’anni dopo (il terzo farà un salto temporale simile). Quando la trasfigurazione di Malik ha creato nuove religioni, conflitti politici. E ha suscitato un piano per continuare la sua avventura anche decenni dopo.
Di Meo spiega a noi e ai colleghi connessi online che la differenza fra i blocchi di uscite non è solo temporale. Infatti “ogni nuovo volume cambiamo il ‘tipo’ di fantascienza. Se il primo rientra nel filone del sci-fi che si interroga sul divino e sull’esistenza, in questo volume ci sono scontri politici e sociali”.
E poi Di Meo ci racconta di aver voluto anche aggiornare la moda e i look dei personaggi, che sono (quasi) tutti diversi rispetto al primo volume. “Al non me lo avrebbe mai chiesto, già cambiare cast di personaggi è chiedere molto a un disegnatore. Ma ho voluto aggiornare di 50 anni anche moda e tecnologia, perché secondo me aiuta a immergersi in questo universo”.
In questo volume le divinità si vedono molto meno spesso, con la trama incentrata soprattutto su trame e tradimenti molto più umani. Se nel primo volume Di Meo concentrava la regia e il panelling per restare molto vicino ai personaggi, in modo che staccando sullo spazio le divinità fossero ancora più maestose, qui ha dato più spazio anche alle architetture di questo mondo. “Ho scelto un’architettura molto pulita, alla Star Trek. Soprattutto perché mi piace di più a livello grafico, senza una vera scelta narrativa.
Ma allargare la prospettiva sui personaggi gli ha anche permesso di trovare nuovi modi di inquadrare i personaggi. “Sono abituato ai fumetti di azione, mentre qui sono 250 pagine di gente che parla: non ho l’escamotage dei combattimenti, quindi devo diventare più creativo”.
L’uso del colore
Durante la nostra chiacchierata per il primo volume, Di Meo ci aveva spiegato che stava lavorando per evolvere il suo approccio al colore. Li Troviamo Solo Quando Sono Morti è il primo lavoro che colora interamente. “Nel primo volume ho messo nelle tavole tutto quello che mi sembrava fantascienza. Nel secondo invece ho preso il pacchetto del primo e gli ho dato più regolarità. Ho anche deciso di giocare sempre su due cromie, differenziando di più sfondo e personaggio rispetto quanto fatto in passato. La monocromia del primo era molto realistica, ma non aiutava la leggibilità. Con il doppio colore possono giocare meglio con il fuori fuoco”.
L’effetto si percepisce. Entrambi i volumi condividono un linguaggio fumettistico simile e hanno immagini mozzafiato: sono diversi da qualsiasi altro fumetti fantascientifico ci sia capitato di leggere. Tanto che anche in una tavola rotonda di Nerd voraci di fumetti non siamo riusciti a paragonare il lavoro di Di Meo a qualcun altro. Ma lo stacco fra i due volumi si percepisce (specie quando te lo fa notare il disegnatore!).
“Non è una scelta dell’editor, ma ho di certo seguito il feedback dei lettori che mi hanno detto che alcune scene risultavano poco chiare. Nel terzo sto alleggerendo ancora di più”. In questo volume il disegnatore ha usato il colore anche per sottolineare le diverse linee temporali, qualcosa che ci ha aiutato molto nella comprensione dei flashback. Ma pur usando il colore per rendere più semplice leggere il fumetto, non ha ridotto di una virgola l’impatto visivo maestoso del colore in questa storia.
Intervista a Simone Di Meo, Li Troviamo Solo Quando Sono Morti è un universo in evoluzione
Al Ewing e Simone Di Meo stanno creando un universo fantascientifico diverso da quello che vediamo di solito nei fumetti. E lo stanno facendo insieme. Simone Di Meo racconta che “La cicatrice sul volto di Malik l’ho disegnata semplicemente perché rendere il volto asimmetrico per me era più interessante visivamente. Ma con questo secondo volume, io e Al l’abbiamo integrata nella storia. Jason si infligge quella stessa cicatrice per dimostrare la propria fede. Tanto che il simbolo del Malakesimo [religione inventata in questo volume, ndr] è un cerchio con due barre laterali, per richiamare le cicatrici”.
