Da piccoli capita di guardare un film e rimanerne tanto ammaliati da volerlo vedere un'altra volta e poi una ancora, continuando così per innumerevoli volte anche una volta cresciuti continueremo, idolatrando gli attori protagonisti e sognando di poterli conoscere, incontrare dal vivo di modo da poter porre loro una sequela infinita di domande.
Passati tanti anni dall'uscita del film che abbiamo tanto amato, ci si chiede anche se vedere quegli attori invecchiati possa in qualche modo distruggere il mito che avevamo mentalmente creato.
Poi magari capita il momento in cui, per un motivo o per l'altro, ci si trova in una piccola sala cinematografica completamente blu, dalle poltrone di velluto uguali alle pareti e ai pavimenti in plasticone. Proprio sotto l'enorme schermo, seduto dietro un tavolo di legno tra traduttori, organizzatori di eventi e pubblicisti, sta (perché il verbo giusto è proprio “sta”) Rutger Hauer che in una vita è stato un replicante e in un'altra un cavaliere maledetto.
Venuto in Italia ha acconsentito a partecipare ad una conferenza stampa per inaugurare il lancio, il 21 Novembre, dell'edizione deluxe di Blade Runner – un cofanetto da collezione in edizione limitata con gadget, art book, e tante altre chicche- targata Warner Home Video, per il trentesimo anniversario della pellicola.
E così noi della redazione ci troviamo seduti in prima fila, alla distanza di un respiro da un attore che ha preso parte ad una vera e propria opera che ha sconvolto la percezione della fantascienza, lo stesso Hauer ha affermato durante la mattinata “In quel momento (subito dopo aver pronunciato l'ultima frase del famoso monologo, n.d.r) io stavo guardando il futuro, ma non avevo assolutamente idea di quello che avevo davanti agli occhi”. Del film che l'ha reso famoso parla con grande affetto, come se stesse riguardando le foto di un figlio o di un nipote. È un'esperienza di cui non si libererà mai e di cui naturalmente non si vuole assolutamente liberare: metà di Roy rimarrà per sempre in lui così come metà di lui rimarrà per sempre nel replicante.
Quando il nostro direttore gli chiede se, avendo un'aspettativa di vita breve (come Roy), preferirebbe passare la vita a cercare un modo per sopravvivere più a lungo oppure vivere ogni istante come se fosse l'ultimo, Hauer ci pensa un attimo. Quindi afferma che per tutti noi è una cosa normale essere portati a rimandare al giorno seguente alcune delle cose che avremmo da fare, sempre convinti che un domani debba esserci; che tuttavia sta a ognuno scegliere le proprie priorità e fare il possibile per non sprecare neanche un attimo. “Facciamone un film!” conclude ridendo.
Parlando della sua esperienza come attore, tra una parolaccia e l'altra censurate dalla traduttrice, se ne esce con una frase un po' cinica, un po' strafottente “La maggior parte delle persone recita per gran parte della sua vita… Io lo faccio solo quando la macchina da presa è in funzione” e beve un sorso d'acqua dal bicchiere che si premurano di non lasciare mai vuoto.
Risponde alle domande di noi giornalisti come se stesse facendo una chiacchierata al bar con alcuni vecchi amici, l'aria un po' stanca ma comunque gioviale, le gambe avvolte dalla tovaglia blu in contrasto con la camicia nera con la sagoma di Bart Simpson e il più serio simbolo rosso della lotta contro l'AIDS. Una volta divenuto famoso si è accorto di “non poter dare da mangiare bambole agli affamati” e così si è rimboccato le maniche e ha creato un'associazione per aiutare chi è affetto da questa impietosa malattia, incitandoci poi a dare una mano.
E il momento magico si chiude con noi che andiamo a farci autografare l'unicorno origami, che ora sfoggia sul fianco il nome di Rutger Hauer vergato con inchiostro argentato.
Sappiamo che vi aspettavate avremmo cominciato l'articolo con il famosissimo monologo, ma la maggior parte di noi lo sa a memoria, chi non lo ricorda o non l'ha mai sentito dovrebbe proprio andare ad ascoltarlo pronunciare da Roy. Ecco qui la nostra gallery!
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