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Fare manga in Italia (e farli bene), la nostra intervista a Federica Di Meo

I manga non nascono solamente in Giappone. Sono un fenomeno internazionale, che anche in Europa (e in Italia) coinvolge milioni di fan — e anche tanti mangaka di talento. Come Federica Di Meo, che ci ha raccontato la sua storia durante un’intervista al Comicon 2024 di Bergamo.

Con inizi da autodidatta e formazione continua sia giapponese che europea, Di Meo ci ha regalato una prospettiva unica sul fenomeno manga in Europa. E ci ha parlato del suo Oneira, un seinen tenebroso dal forte impatto visivo, che ha disegnato su una sceneggiatura dell’autore francese Cab e che in Italia è arrivato grazie a Star Comics. Per poi dare anche qualche consiglio a chi, come lei, sogna una vita nel mondo da mangaka.

Il manga in Italia, un’intervista a Federica Di Meo

Il termine “manga”, in giapponese, significa semplicemente “fumetto”: non ha un’indicazione geografica. Ma, senza dubbio, il manga ha uno stile unico: potete riconoscerlo anche solo da una tavola. Anche perché, oggi, ci sono milioni di fan anche in Italia che amano il genere e sanno apprezzarlo. Non solo: ci sono persino scuole dove imparare a disegnarlo — la stessa Federica Di Meo fa l’insegnante. Ma ci spiega che, quando elaborò il suo sogno di diventare mangaka, non era affatto così.

Quando ho iniziato ad avvicinarmi al manga, ho iniziato disegnando Ranma 1/2″, il manga di Rumiko Takahashi che ha fatto innamorare una generazione. “Anzi, all’inizio non li disegnavo direttamente per timore di non essere all’altezza, così usavo la carta lucida per ricalcarli. Come si faceva con le cartina con le coltivazioni di barbabietola da zucchero in Geografia a scuola” ci spiega Di Meo.

Quei primi disegni diventarono una “palestra” per Di Meo, che presto imparò a disegnare tutti i personaggi manga più amati di quegli anni. “I miei compagni di scuola mi chiedevano disegni per i loro diari. Disegnavo di tutto: Ken il Guerriero, Ranma, Memole dolce Memole, Lady Oscar“. Tuttavia, non pensava potesse diventare una carriera — forse anche perché nessuno glielo aveva suggerito e non c’erano modelli di mangaka in Italia. “Spesso venivo etichettata come quella ‘strana’ che disegnava roba ‘porno’, poiché Ranma era considerato inappropriato. Solo all’università ho iniziato a capire meglio la situazione e per molti anni ho rinunciato all’idea di poter fare questo lavoro“.

Un sogno che diventa realtà (dopo tanto studio)

Nonostante non vedesse ancora possibilità lavorative, Federica Di Meo ci spiega durante l’intervista che il sogno di diventare una mangaka era già dentro di lei. “Ricordo di essermi vestita, per un carnevale delle superiori, come la professione che avrei voluto fare in futuro. Indossavo una maglietta con due matite in tasca. Era un sogno che sembrava irrealizzabile e che avevo messo nel cassetto. Oggi, però, i ragazzi hanno molte più opportunità per imparare, anche se a volte manca loro la fame di informazione che avevamo noi“.

Federica di meo intervista

Per saziare quella fame, Di Meo finì molto lontano da casa. “Noi abbiamo lottato con tutte le nostre forze. La mia collega Wish [nome d’arte di Maria Vannucchi, ndr], con cui ho viaggiato in Giappone per studiare, aveva suo blog sui manga: uno dei primi post del suo blog riguardava come sostituire i materiali giapponesi con quelli italiani, dato che all’epoca era impossibile reperire materiali giapponesi in Italia“.

Se Di Meo e Wish hanno dovuto viaggiare verso Tokyo per imparare il mestiere del mangaka, oggi la situazione è molto diversa. “Non c’è più la difficilissima barriera iniziale e quindi anche chi ha meno mezzi economici può avvicinarsi a questo mondo. Ora esistono scuole con insegnanti italiani formati e anche maestri giapponesi che vengono in Europa a insegnare”.

