Ha fatto diventare Joker protagonista della sua storia, ha reso Batman: Dannato. Ma Lee Bermejo si sta esprimendo oltre all’universo dei supereroi, come ci ha raccontato in un’intervista durante il Lucca Comics & Games 2024. Durante il quale Panini Comics presenta il terzo volume della sua opera A Vicious Circle, scritta insieme a Mattson Tomlin, oltre a una versione in bianco e nero di Batman: Damned, scritta con Brian Azzarello.
Lee Bermejo, oltre i villain e supereroi
Con il terzo volume, A Vicious Circle, una delle più ambiziose miniserie degli ultimi anni, edita di Italia da Panini Comics. La trama principaleruota attorno a Shawn Thacker, un uomo che vive nell’America degli anni della segregazione razziale e tiene un uomo misterioso imprigionato nella sua cantina, con il volto coperto da una maschera. Ma Thacker e il suo avversario in questa storia nascondono un segreto: ogni volta che uno dei due protagonisti uccide qualcuno, entrambi sono condannati a viaggiare nel tempo e nello spazio, intrappolati in un ciclo infinito di violenza.
Passeggiando nello stand di Panini Comics all’Ex-Cavallerizza di Lucca aspettando l’orario dell’intervista, però, vediamo tantissime altre opere di Lee Bermejo. Con tantissimi personaggi DC: Batman, Joker, Lex Luthor. Ed è proprio della sua storia fra DC e storie indipendenti che abbiamo discusso nell’intervista con il fumettista americano, che vive in Italia (e parla un ottimo italiano).
Cosa ci ha raccontato Bermejo a Lucca Comics & Games 2024
Fremevamo per questa intervista: Lee Bermejo ha disegnato (e in alcuni casi anche sceneggiato) alcune storie dall’impatto emotivo enorme. L’ultima sua opera edita per Panini Comics sembra avere lo stesso carattere e la stessa espressività nel disegno.
Ma prima di parlare delle novità, abbiamo voluto iniziare l’intervista discutendo anche un po’ delle opere passate di Lee Bermejo.
Nella tua carriera hai creato, insieme a Brian Azzarello, diverse storie che hanno per protagonisti i villain. Joker, Lex Luthor, antieroi come Rorschach. Dove nasce la curiosità per questo tipo di personaggi?
“Non mi piacciono i personaggi che sono bidimensionali. Quindi cerco di rendere tutti un pochino più… [mima una sfera, ndr]. Anche con un personaggio come Joker. Cerchi i piccoli momenti per fare qualcosa di diverso. Nessuno ha mai fatto piangere Joker, per esempio.
“Il personaggio della graphic novel Joker è sotto un sacco di psicofarmaci, quindi ha continui sbalzi di umore. Penso che trovando cose simili, più umane, riesci a creare questi momenti, che credo facciano la storia. Invece di essere tipo i villain James Bond, hanno tre dimensioni”
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Ma a livello grafico non c’è nessuna differenza fra quando sono i cattivi della storia e quando sono protagonisti?
“No, no. Io disegno come disegno. Sembra una risposta stupida, però è veramente così: non riesco a vederli diversamente se sono in una storia, o magari in una delle altre copertine in cui li faccio. Io li faccio sempre uguali”.
Oltre a far diventare protagonisti i villain, hai anche reso protagonisti i sidekick con la serie We Are Robin. Come è nato questo progetto? Cosa ti ha spinto a realizzarlo?
“Mi ha sempre dato un po’ fastidio Robin. Io nei miei personaggi cerco di mettere un po’ di realismo, anche quando disegno supereroi. Ma come fai a disegnare Robin, questi ragazzini che seguono i supereroi?
“Quindi ho cercato di creare questo ambiente in cui un personaggio tipo Batman, che è più o meno un detective, potesse davvero aver bisogno di un ragazzo. In realtà anche i poliziotti ogni tanto usano, come si chiama in italiano, CIs, degli informatori. Ho pensato che loro avrebbero avuto accesso a posti in cui Batman non potrebbe mai entrare. O almeno, questa era l’idea che ho presentato [a DC, ndr], ma loro hanno seguito un’altra strada.
“Guardando indietro, non mi piace rileggere We Are Robin più di tanto, perché non posso che vedere un giovane scrittore che non sapeva lottare abbastanza per il proprio punto di vista. Ho ceduto troppo alle richieste editoriali, e mi sembra una cosa fatta un po’ a metà. Però questa è la vita. Questi personaggi così famosi sono anche un brand. Non puoi solo presentarti con un’idea fighissima, loro [gli editori] devono vendere gadget. Non puoi vendere i giocattoli di Robin che fanno gli informatori, i ragazzini che guardano i Teen Titans non li comprerebbero. Anche se dal mio punto di vista, possono co-esistere entrambe le versioni”.
Sebbene dici di aver faticato a far valere le tue idee, hai creato un sacco di progetti originali per DC. Come Batman: Noel, che fonde il mondo supereroistico con quello di Dickens. Qual è stato il processo per creare questa storia?
