Detroit: Become Human è ambientato in un futuro relativamente immediato. Siamo nel 2038 e la popolosa città americana dello stato del Michigan sta diventando centro del progresso economico e tecnologico grazie alla Cyberlife, unica azienda ad essere riuscita a inventare, brevettare e portare sul mercato gli androidi. Macchine dalle sembianze umane, con un'intelligenza artificiale di molto superiore all'uomo e in grado di svolgere qualsiasi compito, dalla bassa manovalanza a impieghi di concetto, rispettando ed eseguendo gli ordini dei proprietari.
L'avvento degli androidi ha naturalmente sconvolto fin dalle fondamenta l'economia con ripercussioni gravissime sull'occupazione e più in generale sull'idea di stato sociale e di urbanizzazione delle città. La Detroit in versione 2038 è una città ancora ricca di contrasti, nella quale le soluzioni avveniristiche delle zone più ricche convivono con la miseria e la povertà dei quartieri più disagiati. Un futuro non molto diverso dal nostro presente. Il mondo disegnato da Cage è afflitto da profondi turbamenti economici, sociali, culturali ed etici: il mondo del lavoro, le forze armate, i rapporti internazionali, perfino il sesso sono stati sconvolti dalla comparsa degli androidi.
A mettere in moto la narrativa sarà una presa di coscienza da parte di un gruppo ristretto (ma in costante aumento) di androidi che sono riusciti a superare i limiti imposti dalla loro programmazione per liberarsi dal controllo umano e guadagnare una precisa identità: sono i cosiddetti devianti, esseri senzienti capaci di pensare in modo autonomo, che arrivano persino a provare delle emozioni. Cosa rende gli umani… umani? È una mera questione biologica? La capacità di provare emozioni? Cage decide di affrontare due tra i temi più pesanti tra quelli che erano apparsi nei suoi giochi precedenti: l’umanità e il suo rapporto con il progresso tecnologico. Dalla letteratura a partire da Asimov e H. G. Wells alla fantascienza tradizionale, al cinema: BladeRunner e 2001: Odissea nello spazio. Tutte opere che esplorarono il rapporto fra uomo e macchina. Potresti mai avere una relazione con un androide dalle sembianze umane? Pensi che la tecnologia possa diventare una minaccia per l’uomo? Quante ore pensi di trascorrere davanti ad un oggetto elettronico? Se dovessero operarti d’urgenza, accetteresti d’essere operato da un androide? Affideresti tuo figlio alle mani di una baby-sitter robotica?
Queste sono alcune delle domande che Detroit pone al giocatore. Problemi e tematiche attualissime per la nostra età contemporanea nella quale, da Nietzsche a Spengler, da Bergson a Marcuse, si sviluppa un’intensa critica sociale e culturale particolarmente aspra nei confronti della tecnica vista come l’emblema di un decadimento morale. Agli antipodi di questa critica si trova la posizione di Gehlen, per il quale rifiutare la tecnica equivale a rifiutare l’intera società attuale, sorta (e tuttora in via di formazione) a seguito di radicali mutamenti derivanti dal fenomeno dell’industrializzazione. Il fine ultimo della tecnica risiede nel tentativo di dominare la realtà concreta, tentativo che in passato competeva alla magia che si poneva come potenza in grado di controllare la natura, evitando, quindi, che gli uomini venissero travolti dalle forze naturali.
La tecnologia e la tecnica di fatto mutano l’etica, scegliendo fra le etiche concorrenti secondo indice di utilità e efficienza. La fluttuazione etica, risultato del continuo progresso, si rimodella su un rapporto in cui la tecnologia cresce in termini esponenziali e non sempre lineari con un progresso tecnico che supera spesso le capacità di comprensione e previsione degli esseri umani: sempre più complesse ed imprevedibili le conseguenze nonché le implicazioni, fino a prevedere una possibile futura “singolarità tecnologica”: un concetto di cui il matematico e romanziere Vernor Vinge cominciò a parlare negli anni ottanta, raccogliendo i suoi pensieri nel 1993 nel saggio Technological Singularity. Il saggio contiene l'affermazione, spesso citata, secondo cui "entro trenta anni, avremo i mezzi tecnologici per creare una intelligenza sovrumana. Poco dopo, l'era degli esseri umani finirà.” La singolarità è spesso vista come la fine della civilizzazione umana a cui seguirà la nascita di una nuova civiltà, la creazione di un'intelligenza sovrumana dinnanzi alla quale l’uomo sarà una forma di vita inferiore.
