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Siamo davvero a “casa” sui nostri profili social?

Una riflessione postuma il caso META/SIAE, su quanto siamo davvero padroni dei nostri social e quanto, invece, siamo schiavi.

Il nostro profilo “social media” è davvero di nostra proprietà o forse abbiamo dimenticato che siamo “ospiti” di qualcun altro? Un “qualcuno” di cui abbiamo accettato regole di casa nello stesso momento in cui abbiamo creato un account sulla sua piattaforma.

Adesso so già che vi state chiedendo un po’ storditi esattamente dove voglio andare a parare e come mai questo “dubbio” esistenziale ad inizio settimana (come se fosse già abbastanza traumatico l’inizio di una nuova settimana). Avete ragione, mea culpa. Mi spiego subito!

META vs SIAE

META vs SIAE

Un paio di settimane fa, ci siamo svegliati con una “bella novità” che ha mandato completamente in tilt social media manager e strategist di qualsiasi tipo di azienda (si, anche della testata su cui state leggendo questo articolo), influencer, content creator e chi più ne ha più ne metta. Tutta la musica coperta da SIAE in Italia (e non solo quella italiana, come invece qualche “bravo” collega ha fatto intendere nella solita news sgrammaticata scritta in fretta e furia per conquistare una manciata di centesimi in più nella fattura di fine mese) ha fatto puff! Sparita nel nulla cosmico, o quasi. In poche parole, META non ha trovato un accordo con SIAE per i diritti musicali, finendo con l’essere costretta a togliere letteralmente dalla sera alla mattina, tutta la musica sotto copyright dalla piattaforma. E fin qui!

Il vero problema è che per i Reel di Instagram con audio registrato a parte, voice o parlato, se accompagnati da una traccia musicale, magari un brano per creare un po’ di mood o uno virale per far girare meglio il nostro video, nonostante META dia la possibilità di scegliere il volume, proprio perché deve essere solo un tappeto musicale, la traccia finale sarà una e una soltanto. Cosa vuol dire questo? Nel momento in cui viene cancellato quel brano, automaticamente verrà cancellata anche la vostra voce, rendendo così il vostro Reel completamente muto.

Si, qualcuno avrà portato gli occhi al cielo con tanto di esclamazione “first world’s problem”, ma per qualcun altro è davvero un problema. So bene che il lavoro digitale, soprattutto quello tramite piattaforme, in modo particolare in Italia (strano, eh!?), non è ancora legittimato, ma che piaccia o meno, che vi dia l’orticaria, è lavoro. Esattamente come qualsiasi altra tipologia di lavoro, solo in un ambito diverso. Se io, parlando proprio per Gabriella, che mi occupo di critica cinematografica e televisiva, e facciamo informazione sulla cultura pop, mi ritrovo l’80% dei miei video dove do consigli, novità, opinioni, faccio insomma il mio lavoro, mutati… Può essere giustificato quel “lieve” rodimento di fondoschiena, no?

Un po’ come se aveste preparato un bel progetto da mostrare il giorno dopo durante una presentazione, ma il vostro computer decide di svegliarsi in schermata blu e voi non potete farci proprio nulla. E il vostro lavoro? Per ora bruciato. Sì, per ora, perché siete anche ostaggio del vostro computer che potrebbe riprendersi o un tecnico potrebbe effettivamente recuperare i vostri dati, oppure no. Intanto il danno è fatto. La vostra presentazione bruciata e forse anche qualche possibilità in più.

Subentra la frustrazione ma, soprattutto, l’impotenza. E perché? Perché non potete farci assolutamente niente e vi rendete conto velocemente che voi, su quella data cosa, non avevate controllo. Adesso immaginate tutto questo con un profilo Instagram di una persona che con Instagram ci lavora, ci guadagna o che comunque va a supporto di un progetto più grande. Il vostro profilo, personale e/o professionale, che viene letteralmente violato e nessuno vi da un modo per potere sistemare la situazione in quanto l’audio solo voce non potete recuperarlo, ma al massimo mettere un’altra canzone… Ma senza le vostre parole, ci facciamo ben poco!

Consolatevi però, perché in qualsiasi altro Stato non italiano, il vostro video si sente! Yuppie yeah!

Ossessioni inconsapevoli

Social Media: quanto ne siamo dipendenti?

Ok, torniamo seri. Sappiamo tutti quanto ci si è lamentati di questa novità (in primis la sottoscritta), augurando magari tutti i mali del mondo a META, come se fosse esclusivamente un problema generato da META ma, soprattutto, come se a META fregasse qualcosa dell’Italia. Non per smontarvi l’utopia giovani, ma obiettivamente il mercato italiano è tipo l’unghia del mignolo degli utenti mondiali di META. Capite bene che il problema è esclusivamente nostro che dobbiamo prender… prendere il tram! Inoltre, questo non è solo un problema per chi usava la musica sotto i suoi video, ma anche di chi quella musica l’ha creata e spesso utilizza i social network come un buon modo per farsi conoscere e diffondere, finendo in un circolo vizioso di diritti, permessi e concessioni senza fine.

