Neanche tre mesi fa abbiamo parlato della fase di decadimento che stanno attraversando le serie Marvel-Netflix (qui) e con il destino che è toccato a due di loro mai parole furono spese meglio. Nella settimana in cui sono state ufficialmente cancellate le serie dedicate ad Iron Fist e Luke Cage esce la terza stagione di Daredevil, a dover contrastare questa tendenza finale.
Silenzio, entrano i protagonisti
Le luci sul pubblico si spengono, riparte la sigla sanguinolenta e il campione fa il suo ingresso all’interno del ring. È un protagonista a pezzi quello che ci presenta Erik Oleson, nuovo showrunner, disteso su un letto, distrutto nell’animo e ferito nel corpo. Ritroviamo Matt Murdock esattamente dove lo avevamo lasciato: sopravvissuto al crollo di un edificio che riapre gl’occhi dopo aver visto svanire tutte le sue certezze. Nel frattempo, per un eroe che crolla un criminale si prepara a rialzarsi, con Wilson Fisk che ordisce un piano machiavellico per tornare al potere. L’intreccio della terza stagione riparte da qui: dalle due colonne che hanno sorretto la prima stagione, rendendola puro oro rosso. La serie si dimentica delle influenze orientali e torna a fare quello che sa fare meglio: illuminare New York con atmosfere cupe, tinte poliziesche e colori infernali. Contrappone i due pesi massimi, in uno scontro che vuole ricordare quello del secolo, ma che finisce per superarlo. La terza stagione di Daredevil non si erge sui fantasmi della prima e si prende tutta la scena, tutte le briciole. E l’applauso è generale. Vince perché non lascia il tempo a paragoni con le vecchie stagioni.
Struttura, scene d’azioni e un dualismo decisivo
Il merito di questo spettacolo in tredici puntate (format in cui Daredevil si ritrova alla grande) è dovuto all’allenamento che li ha portati fino al ring, la storia, e ai lottatori, i personaggi. Due semplici elementi per una riuscita sicura. La scrittura è solida, con protagonisti e comprimari che hanno ben focalizzato l’obiettivo e non si perdono in poltiglie riempitive solo per poter aggiungere falso valore alla storia. Proprio così facendo, essendo tutti volti allo sviluppo della trama, di valore ne acquista a iosa. Il dualismo bene e male è sviscerato e smembrato nella lotta tra ragione e fede, dannazione e redenzione, colpa e perdono. Mai come in queste puntate percepiamo il sottile limite che separa giusto da sbagliato e tifiamo perché venga superato, perché si possa risolvere nel modo più semplice, ma per fortuna non va così: Matt si dimostra incrollabile e incorruttibile.
Quello che all’inizio ci sembra un abbandono totale del suo alter ego quotidiano a favore del Diavolo, non è altro che un tentativo di ricostruire la sua personalità. È un cieco a cui è stato tolto il bastone della fede, della sicurezza, delle sue capacità. Deve rialzarsi e ogni volta che tenta di farlo viene di nuovo preso a botte, perforato, aperto, pestato nel modo più brutale possibile. Il sangue colora tutto il suo cammino. Incrollabile, instancabile però Matt Murdock si rialza, come un pugile dopo l’ennesimo knockout. Guantone a terra e spinge su, ad ergersi di nuovo con la faccia ricoperta del colore del Diavolo: il rosso. Charlie Cox si riconferma sublime nella parte, perfetto nel connotare la spaccatura interiore dell’eroe, diviso su quel limite sottile che lo cambierebbe per sempre. Affronta tutta la stagione con il rifiuto del vecchio e torna alle origini con la scelta del costume nero, a contrapporsi a quello bianco e puro scelto dal suo avversario: Wilson Kingpin Fisk.
Qui partono gli applausi, perché se il campione difende egregiamente la sua cintura, mai nel piccolo schermo supereroistico c’è mai stato uno sfidante come Wilson Fisk. Vincent D’Onofrio, dopo la breve apparizione nella seconda stagione, si riprende lo scettro di nemico numero uno di Devil e lo fa con un brutale pragmatismo da lasciare a bocca aperta. È calmo e violento allo stesso tempo, con la sensazione di poter scoppiare in qualsiasi momento. La sfumatura gutturale della sua voce è intimidatoria, conferendogli quella superiorità che gli appartiene senza muovere un muscolo. Perché nonostante la stazza e la forza, ciò che più temiamo è il suo cervello, i suoi piani, il suo animo. L’animo di un bambino paffuto che ha ucciso il padre a martellate ed ora è cresciuto. Freddo, calcolatore, senza scrupoli, unicamente fedele al proprio sogno, Kingpin è colui che più si è avvicinato alla cintura del campione.
E i comprimari?
Se la terza stagione di Daredevil è però riuscita nella difesa della cintura lo deve anche ad un cast di comprimari che non ci sta a passare per semplici comparse. Si portano ai due angoli degli sfidanti e si fanno sentire. I vecchi fedeli amici del Diavolo, Karen Page e Foggy Nelson (Deborah Ann Woll e Elden Henson), tornano più agguerriti che mai, a sostenere il loro campione. Menzione particolare per la prima che migliora la caratterizzazione del suo personaggio (nonostante un flashback dimenticabilissimo). Se Matt ritorna e non cade è anche merito loro. Con le nuove entrate, però, la stagione si assicura i migliori intervalli possibili dallo scontro principale. L’ascesa dell’agente Benjamin Poindexter (Wilson Bethel) al supercriminale con il bersaglio è raccontata con i tempi giusti, le mosse giuste e il cinismo necessario a renderlo l’assassino psicopatico che ci meritiamo. E mentre un agente federale cade, un altro si alza, dimostrando la sua integrità. Jay Ali nei panni dell’agente Rahul Nadeem è la vera luce di un sistema caduto nell’oscurità di Fisk. È però Suor Maggie (Joanne Whalley), alla faccia dei due agenti, la vera sorpresa tra i nuovi ingressi. I suoi dialoghi e le sue scene sono la bussola che aiuterà il Diavolo nel momento di difficoltà. Scelte sofferte per un’integra responsabilità.
La terza stagione di Daredevil è oro puro per gli appassionati. Fa della scrittura, delle scene di combattimento (piano sequenza di undici minuti … così per capire) e dei dialoghi i suoi punti di forza, un must per risollevare quello che poteva sembrare un pugile a terra. Mai come ora capiamo quanto il Diavolo possa essere davvero vulnerabile, e mai come ora sappiamo quanto invece sia coraggioso. La terza stagione di Daredevil ci mostra come una serie senza speranza possa essere una serie senza paura.
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