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Pablo Berger, regista de Il mio amico robot: “L’animazione è un modo per raccontare una storia”

Abbiamo parlato con l'autore del film candidato all'Oscar, esplorandone le ispirazioni e parlando del ruolo dell'animazione oggi

Fra pochi giorni arriverà ufficialmente in Italia Il mio amico robot, in corsa quest’anno come Miglior film d’animazione agli Oscar. In queste ore il regista Pablo Berger è nel nostro Paese proprio per un piccolo tour dei cinema tricolore, dove parteciperà a diverse proiezioni insieme al pubblico per raccontare quest’opera. Abbiamo avuto l’opportunità quindi di incontrarlo per parlare insieme di come sia nato questo film e di come sia stato capace di toccare i cuori delle persone in tutto il mondo.

Il mio amico robot, una storia in punta di piedi

Ispirato al fumetto Robot Dreams di Sara Varon, questo film è una favola animata ambientata nella New York degli anni ’80. È la storia di DOG, un cane che decide di combattere la sua solitudine costruendosi un amico, ovvero ROBOT. Tra i due nascerà un legame fortissimo, basato su passeggiate per le Avenue, breakdance, musica e gite.

Sfortunatamente però un imprevisto tecnico costringe DOG ad abbandonare temporaneamente il suo amico e per un’ulteriore complicazione delle circostanze, questo “temporaneamente” si deve fare ancora più lungo del previsto. Saranno mesi di distanza in cui entrambi sentiranno la mancanza dell’altro, in attesa del giorno in cui potranno ritrovarsi.

È una storia semplice, senza dialoghi, basata interamente su rumori, suoni e canzoni (una, in particolare, di cui abbiamo parlato anche con Berger). Ma anche per questo la vicenda raccontata da Il mio amico robot riesce a essere universale, andando a toccare i nostri cuori in profondità.

Non vogliamo anticiparvi nulla del film, che è davvero capace di sorprendere, pur nella sua semplicità. E condurci verso una conclusione che è straordinariamente potente, complicata da assorbire, ma che per moltissimi è capace di essere esattamente quello che serve. Un’ennesima dimostrazione quindi della potenza che il tratto animato può avere e di come il cinema nel suo insieme sia capace di una potenza incredibile. È impossibile uscire dalla visione de Il mio amico robot senza sentirsi in qualche modo toccati, se non cambiati.

Ne abbiamo parlato proprio con il suo autore

il mio amico robot pablo berger intervista

E così, ancora emozionati per la visione, abbiamo potuto fare una chiacchierata con Pablo Berger, regista e sceneggiatore de Il mio amico robot. Abbiamo voluto sondare il processo creativo dietro quest’opera, scoprire qualche aneddoto sulla reazione del pubblico fino a qui e parlare del ruolo dell’animazione nel panorama moderno. Di seguito potete trovare l’intera intervista.

Questo film spicca nella tua filmografia, è un po’ diverso da tutti gli altri che hai girato. Come è nata questa idea? Come hai deciso che questo sarebbe stato il tuo prossimo film?

Sì, come sai questo è il mio quarto film e i miei precedenti lavori erano tutti in live-action. Mai nella vita avrei pensato di fare un film animato, anche se come spettatore adoro l’animazione. La ragione della mia scelta è la storia.

Mi sono semplicemente innamorato di questa storia, ma soprattutto del finale. Non la prima volta (l’ho letto nel 2010) bensì quando l’ho letto ancora nel 2018, il finale mi ha toccato profondamente. Molto profondamente. Mi ha fatto venire le lacrime agli occhi, perché ho pensato alle tante persone che ho perso tra la prima e la seconda lettura, tra il 2010 e il 2018.

E ho pensato che così come l’avevo sentito io, sicuramente ci sarebbe stato un pubblico, delle persone che vedendo il film non avrebbero visto semplicemente un robot e un cane, ma avrebbero visto la propria vita e le persone che hanno perso. Si sarebbero ricordati di loro e del fatto che non sono più con loro oggi. E questo è il motivo per cui ho fatto questo film.

il mio amico robot pablo berger intervista

Il setting ha un ruolo molto importante. Perché hai scelto di ambientare questa storia proprio a New York e negli anni ’80?

Questa è una cosa che ho aggiunto io alla storia, perché nella graphic novel non è ambientato a New York ed è in epoca contemporanea. La ragione è che ho vissuto in quella città per dieci anni e quindi quell’elemento mi ha dato l’idea di ambientare la storia proprio lì e renderla una mia lettera d’amore alla città.

Da lì ho pensato: “E se parlassi proprio della New York che ho conosciuto io?”. Ci sono stato tante volte negli anni ’80 e poi mi ci sono trasferito nel 1990, rimanendoci fino al 1999. Quindi volevo portare la mia esperienza in quella città e rendere il film come una sorta di macchina del tempo.

Mi piace pensare che quando il pubblico lo guarda, viene trasportato indietro nel tempo. Tutti i miei film sono film storici, ambientati nel passato. E mi piace l’idea che quando le persone vengono a vedere Il mio amico robot vedono una New York che è scomparsa, che non esiste più. New York quando era il centro del mondo, cosa che non penso sia più, ma all’epoca, negli anni ’80 lo era. Ed era esaltante, vivace, diversa da qualunque altra città. Quindi questa è la ragione principale.

il mio amico robot pablo berger intervista

Anche solo guardando i fotogrammi di questo film, nella mia mente risuonano le note di September. È una canzone stupenda che ha un impatto fortissimo sul film. Ci sono stati diversi brani che hai considerato prima di scegliere September o era quella fin dall’inizio?