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Comunque, al di là della sfera lavorativa (che rende più grave il problema), chiunque si sarà sentito in un certo qual senso violato perché i suoi contenuti sono stati modificati senza il suo consenso. Chi? Come? Perché? Come diavolo vi siete permessi? Questo è il mio profilo, mio soltanto, e sono io a decidere cosa posso o non posso fare! Ma ne siamo davvero sicuri? Ed è qui che volevo arrivare, ricollegandomi proprio all’inizio del mio discorso.

Dopo essermi fatta prendere io stesso dal panico, dalla rabbia, dalla frustrazione con una buona dose di riepilogo dei santi dal calendario, mi sono un attimo fermata a pensare. Esattamente, con chi me la volevo prendere? Per quanto inconsapevole, il mio subconscio sapeva che stavo giocando a casa di qualcun’altra con delle regole non mio e che, in quel momento, battere i piedi a terra valeva ben poco, visto comunque il “torto” in quel tipo di situazione. Ma davvero sono così dipendente da social da pensare di esserne proprietaria e di avere una tale capacità di controllo? Eh si, Gabriella. Povera illusa!

Siamo davvero padroni dei nostri profili social?

La nostra ossessione per i social, il nostro esserne completamente dipendenti, ci ha fatto dimenticare che il nostro profilo Instagram o Facebook non è nostro. Al massimo è una casa in affitto. E cosa succede quando si è in affitto? Che possiamo abbellirla quanto vogliamo, nei limiti imposti dal padrone di casa, ma che dobbiamo anche rispettare delle regole che sottoscriviamo una volta che firmiamo il contratto. Non è casa nostra. È la casa di qualcun altro che ha deciso di affittarla; e i social non funzionano poi così diversamente.

Instagram, Facebook, Twitter o TikTok o qualsiasi altro social, non sono casa nostra e nel momento in cui noi creiamo un profilo, stiamo prendendo visione (e non lo fa nessuno) di un regolamento e sottoscrivendo un accordo. La nostra è solo una mera illusione di poter avere controllo e proprietà su quel profilo solo perché porta il nostro nome e i nostri contenuti, ma non è esattamente così.

I dati e le informazioni che condividiamo su di essi sono soggetti ai termini e alle condizioni della piattaforma. Ciò significa che la piattaforma potrebbe avere il diritto di utilizzare, distribuire e monetizzare il contenuto che condividiamo sulla sua piattaforma in conformità con le sue politiche. Inoltre, i nostri profili social potrebbero essere soggetti a determinate leggi e regolamenti, come le leggi sulla privacy dei dati e le leggi sulla proprietà intellettuale. Per esempio, quante volte vi sarà capitato l’avviso che un vostro contenuto ha subito delle restrizioni perché violava le leggi di un altro Paese e che quindi quel contenuto non sarebbe stato visionabile o ascoltabile lì? In quel caso, poco male. Se però succede nel vostro Paese, lì è un altro paio di maniche. E soprattutto se succede non perché voi ne siete consapevoli, perché certo se pubblicate violenza e nudità un po’ ve la siete andati a cercare, ma perché saltano degli accordi, e voi quindi dovete semplicemente subire passivamente vedendo “menomati” i vostri contenuti, le cose cominciano a prendere una dimensione completamente diversa.

In definitiva, sebbene pensiamo di avere il controllo su ciò che condividiamo sui nostri profili social, la proprietà dei contenuti e il controllo dei dati e dello stesso profilo, spoiler alert, non è così!

Cos’è la dipendenza dai social media?

L'ossessione dei social media

La dipendenza dai social media è un fenomeno che è diventato sempre più diffuso negli ultimi anni, interessando individui di ogni età e provenienza. Con l’ascesa di piattaforme di social media come Facebook, Instagram e Twitter, le persone trascorrono sempre più tempo online, spesso a scapito della loro salute mentale, delle relazioni e della produttività. Ovviamente da questo discorso dovrebbe essere escluso chi lavora con i social, ma anche in quel caso ci può essere una tendenza ad abusare o, comunque, ad essere dipendente ad un livello tale che un like in meno è un fallimento in più.

Di base parliamo di una dipendenza comportamentale caratterizzata da un uso eccessivo e compulsivo delle piattaforme dei social media. Le persone che sono dipendenti dai social media possono passare ore a scorrere i propri feed, pubblicare aggiornamenti, commentare i post di altre persone e controllare le notifiche. A volte senza neanche rendersene conto, quasi come se fosse un movimento involontario ma necessario, come il respirare. Possono sentire un costante bisogno di essere online, anche quando sono al lavoro, a scuola o in situazioni sociali.