E i maestri giapponesi spesso restano stupiti della qualità del lavoro in Europa. Di Meo ci spiega che persino gli editor di Shonen Jump Plus “quando ho mostrato i nostri lavori agli editori giapponesi, erano sconvolti. Ci hanno detto: ‘Ma davvero fate queste cose? Ma questi sono manga!’“.

Intervista a Federica Di Meo: la differenza tra manga e fumetti occidentali

Per molti, il manga è semplicemente un fumetto giapponese. Tuttavia, se amate il fumetto in tutte le sue forme e ne avete letti abbastanza, la differenza tra manga e fumetti occidentali si percepisce, si sente. Ma come spiegarlo in maniera semplice? “La differenza più evidente è l’approccio cinematografico del manga. Le scene si susseguono come inquadrature su carta, rispettando il tempo dell’azione e della narrazione“, ci spiega Di Meo.

In un fumetto supereroistico americano, per esempio, spesso vediamo l’eroe che fa un lungo discorso mentre colpisce l’avversario con un pugno. Nel manga, invece, l’autore suddivide quella nuvoletta in più momenti. “Spesso [nei fumetti occidentali, ndr] leggiamo dialoghi molto lunghi mentre due personaggi camminano. Fra le battute avvengono molte relazioni emotive, però io non le vedo: questa cosa, tipica del manga, mi manca, perché mi permette di vivere la storia con i personaggi”.

La struttura in quattro atti del manga

Di Meo ci spiega, inoltre, che un’altra differenza significativa è la struttura narrativa in quattro atti del manga. “Noi siamo abituati alla divisione in tre atti, quella tipica del teatro greco. Invece, in molte parti dell’Oriente, c’è una divisione in quattro parti nata con la poesia cinese ed evoluta in Giappone come Kishōtenketsu. Questa struttura prevede un’introduzione (ki), uno sviluppo (shō), un ribaltamento (ten) e una conclusione (ketsu)“, ci spiega la mangaka.

Durante l’intervista, Federica Di Meo ci spiega che sebbene anche il Viaggio dell’Eroe cui siamo abituati veda spesso delle svolte nelle situazioni dei personaggi, nel manga “cambia veramente quello che era l’obiettivo del personaggio, in maniera profonda. Per esempio, chi ha letto Attack on Titan sa che quando scopriamo chi è davvero Eren, la storia cambia completamente”.

L’autrice ci spiega che spesso i manga spesso contengono “piccoli indizi nelle prime vignette che preparano il lettore ai colpi di scena futuri”. Di Meo fa diversi esempi (evitiamo di riportarli per paura di possibili spoiler), spiegandoci che senza questi dettagli, le storie rischierebbero di apparire come Deus Ex Machina. Invece, fanno percepire in maniera inconscia che sta per arrivare un ribaltamento totale.

Di Meo ci spiega che il modello Kishotenketsu non si applica “solo nella storia generale, ma anche nel singolo capitolo e nella singola tavola“. Solitamente, le pagine iniziano sul Ten, il grande colpo di scena o ribaltamento, per poi avere la conclusione di quella scena e l’inizio di una nuova, con la pagina che finisce preparando la sorpresa successiva. “Questa in gergo si chiama Hikigoma, la vignetta che prepara, e Megurikoma, la vignetta che sorprende”.

Le tavole del manga sono quindi progettate per guidare il lettore attraverso la storia in modo naturale e fluido. Questo viene realizzato attraverso varie tecniche, come gli sguardi dei personaggi, i balloon dei dialoghi, e persino la disposizione dei corpi. Questi elementi “non devono essere notati dal lettore, ma devono rendere la lettura iperfacile“. Di Meo ci spiega che questi aspetti spesso sfuggono ai nuovi autori, che non conoscendo queste regole, creano tavole statiche e poco coinvolgenti.

Dalla teoria alla pratica: il lavoro su Oneira | Intervista a Federica Di Meo

Questa dinamicità delle tavole manga si sente appieno nell’opera che l’autrice ha portato al Comicon di Bergamo per Star Comics, scritta dallo sceneggiatore francese Cab: Oneira. Già dalle prime pagine di questa storia dark fantasy, riconosciamo l’elemento cinematografico di cui Federica Di Meo ci ha parlato durante l’intervista.

