Non si può negare: il fascino di un villain è (quasi) sempre imbattibile. E, forse, proprio per questo le loro origin story ci catturano così tanto. L’eterno dibattito sul “si nasce o si diventa cattivi?”, il quale può essere snocciolato in infiniti modi, trovando risvolti estremamente interessanti nel reale. Basti pensare ai serial killer, ai grandi e sanguinolenti condottieri, ai terribili dittatori.Sono stati anche loro bambini, ragazzi. Cosa, esattamente, è andato “storto” nel loro percorso?
Certo, il Joker di Todd Phillips ci ha anche largamente dimostrato che chiunque può diventare un villain, a volte “basta” l’ennesima giornata storta di troppo o l’essere considerato una scarto tale dalla società tanto da non poter più fare a meno di sopperire al desiderio di rivalsa, di giustizia o… Vendetta. Due concetti non così troppo dissimili tra di loro.
Frankenstein non nasce mostro, è la società a rendere Frankenstein mostro. Quella stessa società raccontata dai registi horror degli anni ‘70 e ‘80 talmente marcia, corrotta e perversa da generare mostri, privi di zanne, artigli o ali, ma uomini con indosso una semplice maschera, simbolo di una mostruosità ben più letale di qualsiasi altra creatura delle tenebre.
Adesso, posso immaginare un po’ di spaesamento sul vostro viso. Vi starete chiedendo: cosa c’entra tutto questo con la recensione di Hunger Games – La Ballata dell’usignolo e del serpente?
C’entra, c’entra eccome, perché il fulcro del nuovo film di Francis Lawrence che torna, dopo ben otto anni, nuovamente a mettere le mani su di una nuova trasposizione cinematografica tratta dall’omonima saga letteraria di Suzanne Collins, è proprio questo: indagare la nascita di un villain ma, soprattutto, la reale natura dell’essere umano. E il villain in questione è il Presidente (in questo caso “futuro presidente”) di Panem, Coriolanus Snow, unico erede e speranza per il prestigio dell’ormai decaduta famiglia Snow.
Ma quindi, cosa ha reso Coriolanus Snow lo spietato Presidente Snow che abbiamo conosciuto, nelle vesti di Donald Sutherland, negli adattamenti della trilogia principale? Il riscatto sociale? L’ombra del padre? L’amore? Il tradimento? Questo e non solo.
Hunger Games – La Ballata dell’usignolo e del serpente: alle origini del villain
Hunger Games – La Ballata dell’usignolo e del serpente è un prequel spin-off ambientato sessantaquattro anni prima rispetto i fatti della saga originale. Coriolanus Snow è un diciottenne brillante, di bell’aspetto e grande intelligenza. La sua famiglia è una delle più ricche ed influenti di Capitol City; o meglio, lo è stata. Corio, sua cugina Tigris e sua nonna, dopo la caduta del pater familia, sono rimasti vittime della Guerra, i famigerati Giorni Bui, che hanno creato una disparità sociale estremamente radicata in tutta Panem, inasprendo ancora di più il divario tra Capitol City e gli altri 12 Distretti.
Ossessionato dal motto di famiglia
gli Snow si posano in cima, come la neve
e con l’unico obiettivo di diventare il futuro Presidente di Panem, Coriolanus ha vissuto tutta la sua giovane esistenza recitando la parte del ricco ed ambizioso rampollo, nascondendo le miserevoli condizioni in cui verte ciò che è rimasto della sua famiglia.
Tutto questo, però, è destinato a finire. Anni di studio e sacrificio stanno per essere ripagati. Coriolanus è, infatti, il preferito per la prestigiosa borsa di studio Plinth che gli darà la possibilità di accedere all’Università e continuare la sua scalata al successo e ripristino del buon nome degli Snow.
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Se non fosse che, proprio quest’anno, il Decano Casca Highbottom in occasione dei diplomi e dei Decimi Hunger Games – spietato survival game che vede protagonisti due tributi per Distretto sfidarsi fino alla morte per il macabro piacere e mera illusione di potenza di Capitol City – abbia deciso di inserire una nuova regola: il Premio Plinth andrà al Mentore più meritevole di questo titolo; quindi, colui o colei che porterà alla vittoria, e sopravvivenza, uno degli sfortunati estratti per gli Hunger Games.
E se avere come possibile tributo uno dei prescelti dei primi Distretti può sembrare un vantaggio, soprattutto se maschio, averne uno, per di più femmina, appartenente all’ultimo Distretto sembra essere una sentenza di fallimento. Eppure, la stravagante, sfacciata e canterina Lucy Gray Baird, scaccia via l’iniziale sentimento di rabbia e sconforto dall’animo di Coriolanus, vedendo in tutto quell’impavido orgoglio, una possibilità di trionfo.
Un’inaspettata e piacevole sorpresa
L’approccio a questo film è stato dominato da un certo scetticismo, probabilmente lo stesso dei lettori della Collins che si sono visti arrivare un libro prequel a distanza di dieci anni dall’uscita dell’ultimo capitolo della trilogia principale. Una malafede che è stata, invece, ripagata con una bella sorpresa: un film scorrevole, intrattenente, con delle ottime perfomance e, soprattutto, con ancora tanto da dire.