È stata lei fin dall’inizio, fin dalla prima versione della sceneggiatura. La storia si svolge dal settembre di un anno al settembre dell’anno dopo e sapevo che avrei avuto bisogno di una canzone su cui il robot e il cane potessero ballare con i rollerblade. Per cui ho scelto lei fin da subito. Solo dopo ho anche pensato che fosse il caso di farla tornare più volte nel film, in diverse versioni.

La cosa fantastica che non avevo realizzato quando ho scelto questa canzone – e me ne sono reso conto solo dopo in produzione – è che contiene nel testo il tema stesso del film, se lo leggi attentamente. La canzone inizia con “Do you remember the 21st night of September?” e il film parla di memoria, di come se hai perso qualcuno e ci pensi ti resti comunque vicino.

E c’è anche un’altra coincidenza: la 21° notte di settembre per me e mia moglie (che è anche una mia collaboratrice su tutti i miei film) è quando è nata nostra figlia. Quindi ho sentito che c’erano davvero delle frecce che puntavano su quella canzone.

Ma devo dire che i miei produttori all’inizio non erano particolarmente felici che l’avessi scelta perché i diritti musicali sono davvero costosi e come puoi immaginare in questo caso erano particolarmente difficili da ottenere. Ma sono valsi ogni centesimo e sono davvero grato ai produttori per essere riusciti a ottenere la canzone che volevo per il film. 

il mio amico robot pablo berger intervista

Abbiamo parlato prima del finale, che è davvero potentissimo. Ci sono state persone che ti hanno raccontato, da quando è uscito il film, aneddoti su quanto questo finale li abbia toccati?

Sono state tantissime. Io adoro avere incontri con il pubblico dopo le proiezioni, anche per questo. Io sono il tipo di regista che fa pochi film. Ogni cinque anni circa pubblico il mio film e poi sparisco. Quindi quel momento in cui “esco fuori” è esaltante.

Su Il mio amico robot ci sono state tante persone che mi hanno raccontato queste storie, ma me ne ricordo una in particolare. Una giornalista è venuta da me dicendomi “Mi hai salvato la vita. Mi sono lasciata male con il mio fidanzato recentemente e mi sono sentita come ROBOT. E ho dovuto vedere il tuo film tre giorni di fila, ne ho anche parlato con la mia psicologa… Grazie! Mi sta aiutando ad affrontare questa cosa”. E questo è solo un esempio.

Ci sono tantissimi casi diversi, ma alla fine è quello che è successo anche a me. Voglio pensare che chi sente la mancanza di qualcuno tramite Il mio amico robot possa sentire di nuovo quella connessione con le persone che non ci sono più. Credo che sia qualcosa che è successo spesso. Dato che il film non ha dialoghi, diventa quasi una sorta di ipnosi. Una parte del pubblico avrà una sorta di regressione e andrà a pescare i propri ricordi felici. 

Beh, è successo anche a me.

Davvero? E a chi hai pensato?

Ho pensato a persone che ho perso, in senso quasi letterale. Credo che questo termine sia particolarmente adatto e significativo. Non sono persone che sono morte, quanto piuttosto “perse per strada”, persone con cui avevo una connessione profonda e che ci sono ancora, ma quella connessione si è persa via. È stato davvero toccante.

il mio amico robot pablo berger intervista

Ma tornando a noi, volevo parlare di animazione. Spesso questa viene percepita come un genere a sé, nel suo insieme. Ma negli ultimi anni più che mai vediamo sempre più esempi di quanto possa essere variegata, sia da un punto di vista tecnico (dalla divisione tra 2D e 3D a tutte le sottocategorie che si creano), sia dal punto di vista narrativo. Pensi che stia cambiando anche la percezione del pubblico in generale? E come definisci tu l’animazione?

Sta cambiando, per fortuna, ma c’è ancora un soffitto di vetro. Però lo stiamo rompendo, possiamo già vederne le crepe. Naturalmente lo Studio Ghibli è stato fondamentale in questo senso, perché ha creato dei film per adulti che però erano anche per bambini, mostrando che le due cose non sono alternative. Non dobbiamo escludere parte del pubblico: possiamo conquistare cinefili, adulti e bambini insieme e penso che Il mio amico robot possa raggruppare tutti.

Ma ci sono tantissimi altri esempi che hanno contribuito. Wes Anderson e il suo L’isola dei cani, che film fantastico… O se ci penso mi vengono in mente Dov’è il mio corpo?, La mia vita da Zucchina, Mary and Max… Ci sono tantissimi esempi negli ultimi dieci-quindici anni di film che possano piacere anche a pubblici di adulti e amanti del cinema.

Quando l’anno scorso Guillermo del Toro – che peraltro è un grande sostenitore del mio film, mi sta aiutando molto – ha vinto l’Oscar per Pinocchio ha detto fortissimo: “L’animazione non è un genere, è un medium”. Ecco, lo dobbiamo ancora ripetere. Genere è la commedia, il musical, l’horror… L’animazione è un modo per raccontare una storia. Per me, da pittore, è come avere dei nuovi colori perché posso raccontare storie che sono molto diverse dai miei live-action e allarga il numero di storie che posso raccontare. Farò sicuramente altri film animati in futuro.

il mio amico robot pablo berger intervista

E su questa nota, che ci fa decisamente ben sperare, chiudiamo la nostra intervista a Pablo Berger, regista de Il mio amico robot. Il film sarà ancora il 26 marzo a Bologna e il 27 marzo a Roma per delle proiezioni speciali in anteprima con l’autore. Successivamente arriverà con una distribuzione completa a partire dal 4 aprile. Non perdetevelo!

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Autore

  • Mattia Chiappani

    Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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