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Oneira, la più recente opera disegnata da Federica Di Meo

Con inquadrature “a scala” per presentare l’eroina della storia, Haran, fino a POV dalla prospettiva di una testa decapitata, da subito vediamo elementi che richiamano al cinema di genere — ma che sarebbero irrealizzabili con una telecamera. “Aver studiato cinema mi ha aiutato molto nella creazione delle inquadrature e della regia delle tavole” spiega Di Meo. “Quando leggo o scrivo una sceneggiatura, vedo tutto come se fosse un anime“.

Questa sua attitudine la aiuta molto a collaborare con lo sceneggiatore francese Cab, “mi lascia molto libera di spaziare”. Di Meo ci spiega che l’autore ha scoperto di avere questa caratteristica chiamata ‘afantasia’, una mancanza di fantasia visiva che lo rende incapace di immaginare cose che non ha mai visto. “Per Haran, per esempio, mi aveva dato come modello Charlize Theron”, invece di inventare un personaggio dal nulla. Ma con il tempo, “la fiducia tra noi è aumentata conoscendoci, quindi mi sento molto libera di scegliere”.

Le fonti di ispirazione per Oneira

Se il cinema contribuisce molto al processo creativo di Oneira, Di Meo ci racconta che il manga prende spunto da vari manga e autori per i dettagli più tecnici. “Per l’inchiostrazione, mi ispiro a opere come Tokyo Ghoul e Bungo Stray Dogs: Beast, che utilizzano uno stile sporco, alla Evangelion, alla [Yoshiyuki] Sadamoto. Per i mostri, mi rivolgo a Berserk — se devi fare i mostri, vai dal maestro. Mentre per la gestione narrativa delle vignette, trovo ispirazione in Atelier of Witch Hat di Kamome Shirahama. Mi piace utilizzare le vignette in modo illustrativo, integrando il testo e il disegno in modo che il lettore sappia quando prestare attenzione ai dettagli importanti“.

Un’altra ispirazione viene dalle “pause narrative di [Mitsuru] Adachi e dalla gestione dello spazio in Vagabond [di Takehiko Inoue]. Di questi autori adoro il ritmo e la struttura delle tavole“.

Intervista a Federica Di Meo: la collaborazione nel manga

Federica Di Meo si occupa dei disegni di Oneira, mentre delle sceneggiature si occupa Cab. Se la divisione dei ruoli fra sceneggiatore/trice e disegnatore/trice in Occidente è la norma, in Giappone spesso lavorano autori unici. Ma in realtà, Di Meo ci spiega che anche questo è un preconcetto. “Il primo esempio che mi viene in mente Death Note, scritte a quattro mani da [Tsugumi] Ōba e [Takeshi] Obata. Ma in Giappone molto spesso si lavora in coppia quando il manga richiede conoscenze approfondite su temi specifici”.

Di Meo come esempio ci dà “Team Medical Dragon, scritta da un ex dottore e illustrata da un artista dedicato solo ai disegni”. Ci spiega che “questo tipo di collaborazione è essenziale quando la storia necessita di una ricerca dettagliata che il solo disegnatore non potrebbe gestire in una settimana. In Giappone, spesso esistono comitati tecnici per supportare gli autori in queste ricerche, garantendo un alto livello di accuratezza nelle storie”.

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Alcune tavole da Oneira

Per quanto riguarda la collaborazione con Cab, durante l’intervista Federica Di Meo ci spiega che è tutto iniziato con un test. “Lui è arrivato dall’editore solo con una storia, cosa di solito avrebbe portato la sua storia a essere cestinata automaticamente. Ma era un’ottima storia e l’editore ha avuto l’intelligenza di riconoscerlo. Quindi abbiamo fatto un test con un’altra decina di artisti e poi mi hanno scelta”.

Di Meo ci spiega che il loro percorso, iniziato nel 2019 (“pochi anni, ma con il COVID in mezzo molto intensi”), li ha portati a conoscersi e crescere. “Lui ha una decina di anni meno di me, è molto impulsivo. E poi questa era la sua prima storia con una casa editrice importante, un po’ il suo battesimo del fuoco. Ora però ci capiamo meglio e ci supportiamo a vicenda”.

