Una delle storie di cronaca nera più note degli ultimi anni torna al centro del dibattito. Oggi arriva su Netflix Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, realizzato dallo stesso team che si occupò quasi quattro anni fa del documentario dedicato alla storia di San Patrignano. In questo caso l’approccio è decisamente diverso e purtroppo il risultato non è all’altezza del precedente.
Il caso Yara viene ricostruito a partire da due (forse tre) momenti chiave
La storia ce l’abbiamo presente in molti. Sia perché si tratta di avvenimenti abbastanza recenti (tutto parte il 26 novembre 2010), sia perché fu uno dei casi più seguiti dai media nella lunga storia della cronaca nera italiana. Una di quelle vicende di cui volente o nolente hai sentito parlare, anche se magari non hai seguito il coverage costante di giornali e TV.
In questa docuserie in cinque puntate il caso viene innanzitutto ricostruito intorno a due date. La prima è quella dell’omicidio, il sopracitato 26 novembre 2010. La seconda è il 16 giugno 2014 quando viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, che i successivi processi individueranno come colpevole.
La narrazione rimbalza avanti e indietro nel tempo, saltando tra queste due date e gli eventi che le hanno seguite. Se ne aggiungerà poi una terza, il 26 febbraio 2011, quando un aeromodellista trova il corpo della ragazzina, che portò a una fondamentale svolta nelle indagini.
Questo documentario apre due questioni su un piano etico che probabilmente vedremo molto discusse nei prossimi giorni. La prima è se sia opportuno o meno tornare su una vicenda come questa, a così breve distanza dai fatti. La seconda riguarda la colpevolezza di Bossetti, che Il caso Yara forse non nega apertamente, ma – fin dal titolo – mette quantomeno in dubbio.
Tuttavia in questo pezzo non abbiamo l’obiettivo di indagare gli aspetti etici di questo progetto (ci saranno tempi e spazi per farlo), quanto analizzare la docuserie in sé. E purtroppo dobbiamo dire che siamo abbastanza lontani dagli ottimi livelli qualitativi che aveva raggiunto SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano.
Il caso Yara: una ricostruzione che si sfalda con il tempo
Come detto, il documentario si apre ricostruendo gli eventi fondamentali della vicenda, come possiamo aspettarci in questo tipo di progetti. Il racconto della scomparsa, delle ricerche di Yara Gambirasio (e le speranze iniziali che fosse ancora viva), le indagini, le piste sbagliate, tutti gli intricati tentativi di analisi del DNA che probabilmente ricorderete fino ad arrivare all’arresto.
A questo punto c’è un cambio di approccio. Non è particolarmente brusco, neanche avendo guardato le cinque puntate una dietro l’altra, ma a posteriori è facile notarlo. Entrando nell’analisi del processo, la narrazione inizia a sfaldarsi, diventando un insieme di fili disordinato.
Se nella fase iniziale c’era una struttura solida, non lineare ma chiara e completa nell’esposizione, con un ritmo che funzionava, nella seconda parte tutto questo è meno efficace. Forse si tratta di una conseguenza di aver scelto di sviluppare la serie in troppe puntate, ma sembra che non ci sia più quella coerenza narrativa che ha caratterizzato l’inizio.
Il caso Yara diventa un elenco di (presunti) errori processuali o più in generale di comportamenti poco trasparenti della giustizia e dei media. Una lista che però manca ogni volta di risoluzione, saltando da un’argomentazione all’altra senza arrivare davvero a un punto. Escluso ovviamente un generico “qui c’è qualcosa che non quadra”, che pone il ragionevole dubbio del titolo.
Il vero problema è che manca una parte della storia
C’è un aspetto che va messo in chiaro: non è assolutamente un problema (almeno dal punto di vista tecnico) che questa docuserie sia più o meno apertamente schierata. Si tratta di un prodotto che è anche di intrattenimento e che quindi fa bene a trovare una chiave per raccontare questa storia. A volte la chiave è mostrare entrambe le facce di una vicenda, come per certi versi ha fatto SanPa, a volte può essere cercare di ribaltare la narrativa comune, come in questo caso.
Quello che però non funziona ne Il caso Yara e che diventa ancora più evidente nella seconda parte è il fatto che qui manchi proprio una parte del racconto. L’assenza di contributi diretti della famiglia Gambirasio e del Pubblico Ministero Letizia Ruggeri (che naturalmente hanno tutto il diritto di rifiutare ulteriori commenti) indebolisce la narrazione, rendendola più a senso unico.
D’altra parte, trova molto spazio la difesa con, fra le altre, una corposa partecipazione diretta di Massimo Bossetti stesso. Un’intervista che sta già facendo discutere e che è uno dei fattori che più attirerà gli spettatori, ma che a conti fatti non offre granché alla narrazione. C’è un racconto della sua sofferenza, delle emozioni provate nelle diverse fasi delle indagini e del processo, ma mai un commento davvero puntuale, che vada oltre una professione di innocenza.
Non c’è neanche un vero e proprio tentativo di fornire in modo indiretto la versione dell’accusa. Nel lungo elenco di presunti errori che citavamo più sopra, ciascun punto si chiude lasciando nell’aria un “Perché?”, per poi passare al successivo, senza dare una risposta, risolutiva o meno. Fermandosi appunto al dubbio, ma senza andare mai oltre.
Il caso Yara non riesce a convincere davvero
È indubbio che questa storia avesse del potenziale per qualcosa di davvero interessante, che potesse replicare il successo di SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano. Al di là dell’evidente impatto emotivo della vicenda, tanto più in un momento in cui il true crime è tra i generi più seguiti, ci sono effettivamente degli aspetti che non sono chiari.
Piste che non gli investigatori non hanno seguito, vuoti nella ricostruzione, interrogatori mancati, metodi di indagine poco convenzionali… Senza contare la questione reale degli ostacoli posti all’analisi del DNA da parte della difesa. Tutti elementi che possono rendere interessante seguire questo racconto, anche al di là di eventuali schieramenti colpevolisti o innocentisti.
Tuttavia il risultato finale non è davvero convincente. L’assenza di una vera controparte rende questa docuserie (soprattutto nella seconda parte) un continuo puntare il dito, rilanciando ogni volta senza mai darci delle risposte. Si poteva sperare in qualcosa di più.
- Editore: Ugo Mursia Editore
- Autore: Roberta Bruzzone , Laura Marinaro
- Collana: Gialli italiani
- Formato: Libro in brossura
- Anno: 2023
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