Da oltre due settimane ormai osserviamo quanto accade nell’Europa dell’est, dove l’esercito della Russia ha invaso l’Ucraina puntando dritto alla capitale Kiev.
Quel che spesso non vediamo è l’equilibrio geopolitico che eventi di questa portata scombinano in giro per il globo.
Sebbene l’occidente non si sia schierato militarmente in terra ucraina con truppe e mezzi, molti degli Stati membri della Nato e dell’UE stanno sostenendo il presidente ucraino Zelensky ed il suo esercito, inviando in Ucraina armamenti e denaro.
Chi si è speso di più fino ad oggi a sostenere Kiev è assolutamente Joe Biden e gli Stati Uniti d’America, che proprio in questi giorni hanno rinnovato un sostegno economico all’Ucraina pari a 14 miliardi di dollari.
Proprio gli USA però rischiano di perdere un alleato dall’altra parte del pianeta, in America Latina, si tratta della Colombia.
Tra meno di tre mesi a Bogotà sarà eletto il nuovo presidente della Repubblica di Colombia ed il candidato che pare essere in testa fino ad ora è Gustavo Petro, che non si può di certo definire un amico degli yankees.
Gustavo Petro, economista classe 1960, è l’ex sindaco di Bogotà, ma soprattutto è un ex guerrigliero dell’M-19, il Movimento 19 Aprile, un’organizzazione di guerriglia insurrezionale rivoluzionaria di sinistra attiva negli anni ’80 in Colombia.
Se le previsioni saranno confermate, l’elezione di Gustavo Petro alla guida della Colombia confermerebbe il vento che da sinistra fischia in tutta l’America Latina, vista anche l’elezione di Gabriel Boric in Cile, Pedro Castillo in Perù, Xiomara Castro in Honduras e la probabile rielezione di Lula in Brasile, a questi andrebbe aggiunto poi il cubano Miguel Dìaz-Canel ed il venezuelano Maduro, il governo del quale è resistito fino ad oggi ad ogni tentativo di rovesciamento statunitense.
Da Caracas è arrivato fin da subito il riconoscimento delle due repubbliche indipendentiste filorusse del Donbass.
In un discorso pubblico il presidente Maduro ha dichiarato: “La Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea vogliono distruggere la Russia e, con essa, questo mondo multipolare che si è formato grazie allo sforzo di un grande leader come Vladimir Putin. Noi siamo al suo fianco, ora e sempre!”
La stessa dichiarazione è stata affermata dal presidente del Nicaragua Daniel Ortega, che in sintesi si è definito un “hermano de lucha” di Vladimir Putin, che tradotto letteralmente significa fratello di lotta.
Il Venezuela, il Nicaragua e Cuba, che non ha di certo bisogno di dichiarare fedeltà a Mosca, rappresentano il forte bastione russo in America Latina, anche se in questi ultimi anni la Russia è riuscita ad attirare verso di sé anche altri paesi latinoamericani.
Lo stratega Vladimir Putin è riuscito a costruirsi un consenso e solide amicizie in America Latina soprattutto durante la pandemia del Covid-19.
Il vaccino russo Sputnik è stato il mezzo utilizzato da Mosca per rafforzare i rapporti diplomatici con la maggior parte dei paesi latinoamericani.
Terreno, quello latinoamericano, che Putin però pare aver già perso, ed anche troppo in fretta, la colpa sta proprio nell’attacco sferrato all’Ucraina.
Durante il voto della risoluzione di condanna a Mosca all’assemblea dell’ONU tenutasi il 2 marzo scorso, i paesi sopracitati hanno condannato quasi tutti l’azione militare intrapresa da Putin in Ucraina.
Quasi tutti perché Cuba, che rappresenta uno dei tre paesi più fedeli alla Russia in America Latina, si è astenuta, così come hanno fatto anche il Nicaragua e la Bolivia, mentre il Venezuela, che rappresenta l’alleato militare principale per Mosca, sconta ancora le sanzioni passate ed è stata privata del voto.
A favore della risoluzione hanno votato anche il Messico, l’Argentina ed il Brasile dell’amico di Putin Jair Bolsonaro, tre paesi questi che in un primo momento avevano sostenuto delle posizioni al quanto ambigue.
Questo scenario apre la strada alla Cina di Xi Jinping, la vera antagonista della Russia in America Latina, dove è attore protagonista in questi ultimi anni con investimenti non solo sul versante pacifico, ma anche in Brasile e Argentina.
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