Al quarto giorno del Festival di Venezia, Kurzel ci conduce in un viaggio oscuro e disturbante nelle profondità dell’estremismo americano degli anni ’80 con The Order (2024), un film tratto dal libro The Silent Brotherhood. La pellicola narra la storia di The Order, un gruppo militante neo-nazista che, con brutalità e un’ideologia profondamente radicata nell’odio, ha terrorizzato l’America. Tuttavia, questo film non è solo una narrazione storica: Kurzel sfrutta la vicenda per esplorare le radici del radicalismo e il suo spaventoso ritorno nell’attualità. Come? Ve lo raccontiamo meglio in questa recensione di The Order.
La storia di The Order: le radici dell’odio
The Order, noto anche come The Silent Brotherhood, fu fondato da Robert Jay Mathews – interpretato da Nicholas Hoult – nel 1983. Era un’organizzazione paramilitare composta da suprematisti bianchi che condividevano una visione distorta del mondo, in cui la purezza della razza bianca doveva essere difesa a ogni costo. I membri del gruppo credevano che il governo degli Stati Uniti fosse sotto il controllo di una cospirazione ebraica internazionale e, per combattere questa presunta minaccia, si dedicarono a una serie di crimini violenti, tra cui rapine, contraffazioni e omicidi.
Mathews rappresenta il volto tragico e spietato di questo movimento. Nato e cresciuto in una famiglia mormone, Mathews divenne rapidamente disilluso dal mondo moderno, iniziando a credere che l’unico modo per preservare la sua cultura e razza fosse attraverso la violenza. La sua radicalizzazione, che è anche al centro della pellicola, culmina in un picco di estremismo nel finale, portandolo a fondare The Order con l’obiettivo di destabilizzare il governo degli Stati Uniti e innescare una guerra razziale.
In questo scenario morboso, tanto per temi quanto per atmosfere, troviamo l’agente dell’FBI Terry Husk (Jude Law). Incaricato di indagare su una rapina che collega a un omicidio con l’aiuto del giovane poliziotto Jamie Bowen (Ty Sheridan), Husk si ritrova, nonostante le sue ideologie opposte a quelle di Mathews, a riconoscere in lui una parte di sé. Il suo istinto alla caccia umana, la sua dedizione al lavoro che lo ha reso un uomo solo e malato, lo avvicinano inquietantemente all’estremista che insegue.
Husk è un uomo consumato dal proprio lavoro, tanto da risultare quasi contaminato, specchio riflesso di Mathews, che nel suo ideale vede un nuovo modo di concepire la società, il senso di comunità e la purezza della propria dinastia. Kurzel confeziona così una pellicola oscura e cruda, basata su accadimenti reali e drammatici, la cui risonanza è forte ancora oggi. L’intento è quello di intrecciare l’inferno di due personaggi destinati a divampare in una fiammata di rabbia e disperazione.
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Il cinema del reale di Justin Kurzel
Fin dall’inizio del film, Justin Kurzel pone lo spettatore in una duplice scomoda posizione: non solo quella di chi osserva una violenza spietata, cruda e reale, priva di azioni acrobatiche e di schizzi di sangue coreografati, ma anche quella di chi non può sottrarsi al confronto con l’attualità.
Per quanto gli eventi narrati facciano riferimento al 1983, è chiaro che l’intento di Kurzel con The Order sia quello di costringerci a confrontarci con la scomoda verità che poche cose sono cambiate tra passato e presente. L’odio e l’intolleranza continuano a serpeggiare nelle menti di alcuni individui, alimentati da una percezione di perdita e minaccia identitaria.
La pellicola si apre con la riflessione di uno speaker che descrive questi suprematisti come individui inetti, inadatti alla vita, che sfogano il loro disagio odiando il prossimo. Talmente incapaci di vivere il proprio percorso, costantemente insicuri e fieramente ignoranti, trovano la loro unica ragione d’essere nell’odio verso chiunque sia “diverso” da loro.
The Order non è una commedia grottesca
Ma Kurzel non intende semplicemente deridere il suprematista: The Order non è una commedia grottesca. È un film pesante, cruento. Una pellicola che, sebbene utilizzi una struttura semplice e collaudata all’interno del genere drammatico con sfumature di western, riesce a restare addosso, a schiacciarti contro la sedia con il suo realismo fatto di fucili e pistole, dove le favole della buonanotte sono i diari di un suprematista e i regali di compleanno diventano un tiro a segno.
Kurzel lo fa scegliendo ambienti ampi e dispersivi, come le foreste, contrapposti a interni chiusi e claustrofobici. Ci fa sentire un po’ come animali in trappola, grazie anche all’uso di una fotografia polverosa, sporca e calda. Una messa in scena semplice, pulita e precisa, che evita fronzoli e inutili esercizi di stile, puntando invece a colpire con decisione. Il tono quasi documentaristico esalta ulteriormente la fotografia, sempre riconoscibile con i suoi toni caldi e polverosi, simili a quelli delle serie True Detective e Top of the Lake, del fidato Adam Arkapaw.
Meno incisiva è invece la sceneggiatura di Zach Baylin, che talvolta abusa di frasi fatte, battute prevedibili e discorsi che non riescono sempre a colpire come dovrebbero. Tuttavia, va detto che The Order è un film che si costruisce soprattutto sulle interpretazioni dei suoi protagonisti, in particolare Jude Law e Nicholas Hoult, entrambi in ruoli molto diversi dal solito. Forse, però, per Law si tratta di un film che lo mette di fronte a un personaggio non facile da gestire.
L’impatto di The Order sull’attualità
Quasi quarant’anni dopo, le idee di The Order continuano a risuonare nei corridoi più oscuri della società americana. L’attacco al Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021 è solo uno dei tragici esempi di come l’estremismo di destra e le teorie cospirative abbiano trovato nuova linfa in un’epoca di disinformazione e divisione politica.
Le ideologie promosse da gruppi come The Order non sono mai scomparse del tutto, ma si sono evolute, trovando terreno fertile in nuovi movimenti che sfruttano la paura e l’insicurezza di un mondo in costante cambiamento. Questo film diventa così non solo una ricostruzione storica, ma un monito: le idee di suprematismo e odio possono ripresentarsi, pronte a sfruttare qualsiasi vuoto sociale o politico.
Il fragile confine tra civiltà e barbarie
Avvicinandoci alla conclusione di questa recensione di The Order, la pellicola di Kurzel si inserisce in un filone cinematografico che esplora l’ascesa e il pericolo dell’estremismo di destra. Ricorda, per certi versi, film come American History X (1998), che esplora il ciclo di odio e redenzione di un suprematista bianco, e This Is England (2006), che affronta l’ascesa del razzismo nella società britannica degli anni ’80. Questi film, come The Order, servono a ricordarci che l’odio non è un fenomeno relegato al passato, ma una minaccia costante.
Kurzel, con la sua narrazione cruda e senza compromessi, ci invita a riflettere su come la storia possa ripetersi se non si affrontano le radici dell’odio e dell’intolleranza. Il film ci lascia con una domanda inquietante: siamo davvero così lontani dagli anni ’80 o stiamo semplicemente camminando in cerchio, ripetendo gli stessi errori?
The Order è un film che va oltre la semplice cronaca di fatti storici. È un’esplorazione profonda del lato oscuro della natura umana e un avvertimento su quanto sia fragile il confine tra civiltà e barbarie. Una visione imperdibile per chiunque voglia comprendere le dinamiche dell’odio e della violenza politica, e un promemoria per tutti noi a non abbassare mai la guardia contro il veleno dell’estremismo.
- Flynn, Kevin (Autore)
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