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Il Re Bianco: la storia del gorilla albino Fiocco di Neve

Da domani sarà disponibile in libreria Il Re Bianco, riedizione a cura di Bao Publishing di un classico imprescindibile del fumetto italiano, che racconta la storia di Copito de Nieve, gorilla albino star dello zoo di Barcellona, e della sua esibizione. Un'opera toccante, che attraverso la vita di questo animale parla di argomenti fondamentali, dalla solitudine alla discriminazione, passando per il rapporto dell'uomo con i media. Per l'occasione abbiamo avuto la possibilità di (re)incontrare negli studi di Virgin Radio (qui trovate l'intervista integrale realizzata da Andrea Rock)  Davide Toffolo, frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti, ma soprattutto autore de Il Re Bianco

Di seguito trovate quello che ci ha raccontato.
ON: Partiamo con la prima domanda. Il Re Bianco esce tredici anni fa, un paio d’anni dopo la morte di Copito de Nieve. Quanto secondo te c’è ancora di attuale in quest’opera, nel 2018?

DT: Dieci anni, dodici anni possono sembrare tanti come anche pochi. Io non so se ho mai fatto un fumetto “attuale” inteso come legato a una situazione di contingenza, perché alla fine i miei lavori sono sempre nati fuori dall’editoria nel senso stretto del termine, con una forte carica ideale che in quel caso era di immaginare la graphic novel, che ancora in Italia aveva avuto poche esperienze. Non nasce però come prodotto editoriale nel senso stretto del termine, perciò in qualche modo penso che possa essere considerato non legato a una dimensione di contingenza. Credo sia una lettura ugualmente strana, come lo era stata tredici anni fa. Anzi, una lettura unica, non strana. 
ON:  Un fumetto quindi che potremmo definire “al di là del suo momento storico” quindi.
DT:  Non so dirti se si possa dire così, però non è facilmente collocabile. Le prime graphic novel che ho realizzato, che sono Pasolini, Carnera e questo sono nate in una situazione particolare, dove la graphic novel non era ancora così codificata come forse potrebbe essere oggi. [Il Re Bianco ndr] È nato in realtà per una collana di un editore francese piuttosto grosso che si chiama Casterman, che in quel periodo aveva – non so se l’abbia ancora – una collana che si chiamava praticamente “Letteratura”, dove cercavano materiale da tutto il resto del mondo che avesse un connotato o comunque un qualche cosa di vicino alla letteratura. Ecco, questa era l’idea di quella collana. C’erano dentro autori da Taniguchi a forse addirittura Tardi, insomma grandi nomi internazionali, ma anche nuovi, com'ero io. Erano però unificati in una collana, avevano le copertine molto simili. C’era quindi l’idea di un editore francese grosso di immaginare una graphic novel che andasse verso questa ipotesi di un pubblico adulto con un concetto di letteratura al suo interno. In realtà gli elementi della mia scrittura sono sempre abbastanza simili e sono anche descritti nell’introduzione che ho fatto.
ON:  Ecco, a proposito dell’introduzione. Il Davide Toffolo che vediamo nell’introduzione a fumetti presente in questa edizione chiude dicendo “Lo rileggo anch’io per vedere quanto sono cambiato”. Ora immagino che tu l’abbia riletto, quindi: quanto sei cambiato? 
DT:  Oggi sono vestito perfettamente come l’introduzione tra l’altro (ride). Sono cambiato molto comunque e anche il mio approccio alle storie è cambiato molto. I libri che ho fatto successivamente a Il Re Bianco sono stati tutti molto diversi, sia fra di loro che da questa esperienza narrativa in particolare, anche se la mia idea è quella che del fumetto in particolare mi interessa il linguaggio, perciò non ho quasi mai ripetuto una formula simile ai libri precedenti: per ogni libro ho cercato di fare una cosa nuova. Perciò, da quel momento lì ad oggi sono passati effettivamente un po’ di anni e anche la mia modalità di scrittura è cambiata. L'ultimo libro che ho fatto si chiama Graphic Novel is Dead e difficilmente è avvicinabile al Gorilla, perché comunque è una storia che ha un’ellissi narrativa completamente diversa: è addirittura un’autobiografia, ha una dimensione comica (o comunque di commedia) molto più esplicita, mentre Il Re Bianco non ha questi elementi dentro. Perciò sì, sono cambiato e allo stesso tempo sono rimasto molto simile perché gli elementi principali della mia scrittura ruotano sempre attorno ad alcuni temi, comuni a tutti i miei libri, dai Ragazzi Morti fino a Graphic Novel is Dead, che sono appunto la diversità e la trasformazione dell’uomo attraverso i media. Quest’ultima in particolare è una cosa che mi è sempre interessata, sia per gli umani, sia per i viventi come in questo caso. Sicuramente sono cambiato anche per l’energia che ci vuole per fare una storia di questo tipo. C’è stato un periodo nel quale per me era molto naturale avere una vita da musicista e una da disegnatore contemporaneamente, dovuta al fatto che avevo un’energia taurina. Riuscivo quasi ad avere due vite separate. In questo momento è più difficile avere la concentrazione per questo doppio binario parallelo, anzi coincidente, e perciò mi tocca prendermi dei tempi per fare i fumetti, mi tocca ritagliarmi dei mesi per dedicarmici. Per fare Il Re Bianco ho avuto una spesa, anche fisica, molto alta. Senza drammatizzarlo troppo, però un libro di quel tipo lì ora sarebbe più difficile da fare per me.
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ON:  Immagino che in questo rientri direttamente il fatto che Il Re Bianco è un libro dove il viaggio è molto importante. Parlando di questo, uno dei titoli dei capitoli è "Lo Zoo di Barcellona – La mia casa in Europa" e ti chiedo: è ancora la tua casa in Europa? E, più in generale, che rapporto hai con la città di Barcellona?

