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Il Manifesto della Comunicazione non Ostile ai Caraibi

Cercare di spiegare cosa o come si fa comicità è perdere in partenza, è come cercare di raccontare il sapore del cioccolato.
Ciò che io credo è che se una battuta fa ridere e non ha la finalità di umiliare tale battuta vada fatta, ci sarà sempre qualcuno che arriccerà il naso, ma la comicità deve essere superiore a tutto ciò, alla minoranze, alla moralità, al contesto.
Tenendo questa verità ben alta poi entrano il gioco l'eleganza e la tempistica. Perché se qualsiasi battuta può essere fatta ci si può semplicemente porre la domanda: “devo farla proprio ora?”
Più il contesto è delicato più la battuta sarà rischiosa, il grado di sfida aumenterà e bisogna padroneggiare molte arti per riuscire a fare ridere una vedova al funerale del marito. Ma è possibile, difficile, quasi impensabile, ma con il giusto bilanciamento di eleganza, classe e tempistica si può riuscire anche in una missione del genere.
Andy Kaufman aveva una comicità molto particolare, una di quelle che tirava fuori l'ira dalle persone che non la comprendevano, una comicità sottile, quasi eterea in apparenza, ma presente in ogni suo gesto. Una comicità che mirava a sottolineare l'opposto rispetto al contesto nel quale si trovava.
Paolo Ruffini non è Andy Kaufman e il palco del Manifesto della comunicazione non ostile è uno di quei luoghi delicati dove fare battute, in particolare battute di scherno.
Il Manifesto della comunicazione non ostile è il nuovo progetto del MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) per arginare i fenomeni del cyberbullismo e dell’hate speech sul web, problemi che stanno a cuore anche a noi.
Usare la risata per combattere l'odio è sempre cosa buona, ridere insieme e non di qualcuno è una delle finalità del progetto.
Nella platea e collegati in streaming, insieme alla ministra dell'istruzione, oltre trentamila studenti e più o meno mille scuole e inspiegabilmente la direzione dell'evento ha pensato bene che un attore di cinepanettoni potesse essere la persona adatta a presentare un evento del genere, anche dopo l'enorme riprova di mancanza di eleganza presentata anni fa ai David di Donatello dallo stesso comico.
In un momento di poca partecipazione Ruffini ha tentato di catturare l'attenzione del pubblico con gli espedienti classici, coinvolgere direttamente le prime file e scendere in platea. Il punto è che lo ha fatto con il suo stile di volgarità e poca eleganza, con ammiccamenti alle ragazze e scherno sull'aspetto fisico dei partecipanti.
C'è chi ha riso, c'è chi si è indignato, c'è chi ha interrotto lo streaming (come la Scuola di Firenze, Fonte Wired).
La colpa non è di Ruffini, sarebbe come invitare un orso a teatro e poi lamentarsi del disordine, la colpa è di chi ha creduto che per fare appeal sui giovani servisse il personaggio che lui promulga.
Alcune testate hanno accusato Ruffini di “fare il bullo”, ma il bullismo è altro, nessuna delle battute dell'attore erano volte ad offendere o umiliare, tutte avevano l'ovvia missione di fare ridere e coinvolgere e alcuni hanno riso infatti.
Il punto è che non è stato in grado di reggere il peso del contesto, è stato fuori luogo e grezzo, il palco era a sfavore e richiedeva una classe e una raffinatezza che Ruffini non ha con il risultato che quelle battute hanno fatto danno.
Perché un comico ricercato e con stile, come ad esempio Alessandro Bergonzoni, avrebbe potuto di certo fare battute simili, anche di scherno, però con un peso e una velatura diversi.
Ogni battuta merita di essere fatta, ma ogni frase di spirito presuppone della responsabilità e una dose di coraggio.
Fare battute è come essere malvagi in un fumetto: senza arguzia, classe e stile non sarai mai un Villain ma solo uno dei tanti aiutanti del supercattivo.
Quelli che cadono subito anche se ci provano.

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