Come altre dipendenze comportamentali, la dipendenza dai social media non è riconosciuta come diagnosi formale nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), ma è un problema riconosciuto nella comunità della salute mentale. Secondo un sondaggio del Pew Research Center, il 59% degli americani ritiene che i social media creino dipendenza.

Cosa causa la dipendenza dai social media?

La dipendenza dai social media è un problema complesso che può essere causato da una varietà di fattori, tra cui:

  • Rilascio di dopamina: le piattaforme di social media sono progettate per innescare il rilascio di dopamina nel cervello, che crea una piacevole sensazione che incoraggia gli utenti a continuare a utilizzare la piattaforma. Ogni volta che riceviamo un like, un commento o una notifica, il nostro cervello rilascia dopamina, che crea una temporanea sensazione di piacere e ci incoraggia a continuare a utilizzare la piattaforma.
  • FOMO (Fear of Missing Out): la dipendenza dai social media può essere alimentata dalla paura di perdere informazioni o eventi importanti. Gli utenti potrebbero sentirsi obbligati a controllare costantemente i propri feed per rimanere aggiornati sulle ultime notizie e tendenze e potrebbero provare ansia se non sono in grado di accedere alla piattaforma. Da questo deriva anche la “necessità” di dire la propria su tutto, anche quando non abbiamo obiettivamente gli strumenti per apportare qualcosa di nuovo o costruttivo al dibattito; eppure, restare escluso dalla “conversazione” non può essere contemplato. Bisogna salire sul carrozzone!
  • Bassa autostima: le persone con bassa autostima possono rivolgersi ai social media come un modo per cercare convalida e approvazione da parte degli altri. Possono pubblicare aggiornamenti e foto nella speranza di ricevere Mi piace e commenti, che possono aumentare temporaneamente la loro autostima.
  • Isolamento sociale: i social media possono fornire un senso di connessione e comunità, specialmente per le persone che potrebbero sentirsi isolate o emarginate nella vita reale. Le persone che non dispongono di supporto sociale possono rivolgersi ai social media come un modo per connettersi con gli altri e provare un senso di appartenenza.

Quali sono i sintomi della dipendenza dai social media?

Le relazioni sociali si portano avanti sui social

Come altre dipendenze, la dipendenza dai social media può avere una varietà di sintomi, tra cui:

  • Trascorrere una quantità eccessiva di tempo sulle piattaforme dei social media, spesso a scapito di altre attività come il lavoro, la scuola o la socializzazione.
  • Sensazione di irrequietezza, ansia o irritabilità quando non è possibile accedere ai social media.
  • Trascurare le responsabilità personali, come il lavoro o gli incarichi scolastici, a favore dell’uso dei social media.
  • Sperimentare sintomi di astinenza, come depressione, ansia o irritabilità, quando non è possibile utilizzare i social media.
  • Continuare a utilizzare i social media nonostante le conseguenze negative, come relazioni tese, diminuzione della produttività o problemi di salute mentale.

Tutto questo può banalmente riassumersi in un: perdita del contatto con la realtà, ritornando al punto in cui crediamo davvero di avere una sorta di dominio o controllo sui nostri profili ma, la realtà dei fatti è un’altra: siamo ospiti assoggettati e perfino dipendenti dalle piattaforme. Del resto, abbiamo già imparato a convivere e ad adattarci senza musica su Instagram, no?

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Gabriella Giliberti

Gabriella Giliberti, nata a Martina Franca nel maggio del 1991, è una critica cinematografica televisiva, scrittrice e content creator. Dopo essere cresciuta a cinema horror, vampiri e operetta, si è formata a Roma, specializzandosi in storia del cinema, sceneggiatura e critica. Dal 2015 al 2022, è stata penna e volto del sito Lega Nerd, ricoprendo il ruolo di capo redattrice nella sezione Entertainment dal 2019 al 2022. Collabora regolarmente sia su riviste online che cartacee, ed è presente come inviata, moderatrice e speaker presso i principali Festival e Fiere. Attraverso il suo profilo @GabrielleCroix su Twitch, TikTok ed Instagram condivide e divulga l’amore per la pop culture con la sua community e pubblico di appassionati. Ha partecipato all’antologia “Emozioni da giocare” (Poliani, 2021) e “Moondance – Tim Burton, un alieno ad Hollywood” (Bakemono Lab, 2023). Da sempre appassionata di mostri, attualmente è a lavoro su diversi progetti che riguardano la rappresentazione del mostruoso nella società. “Love Song for a Vampire – Etologia del Vampiro da F.W. Murnau a Taika Waititi” (Bakemono Lab, 2023) è il suo primo libro, e non ha intenzione di smettere.

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