“In realtà quel progetto è nato perché stavo parlando con un editore francese proprio di fare un adattamento di Dickens. Eravamo ancora nella fase iniziale, e nel frattempo stavo lavorando su un altro progetto di Batman, che era tutto un’altra roba. Però vedevo dei parallelismi nelle due storie. Quindi, alla fine, ho detto ma perché non faccio semplicemente un adattamento di Dickens ma in chiave Batman?
“Ma avevo anche un altro motivo. Io sono nato come disegnatore e spesso gli editor non vogliono lasciare i disegnatori scrivere. Anche perché non sono sempre molto bravi; però a volte sono eccezionali. Adattare Dickens mi sembrava un bel modo per cominciare a scrivere, era piuttosto sicuro. Ma se avessi sbagliato, sarebbe stata tutta colpa mia! Volevo lavorare come sceneggiatore per convincere l’editore a darmi fiducia con Suiciders”.
A proposito, come è nato quel progetto?
“L’idea ce l’avevo da parecchio tempo. Ma è un po’ come per A Vicious Circle: i lettori di fumetti americani fanno un po’ fatica a provare cose nuove. Vogliono Batman, vogliono Spider-Man. Le cose che non conoscono fanno un po’ fatica a provarle. Quindi, secondo me, devi essere nella posizione a livello professionale di poter dire: ‘ok, adesso le gente sa più o meno chi sono più, quindi posso rischiare’.
“Sentivo a livello del business di poter chiedere di realizzare qualcosa di mio: ho fatto due progetti che hanno venduto bene come Joker e Noel, mi sono detto ‘questo è il mio momento di fare le mie cose’. Adoro Batman, ma quando ero bimbo mi inventavo storie mie, non mi inventavo storie con Spider-Man o altri supereroi. Faccio con piacere progetti come Batman: Damned, però volevo scrivere di personaggi miei”.
Proprio come succede in A Vicious Circle, che arriva in Italia per Panini Comics. Cosa ti ha spinto verso questo progetto?
“Era un momento in cui volevo lasciare i personaggi DC, per fare qualcosa di diverso. E avevo conosciuto lo scrittore [Mattson Tomlin, ndr], che stava scrivendo all’ultimo film di Batman con Reed. Anche lui era un fan dei fumetti. Io volevo fare proprio una cosa completamente diversa, qualcosa che avrebbe fatto dire a un lettore che segue il mio lavoro: ‘non ho mai visto una cosa così’. Era il momento per me di fare qualcosa di diverso.
Ormai vivi in Italia da tempo, è anche per l’influenza del fumetto europeo che cerchi qualcosa di diverso?
“Il fumetto europeo mi piace da quando sono ragazzino, perché ho cominciato a leggere la rivista Heavy Metal, dove ho conosciuto Serpieri, Manara, Liberatore. Inoltre, sono un bimbo degli anni ’80: il fumetto americano era molto più indipendente. Leggevo American Flagg! di Howard Chaykin. Certo, leggevo anche qualche fumetto di Batman e Spider-Man, ma la mia visione del lavoro di fumettista era diversa. Vedo diverse generazioni di disegnatori: c’è chi ha cominciato negli anni ‘60 e ’70, che faceva per forza Marvel o DC. Negli anni 80, la situazione ha iniziato a cambiare: quello era il mio background, il fumetto con cui sono cresciuto”.
Invece cosa vedi nel tuo futuro? Progetti indipendenti, oppure lavorerai con le majors?
“Io non chiudo mai la porta, perché dà visibilità che permette di fare progetti come questo [A Vicious Circle, ndr]. Forse hai sentito il discorso che fanno: ‘ne faccio uno per loro, e uno per me’. È un pochino la stessa cosa per me, anche io lo vedo così. Un progetto così [A Vicious Circle], per quanto potrebbe essere un successo a livello critico magari, non avrà mai le vendite del Batman di turno.
“Mi rendo conto proprio in questi momenti [Bermejo aveva appena finito un firmacopie prima dell’intervista, ndr] della passione dei lettori di fumetti. Con 80 anni di storia, è chiaro che la gente voglia Batman. È questo il motivo per cui hanno fatto mille film, cartoni animati. Non è qualcosa che sparirà, quindi io non dico mai ‘mai’”.
Anche perché mi pare che, nonostante il personaggio abbia 80 anni, la tua voce si sente quando disegni Batman, anche nelle copertine.
“Grazie, anche perché non le firmo, così se non piacciono posso sempre dire non le ho fatte io! Io spero che sia riconoscibile, ma in una marea di fumetti, di arte è sì è difficile. Però ci provo”.
Durante questa intervista, Lee Bermejo ci ha fatto capire che il suo stile artistico deciso e ricco di sfaccettature si presta sia al fumetto supereroistico che a progetti più indipendenti. Potete trovare entrambi sul sito di Panini Comics.
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