Di Meo ci spiega se è vero che “lavorare da solo permette di vivere la storia tutti i giorni”, se il rapporto è sano scrivere in due “molto bello”, tanto che i personaggi “diventano nostri, come figli“. E poi, lei come disegnatrice diventa “una beta reader” che può dare feedback sull’evolversi della trama. “Di recente sono riuscita a trovare il modo per salvare la vita a uno dei personaggi di Oneira, spingendo la storia in una direzione secondo me interessante”.

Seinen, Shonen, Shojo: tutte le varietà dei manga

Oneira è una storia dai sapori forti, pensata per adulti. Ma il manga ha molte più varietà, in base ai gusti e alle età dei lettori. Per chi fosse nuovo del genere: si parte dai kodomo per bambini (per fare esempi molto noti: Doraemon), agli Shōnen e Shōjo per ragazzi e ragazze (One Piece e Sailor Moon), fino ai Seinen e Josei per giovani uomini e giovani donne (Evangelion e Nana).

Federica Di Meo ha lavorato a storie con target diversi negli anni, e ci spiega che non sceglie categorie fisse: sceglie storie capaci di emozionare. “Mi piace lavorare su storie che offrono una gamma di emozioni e situazioni” ci spiega. “Se trovo una storia che è solamente drammatica, oppure una che è solamente stupida, alla lunga mi stanca”. In Oneira, per esempio, c’è “Bastione che non solo fa da spalla comica, ma è anche la cosa che tiene Haran ‘ancorata’ alla sua umanità”.

Lo stesso vale anche nell’altra direzione, con la storia Shonen che ha per protagonisti i Rabbids – Luminys Quest (sempre per Star Comics). In questo progetto, in collaborazione anche con Ubisoft, Di Meso ci spiega che fa vivere “la mia parte più ‘stupida’ quando scrivo alcune battute. Ma cerco sempre di tenere più registri”.

Consigli per i giovani aspiranti mangaka

Per chiudere l’intervista con Federica Di Meo, siamo voluti tornare all’inizio: al diventare mangaka. Se una volta era complicato, ora forse lo è di meno. Ma quali consigli può dare ai giovani aspiranti mangaka? “Oggi ci sono delle scuole [in cui insegna la stessa Di Meo, ndr], ma non è obbligatorio frequentarle. Però è fondamentale essere curiosi e cercare di acquisire quante più informazioni possibili, non limitandosi a ciò che si pensa di sapere già”.

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Una tavola di Oneira

Sebbene gli esempi di manga europeo stiano crescendo, secondo l’autrice “la conoscenza del giapponese può essere un vantaggio, data la disponibilità di testi originali, ma il confronto sano con amici e colleghi è altrettanto importante”.

Ma avverte: “il percorso per diventare un autore di manga richiede dedizione e tempo. Non è realistico aspettarsi di raggiungere il successo immediato; ci vogliono almeno quattro o cinque anni di studio approfondito per maturare le competenze necessarie“. Di Meo spiega di non avere fretta, ricordando che ha pubblicato il suo primo lavoro a 28 anni, e incoraggia i giovani a non sentirsi scoraggiati se non raggiungono subito i loro obiettivi. E poi sottolinea un aspetto non secondario: “non fidatevi del primo contratto che vi arriva, leggete bene e valutate con attenzione”.

Federica Di Meo chiude l’intervista spiegando che le opportunità per i mangaka (o gli aspiranti tali) stanno migliorando. Non solo con scuole dedicate, ma anche un mercato più pronto, che sta “crescendo in quantità e in qualità” per il mondo del manga. Con anche case editrici più attente a seguire i vari aspetti editoriali, compresa la promozione delle proprie opere. È un ottimo momento per chi vuole disegnare manga. Ma anche per chi, come noi, vuole solo leggerli: magari proprio partendo dalle atmosfere dark fantasy e dal gusto cinematografico di Oneira. Come avete potuto leggere, la sua disegnatrice ne sa parecchio di manga.

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Autore

  • Stefano Regazzi

    Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, Nerd da prima che andasse di moda.

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