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Rush: Safety car

Routine. I primi minuti di Rush fanno pensare a questo. Routine e Abitudine. Due grossi errori che è facile fare quando un televisore ci protegge sicuri nell'abitacolo del nostro divano, nel circuito del proprio salotto. Una pausa dopo il pranzo domenicale che può protrarsi fino alle 16.00, a volte anche 17.00. 
La prima cosa che Rush racconta è proprio che quella che per noi è un’annoiata e passiva abitudine, per altri è stata, è e sarà, una passione estrema, pericolosa, a “vita persa”, un modo di intendere la vita al di sopra delle ambizioni comuni.
La voce di un Lauda anziano ci accompagna per i primi secondi, portandoci di lì a poco a sentire il rombo dei motori. Ma non è il rombo di adesso, non è il rombo cui siamo abituati, che sentiamo in lontananza, coperto dalla voce dei commentatori, è un rombo meccanico che nasconde qualcosa di animale, sa di pericoloso. Una vibrazione che solo una sala cinematografica avrebbe potuto restituire con tanta forza. Finita la prima sequenza abbiamo viaggiato nel tempo. Siamo negli anni ’70. Euforici, alticci, sporchi di grasso da un lato. Ma anche determinati, metodici, sporchi di grasso dall'altro. Siamo sempre sporchi di grasso. Come se non bastasse: odore di benzina, per tutto il tempo. Siamo nel paddock, in pista, a Maranello, negli storici circuiti internazionali. Rush riesce, senza sbrodolare, a descrivere un esaustivo panorama della Formula 1 di quegli anni. Regalandoci così un documento preziosissimo sia per gli appassionati sia per chi alle corse non bada oppure è troppo giovane per ricordarsi piloti privi di HANS, KERS e ROLL BAR (e meno male che li hanno inventati).
I piloti restituiti da Ron Howard sono vip, sono celebrità al pari delle rock star. Ma visti così, raccontati così, ci è chiaro che sono persone, ragazzi, uomini con una passione in comune. Una passione pericolosa che dà tanto e chiede molto di più.
Quindi Rush non racconta solo la Formula 1, non racconta la solita rivalità sportiva tra due ragazzi ricchi d'ambizione. Rush racconta due diversi modi di vivere, di affrontare vita e passioni. Racconta intuito, istinto, forza, rabbia. Sottovalutare questa pellicola è facile, tanto quanto male interpretarla, non è un film da vedere per sperare in rumorosi botti pieni di fiamme, tanto meno una romantica storia sportiva o un fedele reportage. Uscirete dalla sala chiedendovi se avreste fatto lo stesso, se al volante di una “bara con le ruote” avreste davvero creduto in voi e osato così tanto da lasciare il mondo intorno a voi più lento di almeno 200 km orari.
Stupenda ricostruzione, fotografia avvolgente e ottime interpretazioni da parte di tutti, incluso un gustosissimo cameo del nostro amico Pier Francesco Favino nei panni di un’altra leggenda della Formula 1 (che di lì a poco avrebbe anche lui vissuto la sua tragedia), lo svizzero Clay Ragazzoni.
Per chi volesse apprezzare appieno questo film consigliamo di procurarsi Lauda vs Hunt, un ricco volume zeppo di foto, aneddoti e disegni. Edito da La Gazzetta dello Sport.

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