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The Beach Boys: il documentario Disney sulla band californiana | Recensione

Si commetterebbe un enorme errore nel pensare che The Beach Boys sia un documentario per soli fan della band californiana. Tutt'altro. Il film è un'opera imprescindibile per tutti gli amanti della musica, in quanto è in grado di fotografare l'intero e rivoluzionario decennio musicale degli anni '60.

Tra tutte le parole inventate dall’uomo, “armonia” è tra le più belle in assoluto. Nel mondo della musica i più complessi concetti armonici possono essere tutti riassunti con una semplice definizione: “note o voci diverse che suonano bene insieme”. Le voci, in questo caso, sono quelle di tre fratelli, un cugino e un amico, tutti provenienti dalla California dei primi anni ‘60. Quattro voci diverse, che decisamente suonavano bene insieme. Comincia così The Beach Boys, il nuovo documentario presente da questa mattina su Disney+, che ci racconta la genesi, il successo e il disfacimento della band fondata dai fratelli Wilson.

Il film inizia proprio con una voce fuori campo, quella di Brian Wilson, che afferma: “Sostanzialmente la nostra forza erano le armonie”. Chapeau. Chiudete tutto. Il riassunto perfetto della carriera dei Beach Boys arriva al primo minuto di documentario. E invece no, c’è tanto altro, tra aneddoti familiari e geniali intuizioni artistiche.

La band di Surfin’ USA non amava fare surf

Ben prima di indossare camicie floreali e abiti a righe, Dennis, Carl e Brian erano tre fratelli semplici, appartenenti a una tipica famiglia californiana della metà degli anni ‘50, guidata da papà Murry. La musica? Molto presente in casa, dato che i genitori erano musicisti. Ma il vero sogno di Brian – fratello maggiore dei tre – era di diventare un giocatore di baseball. La storia farà il suo corso, e ancora oggi, alla veneranda età di 81 anni Brian Wilson è considerata una delle leggende viventi della musica. Peraltro l’ultimo dei tre fratelli ancora in vita.

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Con la complicità dei cugino Mike Love, i quattro cominciano a replicare le armonie sentite sui dischi dei The Four Freshman, ma ben presto tutto cambia. Con l’arrivo degli anni ‘60 il rock’n’roll invade le strade di mezzo mondo e la chitarra di Chuck Berry entra di prepotenza nella vita di una generazione intera.  “Penso che ancora non siate pronti per questa musica… Ma, ai vostri figli piacerà!”, diceva Marty McFly in Ritorno al Futuro. 

Il quartetto comincia così a mescolare diverse influenze, attingendo soprattutto al mondo surf rock strumentale rappresentato da artisti come Dick Dale. Una crasi perfetta: le armonie vocali dei dischi anni ‘50, il rock appena nato e il surf, che diveniva così musica da cantare oltre che da suonare.

A dirla tutta, come ben ci racconta il documentario, ai The Beach Boys le tavole da surf neanche interessavano più di tanto. Si, la band che cantava “Se tutti avessero un oceano/In giro per gli Stati Uniti/Tutti andrebbero a fare surf/Come in California” (Surfin’ USA) non amava per nulla il surf. Ma era, appunto, un concetto identitario. Un’immagine che serviva ai giovani Beach Boys (che nel frattempo avevano accolto nella formazione l’amico Al Jardine) a riscuotere i primi successi.

Com’è il documentario Disney sui The Beach Boys – La Recensione

Il documentario diretto da Frank Marshall e Thom Zimny segue cronologicamente lo sviluppo della band, lasciandoci ammirare alcune rare immagini di repertorio col commento inedito dei protagonisti. Al centro c’è ovviamente la figura di Brian Wilson, genio musicale del gruppo, e il suo rapporto altalenante con gli altri fratelli e il padre Murry (che nel frattempo aveva assunto il ruolo di manager del gruppo).

Sebbene il racconto sia focalizzato sulla band californiana, il documentario riesce a restituirci perfettamente il fermento musicale degli anni ‘60. Il film ci racconta il dualismo con l’altra grande band del decennio, i Beatles, e l’evoluzione costante di Brian Wilson da fratello maggiore a vera sorgente creativa del progetto. The Beach Boys ci offre uno spaccato interessantissimo sul processo produttivo di quegli anni, quando il mondo della discografia stava cominciando a diventare la macchina ben oliata che oggi conosciamo

Uno spaccato sulla musica degli anni ’60

Il documentario, ad esempio, ci rivela la fascinazione di Brian per le produzioni di Phil Spector, colui che inventò e rese celebre The Wall of Sound che, almeno sulla carta, era di quanto più distante potesse esserci dallo stile dei The Beach Boys. E invece no, perché se c’è una cosa che il documentario Disney fa benissimo questa è sdoganare tutti i cliché.

I Beach Boys erano molto più di una band vocale che cantava della vita da spiaggia. La loro evoluzione è stata costante, proseguendo di pari passo con la maturità artistica di Brian Wilson

Infatti, mentre la band era in tour per portare in giro per il mondo la voce dei The Beach Boys, Brian se ne stava nella sua casa-studio, ad ascoltare le ultime uscite (dalle Ronettes ai Beatles) e a preparare il nuovo disco insieme al gruppo di session man di Phil Spector (la leggendaria Wrecking Crew). In questo modo, di ritorno dal tour, la band avrebbe dovuto solo registrare le voci e ripartire in giro per il mondo con un nuovo disco.

Una macchina perfetta. O almeno perfetta fin quando qualche ingranaggio non si rompe.

Com’è il documentario Disney sui Beach Boys?

Si commetterebbe un enorme errore nel pensare che The Beach Boys sia un documentario per soli fan della band californiana. Tutt’altro. Il film è un’opera imprescindibile per tutti gli amanti della musica, in quanto è in grado di fotografare l’intero e rivoluzionario decennio musicale degli anni ’60.

Nuove tecniche di registrazione, dischi iconici, riferimenti ad altri artisti e un’America viva, che parte dall’invenzione del registratore a 4 tracce e arriva fino alla strage di Charles Manson, passando per la vibrante Summer of Love.

E mentre questo universo vivo si muove tutt’intorno, il documentario ci mostra i rapporti tra i componenti della band. L’amore fraterno, le prime invidie, le insofferenze, le cause legali e infine una commovente riappacificazione. Il film si chiude infatti nel 2023 con i componenti ancora in vita che si ritrovano tutti insieme sulla spiaggia di Paradise Cove, dove tutto ebbe inizio. E allora tutto ha senso, persino il testo di quella canzone scritta 57 anni prima

Wouldn’t it be nice if we were older?
Then we wouldn’t have to wait so long
And wouldn’t it be nice to live together
In the kind of world where we belong?

Le scene durante i credits sono poi la ciliegina sulla torta: le immagini da uno degli ultimi concerti con la band riunita, poco prima della morte di Dennis prima e Carl poi.

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Autore

  • Marco Brunasso

    Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 29 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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