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Qual è il posto più lontano da qui?, una distopia così assurda che diventa reale | Recensione

Quando un mondo è davvero vivo e vissuto, non ha bisogno di spiegazioni. Le norme sociali si condividono da una generazione all’altra. Con qualche rottura, a volte, ma non tanto enorme da non comprendere più le regole del gioco. E se invece il mondo fosse abitato solo da ragazzini, organizzati in bande violente, come cambierebbero questo norme non scritte? Se a farle rispettare ci fossero terribili figure dal volto coperto, ignote e spietate, come cambierebbe la società? Matthew Rosenberg e Tyler Boss immaginano una distopia terribilmente originale in Qual è il posto più lontano da qui?, di cui abbiamo appena letto il secondo volume edito in Italia da Bao Publishing.

Una storia piena di personaggi capaci di diventare iconici in poche vignette. Ma la cosa che più colpisce è come, in ogni pagina, questo mondo assurdo ci sembra più vivo e vissuto del nostro. Come se Boss e Rosenberg avessero aperto una finestra su un universo post-apocalittico, e ci stessero solo raccontando quello che vedono.

La nostra recensione di Qual è il posto più lontano da qui?

Non sappiamo cosa sia successo. Boss e Rosenberg, come nel primo volume, non spendono nemmeno un secondo a spiegare l’Apocalisse o qualsiasi evento abbia creato questo mondo assurdo. Sappiamo solo che le rovine di una società simile alla nostra (negozi di dischi, case di riposo, banche) e le lande desolate fra un edificio e l’altro sono diventate il campo di battaglia per bande rivali di ragazzi. Nel mondo che abitano i ragazzi dell’Academy riconosciamo ancora qualcosa del nostro. Ma è come se dopo La Strada avessimo cominciato subito a leggere Il Signore delle Mosche e i due universi narrativi si fossero mischiati.

Personaggi indimenticabili, dialoghi eccellenti

Il primo volume parte introducendoci alcune delle fazioni e soprattutto l’evento scatenante della saga: la sedicenne Sid (che i suoi amici pensano sia malata ma noi lettori capiamo subito essere incinta) scompare. Prufrock vuole trovarla, anche perché pensa di sapere (per via dei suoi sogni su di lei) cosa Sid stia cercando. Oberon vuole recuperarla, perché si sente in colpa di averla lasciata di guardia da sola. E Alabama deve guidare il gruppo dell’Academy, a fianco della figura silenziosa ma temibile di Lafayette.

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Nel primo volume, abbiamo seguito i ragazzi dell’Academy fronteggiare le altre bande — ognuna più originale dell’altra: chi ha vestiti eleganti e maschere da maiali in banca, chi si veste da commesso al Market o da anziani alla casa di riposo. Nella loro ricerca di Sid ci hanno svelato questo mondo di ragazzini violenti e strani — e i loro “dei”. E ogni volta che abbiamo incontrato un personaggio, i dialoghi di Rosenberg e i disegni di Boss ce l’hanno immediatamente stampato nella memoria.

Il nuovo volume sfrutta questo talento dei due autori nel creare personaggi memorabili in maniera davvero intelligente. Vediamo infatti il punto di vista di Sid, sebbene le sue intenzioni non siano ancora del tutto chiare. E ci accorgiamo che alcuni dei personaggi che conoscevamo, in realtà, sono del tutto diversi. Alcuni “cattivi” rivelano il proprio lato umanitario, ma vediamo anche il gioco opposto. Soprattutto, capiamo che il mondo di Qual è il posto più lontano da qui? non ha villain e non ha eroi. Ha solo branchi di ragazzini che provano a sopravvivere. E una minaccia terribile che si nasconde nell’ombra.

Qual è il posto più lontano da qui? è un mondo da scoprire (ma non per forza da capire)

Che ci portino in mezzo ai boschi, in un supermercato o in un luna park, Boss & Rosenberg riescono a rendere spettacolari queste versioni distopiche di luoghi che conosciamo (anche grazie ai colori altamente scenografici di Roman Titov). Ma ciò che abbiamo amato di questi primi due volumi, più che la geografia, è la sociologia.

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Per quanto grottesche possano essere le azioni delle bande di ragazzini, sembrano perfettamente normali nel contesto della storia. Ogni stranezza — dal cibo assurdo che mangiano i ragazzi fino alle regole perverse dei loro giochi di guerra — non dà solo colore al mondo, gli dà forma. Perché ognuno di questi dettagli, all’inizio dissonanti, diventa parte della storia. Per esempio, in questo volume capiamo le regole dei ragazzi che vivono in mezzo ai boschi, anche se nessuno di loro apre la bocca per spiegarcele. E ci commuoviamo per gesti e simboli che, fino a poche pagine prima, non volevano dire niente per noi.

In altre parole, Boss e Rosenberg fanno uscire il mondo di Qual è il posto più lontano da qui? dalle pagine e ci circondano, facendo diventare l’assurdo reale. Anche se, dopo due volumi, abbiamo ancora un milione di domande irrisolte su come funziona questa distopia, ci sembra ormai di farne parte.

Un viaggio pericoloso, ma siamo in mani sicure

I personaggi, unici eppure sfaccettati, ci hanno spinto in questo mondo che ancora non capiamo del tutto, eppure ci appartiene. Dopo due volumi, Rosenberg e Boss ci hanno presi per la gola: stiamo già fremendo per il prossimo volume.

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Ci sono un paio di archi narrativi (specie quello che chiude il volume) che ci hanno lasciato in uno stato di agitazione che solo le migliori storie sanno creare. Ci sono un paio di cliffhanger che ci faranno controllare di continuo il catalogo Bao per capire quando uscirà il terzo. Ma soprattutto, ci sono misteri di questo mondo che vogliamo scoprire — e sentiamo che gli autori hanno la sicurezza di chi non delude.

Boss e Rosenberg hanno trattato il mondo post-apocalittico che hanno creato con la tranquillità di chi sa di avere una grande storia fra le mani. Stanno rivelando dettagli e segreti solo quando fanno effetto, e non vediamo l’ora di vedere dove stanno andando. Dopo tutti i posti, fisici ed emotivi, in cui ci hanno portato in questi volumi, ci chiediamo davvero cosa troveremo nel posto più lontano da qui.

Trovate entrambi i volumi di Qual è il posto più lontano da qui? sul sito di Bao Publishing.

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Autore

  • Stefano Regazzi

    Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, Nerd da prima che andasse di moda.

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