Un universo nuovo nel mondo del fumetto, anche perché Simone Di Meo ci conferma in questa intervista che i riferimenti sono cinematografici, anche nei dettagli. “Ho ‘preso in prestito’ l’effetto del lens flare da JJ Abrams, che lo usa in tantissimi suoi film. Qui non c’è una telecamera, quindi non ha senso se non per creare il look visivo da film o serie sci-fi che volevo per questa storia. E mi aiuta perché spezza la monocromia nelle scene dove è più densa.
Inoltre ci spiega che: “Durante la preparazione delle tavole lavoro molto sui toni di grigio prima di dare il colore, perché di solito le grosse case editrici americane non mi lasciano anche colorare per una questione di tempi, quindi sono abituato così. Ma mi ha permesso di distinguere fra i campi di fuoco, creare blur e trattare la pagina del fumetto come se fosse un set e io stessi usando una videocamera”.
Creare divinità
Quando un collega fa notare a Di Meo che l’ultimo ad aver inventato un pantheon di divinità per un fumetto era un certo Jack Kirby, il disegnatore sorride ricordando come sono nate le divinità nel primo volume. “L’unica nota che Al mi aveva scritto nella sceneggiatura era ‘Sono degli dei enormi nello spazio’. Tutto qui”.
Di Meo ci spiega che Al Ewing non gli ha parlato di Kirby e lui non ha letto quelle cosmiche run Marvel fin dopo l’inizio di questa serie, per non usarle come reference. Invece ha usato il suo gusto per il mondo del manga, percepibile già dalla prima pagina del primo volume. E poi “mi sono detto che per me dovevano essere regali e mi sono chiesto che cosa significasse per me. La prima cosa che mi sono detto è che dovessero essere senza il sesso. Poi mi sono auto-imposto un canone: il colore della pelle e dei tatuaggi deve essere sempre lo stesso, i capelli lunghi, gli abiti/armature simili”.
Ha poi spiegato che “la texture cosmica, come se fossero trasparenti e inglobassero la galassia attorno a loro, arriva dal fatto che avevo da poco finito di lavorare al Solar Ranger nella run dei Power Ranger che stavo disegnando. Ma per Malik non ho voluto usarla perché lui prima era un uomo, volevo differenziarlo“.
Intervista a Simone Di Meo: i riferimenti, il lavoro, il futuro
Parlando di riferimenti, Simone Di Meo ci racconta che fa fatica a trovarne. “Non voglio fare quello originale, ma non lo so proprio chi sono i miei autori. Faccio una cosa nuova, quindi non riesco a trovare riferimenti, magari anche perché non ne conosco abbastanza. Ho invece cercato più nei film e nelle serie TV. Lo stile di JJ Abrams, la regia dinamica di Guy Ritchie“.
Che sarebbero gli unici registi a cui lascerebbe volentieri dirigere una serie o un film su questa storia, che però secondo lui potrebbe tranquillamente restare un fumetto.
Parlando del suo lavoro con Boom! Studios, che pubblica il volume in America, ci spiega che la casa editrice diventa proprietaria di metà dei diritti sul fumetto, quindi è più attiva nella promozione ma anche più esigente nel dare feedback. “Ho ricevuto quasi più richieste dal nostro editor che da Al, che invece si fida tantissimo. Non ho mai dovuto rifare tavole da capo, ma mi danno feedback sul lavoro”.
Ma quando invece parla del suo lavoro in DC, che per il suo prossimo futuro sarà il focus della carriera, spiega che dipende moltissimo dagli editor. “Di solito in America manca l’empatia, interessa solo quello che disegni. Ma il mio editor DC Ben è molto empatico e mi trovo davvero benissimo. E poi, per assurdo, in DC e Marvel un disegnatore può prendersi molte libertà entro certo limiti. Non ho mai fatto una correzione su una tavola con Batman”.
Li Troviamo Solo Quando Sono Morti Volume 2 è disponibile in libreria in Italia per Edizioni BD, ma in America entro la fine dell’anno dovrebbe iniziare l’uscita dei numeri che comporranno il terzo e ultimo volume. Noi non vediamo l’ora di scoprire come Ewing e Di Meo hanno fatto evolvere nuovamente questo universo e pantheon che hanno creato dal nulla. Se non avete ancora letto questi due fumetti, recuperateli: è una galassia spettacolare.
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