DT:  In realtà quel titolo lì non era tanto riferito a me, quanto a Copito: era la sua casa europea. Il mio rapporto con Barcellona è stato un rapporto lungo, è una città nella quale torno in modo costante, anche se adesso è un po’ che non ci vado. Il viaggio nella mia scrittura ha sempre avuto un ruolo abbastanza importante. Io sono arrivato a dei libri dove partecipo in prima persona, dove il mio personaggio è me. Si potrebbe dire che sono in parte autobiografici, per Pasolini, Il Re Bianco e altri libri che ho fatto dopo. All'inizio non mi piaceva, mi sembrava un po’ violenta l’idea di mettere l’autobiografia come centro del racconto, ma a un certo punto ci sono arrivato, nel momento nel quale ho capito che la maggior parte dei libri che ho fatto, anche quelli in cui non parlo di me, in realtà erano dei libri che avevano bisogno di un vissuto per diventare veri. Questo vissuto l’ho consumato e nell'azione di fare un libro ho dovuto ricostruirne uno. Il viaggio è un buon modo per avere una quantità di questo vissuto forte, per dare verità a quello che scrivi. Più o meno ho capito che la mia modalità è questa e per questo ho fatto molti libri in viaggio o legati a dei viaggi.
ON:  Tu sei sia disegnatore che sceneggiatore delle tue opere. Come ti rapporti in questo? Procedi comunque nella maniera più classica, quindi un Davide Toffolo sceneggiatore che poi passa il suo lavoro al Davide Toffolo disegnatore o vai direttamente sulla pagina?
DT:  Fosse così sarebbe più facile avere rapporti con gli editori. Invece per me la costruzione è un po’ differente. È chiaro che in questo caso, dove ci sono tanti elementi, come il flashback iniziale, ci vuole un scalettatura anche abbastanza precisa e una visione sulle scene quasi cinematografica. La mia tecnica, quando raccolgo le storie, è quella di riempirmi di elementi, poi il sonno è il momento più creativo che ho, poco prima di svegliarmi e poco prima di addormentarmi. Perciò io mi prendo dei giorni dove sono in questa specie di catalessi, dove le scene si sviluppano nella mia mente come se fosse un film, soprattutto per la costruzione di questo tipo di libri. Quando succede, posso cominciare a immaginare di raccontare le scene con i disegni e parto quasi sempre da loro. Per me l’unità narrativa dei miei libri è la tavola, perciò per me la tavola ha bisogno di essere equilibrata, di avere una sua dimensione grafica che soddisfi la tavola. Non è così facile per me immaginare una sceneggiatura che sia slegata dal disegno, anzi io parto proprio da scene disegnate che poi diventano anche parlate. Questo tipo di tecnica l’avevo spinta in modo molto forte quando ho fatto il seriale Cinque Allegri Ragazzi Morti, perché quello sarebbe stato un fumetto che arrivava in modo molto più orizzontale di alcuni dei libri che ho fatto successivamente, perciò ho scelto di avere un tipo di narrazione “separata”, cioè quello che succedeva nella tavola doveva essere comprensibile tanto quanto la scrittura. Per questo lì ho proceduto proprio quasi tenendo appunto separate le due cose, sapendo comunque ciò che succedeva nella storia, ovviamente. Cioè se tu leggi soltanto i dialoghi devono sostenere la storia e se tu guardi le immagini devi capire la storia anche senza le parole. Quello è stato un esercizio molto forte, molto spinto, che però mi ha dato delle basi per fare poi dei racconti a fumetti, che avessero come base di unità narrativa la tavola. 
ON:  Ultima domanda, la classica che facciamo a tutti i nostri ospiti. Quando ci siamo visti l’ultima volta, nel 2015, avevi risposto che il superpotere che vorresti avere era alternativamente o comandare i metalli come Magneto oppure quello che hai già, ovvero la voce. È cambiata la risposta in questi anni o sei ancora su questa idea?
DT:  Beh, sentendo le risposte che ho dato due anni fa, devo dire che ero veramente lucido! Sono le risposte che ridarei: Magneto e Freccia Nera. 

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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