Continua la corsa di PlayStation e Sony nel mondo del cinema. Dopo Uncharted arriva infatti sul grande schermo un film dedicato a Gran Turismo, che approccia però il videogioco da una prospettiva nuova. Non abbiamo infatti un adattamento diretto del titolo (che in quanto simulatore di guida offre poco materiale in questo senso) bensì di una storia incredibile, ma vera. È quella di Jann Mardenborough, che è riuscito a fare il passaggio dal joypad al volante, schivando pregiudizi e superando sfide difficilissime (non solo in pista). Cerchiamo di fare ordine nella nostra recensione del film di Gran Turismo…
La recensione di Gran Turismo: di cosa parla il film?
L’idea di un film su Gran Turismo, per chi conosce il videogioco, può essere un po’ strana. Non si tratta di un titolo dotato di una vera e propria trama (al contrario del sopracitato Uncharted), focalizzandosi piuttosto sul ricreare in maniera il più fedele possibile le corse automobilistiche, in una replica che punta a essere estremamente realistica.
Ma da qui lo spunto che ha spinto Nissan a lanciare la propria GT Academy, un progetto che puntava a trovare nuovi talenti per il motorsport proprio tra i giocatori migliori di Gran Turismo. Ed è proprio la storia di uno di questi talenti, Jann Mardenborough, a essere al centro del film, in maniera piuttosto fedele, nonostante qualche licenza narrativa.
Dopotutto, l’idea stessa dell’ascesa di un videogiocatore ai livelli massimi è efficacissima a livello di tensione drammatica, come ricordiamo dal cult Il piccolo grande mago dei videogames degli anni ’80. Qui abbiamo la sfida aggiuntiva che non si tratta semplicemente di una competizione eSport (liquidata piuttosto in fretta nelle prime fasi del film) quanto di un complesso passaggio dal mondo virtuale a quello reale.
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E l’idea stessa che questo si possa fare è solo una delle sfide che Jann deve affrontare. Sono in pochi a credere nel progetto e ancora meno che credano in lui nello specifico. Il padre, i meccanici, il marketing ma soprattutto gli altri piloti continuano a ostacolarlo e a mettere in dubbio le sue possibilità. Starà quindi a lui cogliere l’occasione e dimostrare che quel sogno non è così remoto come può sembrare.
Raggiungere tutto il pubblico possibile
Rispetto al sopracitato Il piccolo grande mago dei videogames, il film di Gran Turismo è decisamente meno “pubblicitario”, ma solo perché il primo è un termine di paragone inarrivabile. L’opera di Sony è evidentemente guidata da intenti promozionali, sia per il videogioco che per Nissan. Paradossalmente meno per PlayStation stessa, citata esplicitamente solo una volta.
Questo vale soprattutto per la prima parte, prima dell’inizio delle corse, dove la storia prende una piega più tesa e intensa. Tuttavia, possiamo comunque percepire l’influenza di questa direzione, nel fatto che il film di Gran Turismo è progettato per raggiungere la massa in maniera indistinta, cercando di compiacere più persone possibili, tenendo tutto al livello minimo possibile.
Abbiamo una sceneggiatura che è semplificata al massimo, senza nuance o veri e propri sottotesti. Ogni conflitto è esplicitato, il linguaggio tecnico è contenuto, gli easter egg sono messi a lato, per non interrompere il flusso di chi non può riconoscerli. Ne risulta una visione che è decisamente poco ambiziosa, ma che riesce a divertire e tenere in tensione per tutta la parte conclusiva.
Merito anche del regista Neill Blomkamp che sebbene metta da parte ogni velleità autoriale nello spirito di quanto abbiamo discusso finora, si dedica a creare uno spettacolo coinvolgente, mettendo in scena gli aspetti più emozionanti del motorsport. Non solo, ma trova anche le chiavi per ricordarci che si tratta sempre del film di Gran Turismo e non un generico racconto di corse automobilistiche.
Il film di Gran Turismo è un Karate Kid dei tempi moderni
Il rischio di approcciare la recensione del film di Gran Turismo con questo taglio è che passi come una bocciatura, ma non è così. Semplicemente siamo davanti a un’opera che punta a fare appassionare lo spettatore e coinvolgerlo emotivamente in una storia. Non si tratta di grande cinema, certo, ma questo non invalida il progetto.
Il paragone più immediato sono i cult del cinema per ragazzi degli anni ’80, a partire da The Karate Kid. Pellicole dai toni semplici, che però sanno fare divertire e sognare il pubblico, a partire da quello più giovane. Guardandolo in quest’ottica, non stupisce che proprio come nel film degli anni ’80 l’aspetto più convincente era il Maestro Miyagi di Pat Morita, qui è il mentore Jack Salter interpretato da David Harbour a farla da padrone. Una figura paterna (fittizia) eccezionale che guida il giovane Jann verso i suoi sogni, dando una lezione anche a noi, che osserviamo da questa parte dello schermo.
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