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Le rose di Atacama

“Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”.
La frase lo colpì tanto quanto l'improvvisa mancanza di luce. 
Il treno scivolava veloce attraverso la galleria e, come sempre appena entrati, pareva di venire risucchiati nella gola di un qualche gigantesco essere. Le lampade del vagone non erano funzionanti e il viso del ragazzo veniva investito a tratti dalle luci esterne, di un giallo acido. 
Abbassò il libro e lasciò vagare distrattamente lo sguardo intorno a sé. “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia… iosonostatoquienessunoracconteràlamiastoria… io sono…” continuava a rigirarsi questa frase nella mente, come una caramella troppo dura da mordere che si fa lentamente sciogliere sulla lingua.
A dispetto dei riscaldamenti accesi, i finestrini leggermente opachi erano stati abbassati e dall'esterno giungeva l'aria fresca e umida propria dei luoghi bui, che scompigliava i capelli  dell'adolescente troppo truccata sedutagli di fronte. Indossava jeans molto aderenti e un piumino corto nero, con due strisce colorate all'altezza del petto prominente; la zip era tirata giù di modo che si potesse vedere accuratamente quanto fosse scollata la maglietta. 
Il ragazzo si chiese se ci fosse ancora dell'innocenza nascosta sotto quel fiacco tentativo di essere sensuale e se avesse ancora un briciolo di individualità oltre l'aspetto stereotipato. 
Era così impegnata a fissare il suo iphone, scrivendo messaggi ad una velocità quasi disumana, che non si era accorta del disprezzo che trasudava dalla signora seduta accanto a lei. Una signora di circa sessant'anni, i capelli bianchi con ciocche grigie ordinatamente disposte ad ornamento in una pettinatura impeccabile, un mare di latte e cenere. Si teneva stretta la borsetta firmata affondandola, quasi fino a nasconderla, nella pelliccia che abbracciava il corpo minuto. Il ragazzo ebbe l'impressione che quella pelliccia fosse l'unica fonte di calore della vita della signora. Sul volto segnato dal tempo ben poche rughe raccontavano storie di risate o anche solo di fuggevoli sorrisi. 
Smise di fissarla quando gli indirizzò uno sguardo feroce, stringendo ancora di più la borsetta con le unghie laccate di rosso quasi che lo avesse scambiato per un ladro che studiava la preda.
L'unico altro occupante del vagone era un uomo con un bastone da passeggio, l'aria tranquilla nel suo cardigan a rombi panna e marrone, una coppola di lana e pantaloni di velluto a coste. Emanava la stessa pace di un corridore arrivato per primo al traguardo, che si gode un sorso di acqua fresca sentendo i polmoni bruciare soddisfatti.
Quali erano le loro storie? Quali i loro problemi?
Chi si sarebbe ricordato di ciò che erano stati, dopo che il loro momento fosse giunto?
La galleria sembrava non finire mai e il ragazzo cominciò ad avvertire l'urgenza di sentire il sole sulla pelle, di respirare a pieni polmoni e chissà, magari, di urlare a squarciagola solo per congelare in un istante il suo passaggio sulla Terra. 
La quantità di persone che erano vissute e di cui lui non sapeva nulla era tale che la consapevolezza lo schiaffeggiò con forza, all'improvviso.
Il disagio crebbe fino a diventare quasi insopportabile, tanto che quasi si trasformò in un attacco di panico. Erano ormai alcuni mesi che non si sentiva più in quel modo, credeva di esserne finalmente uscito. E invece il mondo parve chiudersi su di lui, lentamente, inesorabilmente, per divorarlo senza lasciarne neanche le ossa.
“-Le rose di Atacama– ! Mi ricordo bene quando lessi questo libro. Esattamente dieci anni fa, ero seduto in quel bar in centro, quello che fa tutte quelle strane tisane… Hai presente no?!” la voce sottile e raschiante del suo vicino lo riportò indietro. Alzò gli occhi di scatto e incontrò lo sguardo un po' opaco ma stranamente penetrante del proprietario del bastone da passeggio. “Ehi giovanotto mi stai ascoltando?” la domanda aveva un che di scorbutico, ma nascondeva un velo di preoccupazione “Sì… mm… Io sì… quel bar con i tavolini in ferro battuto” rispose mentre  in automatico chiudeva il libro, senza mettere il segno tra le pagine e faceva scivolare la mano sulla copertina blu.
“E' un libro intenso, sia per le storie che ti racconta sia per ciò che rappresenta, non è vero?” ora la voce dell'uomo pareva quasi cercare di rassicurarlo. Il ragazzo non poté fare altro che fissarlo, le parole faticavano a trovare una via di uscita attraverso la gola. 
Annuendo lentamente il suo vicino continuò “Facciamo in questo modo: io ti racconterò la mia storia, tu mi racconterai la tua. Così io saprò che tu sei esistito e viceversa.” “Non è molto ma almeno è un punto di partenza, non ti pare?!” e sorrise, con la sua schiera di denti storti ma resistenti. Il ragazzo tornò a respirare normalmente e magicamente si sentì di nuovo libero dal panico.
E mentre uscivano dalla galleria l'anziano signore cominciò “Dicevo, dieci anni fa ero seduto in quel bar in centro, con solo il libro di Sepulveda a farmi compagnia quando…”.

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