Pura fantascienza? Storie utili solo alla creazione di videogiochi come Detroit? Forse. Eppure durante il week-end tra 31 maggio e 3 giugno si è tenuto a Trento il celebre Festival dell’Economia. Titolo dell’edizione 2018 è “Lavoro e Tecnologia”: “L’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro e gli effetti sulle economie locali”, “Quando il logos si fa macchina”, “I robot ci ruberanno il lavoro?” sono solo alcuni titoli degli interventi proposti al festival. La tecnologia può elevare il lavoro e creare tempo libero, ma ogni qualvolta si assiste ad un’accelerazione del progresso tecnologico, le tesi secondo cui le macchine sostituiranno interamente l’uomo prendono piede. La fine del lavoro è stata decretata centinaia di volte, con un pessimismo tecnologico che trascende gli anni di crisi. Automazione significa distruzione di lavoro, sostituzione di lavoro svolto dall’uomo con macchinari, ma l’automazione in genere porta con sé anche un aumento della produttività e dei salari… e allora quale futuro?
Come conciliare umanità e sviluppo tecnologico? Già nel 1967 Marshall McLuhan affermava: "Nelle ere della meccanica, avevamo operato un'estensione del nostro corpo in senso spaziale. Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell'elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio". Con l'ossimoro del metaforico villaggio globale il sociologo canadese intende sottolineare come (ad esempio tramite l'avvento del satellite che ha permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza) il mondo sia diventato piccolo e abbia assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio. Alla base del suo pensiero vi è un accentuato determinismo tecnologico, cioè l'idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzabili dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone: qualsiasi tecnologia costituisce allora un medium, ovvero un’estensione dei sensi ed un potenziamento delle facoltà umane. La tecnologia influisce così sull’organizzazione cognitiva, che a sua volta ha profondi effetti sull’organizzazione sociale.
“Psicotecnologie”, ovvero tecnologie che estendono la mente così come altre tecnologie ‘fisiche’, come la macchina o la bicicletta, estendono il corpo. La tecnologia fa paura soprattutto perché smaterializza e disintermedia. Eppure sono caratteristiche che consentono a ciascuno di noi di estendere il proprio raggio d’azione sul mondo. Quello che dovrebbe spaventarci è uno scenario in cui la tecnologia prenda il posto dell’uomo nell’analizzare la realtà e nel prendere delle decisioni. Dalla medicina alla produzione industriale, dalla mobilità all’assistenza agli anziani, non c’è campo che non sia in qualche modo interessato dalla presenza di macchine in grado di svolgere funzioni e compiti in modo ogni giorno più simile ai loro omologhi umani.
Alcuni sono già in grado di fare da receptionist, altri i commessi, con indicazioni fornite in più lingue e la capacità di identificare gli oggetti mostrati attraverso la fotocamera per poi accompagnare i clienti negli specifici reparti. Altri ancora, anche se incorporei, diventano onnipresenti assistenti personali, come Cortana o Siri, che seguono il padrone ovunque, al prezzo di uno smartphone. “Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno” scriveva Albert Einstein. Il patrimonio umano, scientifico e culturale, è patrimonio che i robot, in quanto moltiplicatori di processo, possono aiutare a far crescere, ma che è pur sempre l’ingegno umano a originare, svezzare e sviluppare. “Baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate” diceva Steve Jobs presentando uno dei suoi “cellulari intelligenti”.
Forse Detroit è solo uno splendido videogioco fantascientifico. Forse racconta storie di altri mondi, che noi non arriveremo mai a sperimentare. Forse. Eppure non è mai troppo presto per parlarne e, forse, per iniziare a preoccuparsene.
Testi di Tommaso Ropelato (Ecce Ovo)
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