Hunger Games – La Ballata dell’usignolo e del serpente è estremamente attuale da un punto di vista politico e sociale, nonostante il contesto distopico. Un futuro, alla fine, non così lontano dal presente che stiamo vivendo. Sempre dannatamente inquietante constatare quanto la distopia stia perdendo distanza dal mondo reale. O forse dovremmo dire che il nostro mondo sta diventando sempre più distopico.
Fatto sta che, a parte qualche inevitabile sbavatura, la pellicola diretta da Francis Lawrence si mostra essere un film ancora più brutale, feroce e tagliente rispetto ai precedenti. E questo non vale solo per i fatti narrati ma anche per gli attori coinvolti nel progetto.
Il plauso principale va, senza ombra di dubbio, a Tom Blynt, il giovane interprete di Coriolanus Snow. La scrittura del personaggio è indubbiamente buona, una notevole costruzione dell’arco di sviluppo del futuro Presidente, coerente con quanto conosciamo noi e, soprattutto, ben dosato. Un personaggio che si muove nel bilico della zona d’ombra, preciso, calcolato, anche quando sembra che agisca per puro istinto e sentimento.
Blynt riesce perfettamente a racchiudere l’essenza più complessa di un personaggio come Snow, ruolo doppiamente difficile non solo per il tipo di personaggio e il lavoro a ritroso da dover fare, ma anche per “l’inevitabile” confronto con il sé futuro/passato rappresentato da Sutherland. Uno studio vero e proprio dell’animo umano, le sue sfumature, le sue naturali tendenze. Affascinante e assolutamente letale, per quanto poi il film voglia giocare con una certa ambiguità di fondo: chi è il vero serpente? E chi, invece, l’usignolo?
A dare manforte a tutto questo è sicuramente la grande complicità e armonia instaurata con Rachel Zegler, meravigliosa interprete del personaggio di Lucy Gray Braid. Questa è imprevedibile. Caos, innocenza e sensualità pura. Coraggiosa, a tratti ingenua, umana e scaltra. La sua voce, stupenda come ben sa chi ha già avuto modo di vedere la Zegler nei mani della Maria del West Side Story di Steven Spielberg, sa ingannare molto bene, ma è anche un simbolo di resilienza, forza e ribellione.
Un personaggio del quale si vorrebbe quasi qualcosa di più. La combo Zegler/Blynth dona carattere a tutto l’impianto, sull’andare del terzo atto – in quanto il film stesso proprio come il libro è diviso in tre parti – tende leggermente ad arrancare su sé stesso.
Nella pellicola troviamo anche degli eccellenti Peter Dinklage, Jason Schwartzman e Hunter Schafer, così come una tanto strepitosa quanto dannatamente inquietante Viola Davis nei panni della “scienziata pazza” Dr.ssa Volumnia Gaul, i quali compensano ad una regia non sempre troppo ferma e a tratti un po’ piatta di Lawrence.
Ottimi, invece, la scenografia – il tutto chiuso in un’unica Area molto più limitata rende le cose più violente e claustrofobiche – così come i costumi e le musiche che sanno dare il vero tocco di originalità alla pellicola.
Siamo tutti mostri?
Suzanne Collins con la sua saga distopica The Hunger Games non si è inventata nulla di nuovo, ha solo dato una veste nuova e, a tratti, perfino più brutale, ad una storia vecchia come il mondo: su questa terra siamo tutti o vittime o carnefici. E questo vale tanto per uno stato fisico quanto per uno stato mentale che, alla fine della giostra, coincidono.
Quante morti ci sono state i nome degli Dei? Quanti giovani tributi sono stati sacrificati nella speranza di essere benedetti in guerra o avere un raccolto più rigoglioso o una carriera politica più florida? Quante migliaia di morti hanno fatto le Crociate nel nome di un Dio? E quanti milioni ne ha fatti l’ideologia nazista? E proprio in questi giorni, il conflitto storico tra Israele e la Palestina sta “collezionando” altrettanti fiumi di sangue tanto da una sponda quanto dall’altra.
Attuale più che mai, Hunger Games – La Ballata dell’usignolo e del serpente non fa altro che approfondire la naturale tendenza dell’essere umano ad essere brutale, violento, istintivamente portato a sottomettere per non essere sottomesso. Di certo il film non ci porta a tifare per il futuro Presidente Snow, ben consapevoli degli atti che compirà nel futuro; ma, al tempo stesso, ci mostra la paradossale condizione in cui l’uomo verteva prima da bambino e poi da ragazzo.
Circondato dalla miseria della guerra, da uomini che mangiano altri uomini per sopravvivere, dal freddo che rende tutto più complicato, e dall’indottrinamento che porta, nonostante l’aver vissuto negli stessi panni di uno dei Distretti più poveri, ad agognare il riconoscimento, la fama, il potere che la stessa Capitol City può dare e togliere in un battito d’ali.
Non è forse quello a cui il mondo ha assistito per secoli, ciclicamente? Alla faccia di chi definisce la cultura pop leggera, il genere fantastico sminuito o classificato come genere di serie B, o il becero classismo nei confronti dei media e di chi lavora con essi. Credo, invece, che vederlo oggi sullo schermo, attraverso una pellicola proprio come questa, possa fare ancora più effetto ed arrivare ad una generazione che, probabilmente, può davvero interrompere questo loop di crudeltà e autodistruzione umana.
Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente vi aspetta al cinema dal 15 Novembre.
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