Il 2025 si apre nel segno dell’horror e, per tutto gennaio, non ha smesso di confermarlo, come dimostra questa recensione di Companion, il nuovo thriller sci-fi dalle sfumature horror-comedy di Warner Bros., in uscita nelle sale il 30 gennaio.
L’esordio alla regia di Drew Hancock si configura come uno dei debutti più intriganti del panorama cinematografico contemporaneo. Companion non solo mescola con abilità generi apparentemente distanti come fantascienza, horror, thriller e persino commedia, ma lo fa con una freschezza e un’intelligenza capaci di catturare immediatamente l’attenzione dello spettatore. Il film si colloca al crocevia tra un’analisi critica delle dinamiche relazionali, i pericoli legati all’abuso dell’intelligenza artificiale e, soprattutto, una riflessione profonda sulla visione maschile della donna nella società, rivelandosi un prodotto di rara complessità e ambizione.
La trama: la relazione perfetta (non) esiste
La storia di Companion ruota attorno a Iris (interpretata magistralmente da Sophie Thatcher), un androide progettato per essere la compagna ideale, e Josh (Jack Quaid, l’Hughie di The Boys), il suo fidanzato umano. Tuttavia, Iris non è consapevole della sua vera natura. Se da un lato avverte un vuoto dentro di sé, un’angoscia costante e un “mal de vivre” facilmente riconducibile alla depressione, dall’altro l’incontro da sogno con Josh e il loro rapporto diventano la sua ancora di salvezza. L’amore viscerale e incondizionato che prova per lui le permette di dare un senso alla propria esistenza, facendola sentire tutto fuorché perfetta. Josh è il centro di ogni cosa: solo attraverso di lui Iris riesce a determinarsi e realizzarsi, e a lei sembra andare bene così. D’altronde, come potrebbe essere altrimenti? Come Josh non mancherà di ricordarle fino alla nausea, è il suo software. È stata programmata così.
I due decidono di trascorrere un weekend in una remota casa sul lago insieme ad alcuni amici, ma quella che inizia come una tranquilla fuga dalla routine si trasforma rapidamente in un incubo sanguinolento. L’intreccio, caratterizzato da numerosi plot twist, svela progressivamente dettagli inquietanti sulla vera natura di Iris e sul passato di Josh, gettando un’ombra sinistra sulle dinamiche tra gli altri personaggi coinvolti, tra cui Eli (Harvey Guillén) e il suo compagno Patrick (Lukas Gage), o l’altezzosa e invidiosa Kat (Megan Suri).
Sebbene a un certo punto del film sia quasi scontato dove Hancock voglia andare a parare, ciò che distingue Companion da altri titoli dello stesso genere è la capacità di bilanciare una narrazione stratificata con un ritmo che non perde mai mordente. Drew Hancock guida lo spettatore attraverso una serie di rivelazioni che risultano sempre credibili grazie alla coerenza interna della storia. Il film si prende il tempo necessario per costruire tensione e sviluppare i personaggi, evitando facili scorciatoie narrative ma senza inutili dilungamenti.
Il risultato è un horror old school perfettamente bilanciato in 90 minuti, in cui ogni secondo è sfruttato al meglio. I toni della commedia si alternano a momenti più drammatici e grotteschi, offrendo una generosa dose di sangue e violenza, ma con un sottotesto che richiama tanto La fabbrica delle mogli quanto Black Mirror (ai suoi bei tempi). Il film si pone così come una riflessione attuale sia sulle dinamiche di genere sia sull’uso – o forse l’abuso – della tecnologia.
Il mix perfetto di commistione, audacia e un cast eccellente
Uno degli aspetti più interessanti di Companion è la sua capacità di sorprendere, cambiando registro senza mai perdere la propria essenza più autentica. Il film coinvolge lo spettatore dall’inizio alla fine, evitando il rischio di scivolare nella noia o nella ridondanza. Quella che inizialmente sembra una storia di stampo relazionale piuttosto semplice si trasforma rapidamente in qualcosa di molto più complesso e inquietante. Questa evoluzione è gestita con una maestria rara per un’opera prima e dimostra la versatilità di Hancock come narratore.
Considerando che i produttori sono gli stessi di Barbarian – film noto per il suo audace cambio di direzione a metà della narrazione – si potrebbe quasi parlare di un marchio di fabbrica. Tuttavia, a differenza di Zach Cregger, il cui film si distingue per un secondo atto coraggioso e sorprendente ma a tratti acerbo, Hancock dimostra una scrittura più lucida, asciutta e sicura.
Il mix di generi, che nelle mani di un regista meno esperto potrebbe risultare dissonante, è invece uno dei punti di forza del film. Drew Hancock riesce a passare senza sforzo dalla commedia al thriller psicologico, mantenendo sempre un tono coerente e coinvolgente. Questo equilibrio è particolarmente evidente nelle scene di tensione, dove momenti di leggerezza si alternano a sequenze più adrenaliniche e cariche di suspense, creando un effetto emotivo che tiene lo spettatore costantemente sulle spine.
L’efficacia della narrazione è amplificata anche da un uso sapiente della macchina da presa, che accresce il senso di claustrofobia man mano che la storia procede. Le scelte stilistiche – come l’illuminazione soffusa e le inquadrature strette – immergono lo spettatore nel mondo interiore dei personaggi, evidenziandone i conflitti più profondi. Allo stesso tempo, le scene in esterna tendono a isolarli e disperderli in uno spazio quasi sospeso, ai confini della realtà, evocando quell’atmosfera tipicamente Black Mirror.
A completare le abilità del regista, Companion può contare anche su un cast eccellente. Sophie Thatcher, nota per il suo ruolo in Yellowjackets, offre un’interpretazione straordinaria nei panni di Iris. Il suo personaggio è un androide progettato per essere perfetto, ma la sua performance riesce a umanizzare questa perfezione in modo tanto inquietante quanto affascinante. Thatcher trasmette un’ampia gamma di emozioni, passando dalla dolcezza disarmante alla fredda determinazione, rendendo Iris una figura al tempo stesso empatica e perturbante.
Jack Quaid, dal canto suo, dà vita a un Josh che inizialmente appare affabile ma si rivela progressivamente più complesso e oscuro. La chimica tra i due protagonisti è palpabile e le loro interazioni contribuiscono a costruire gran parte della tensione emotiva del film. Anche i personaggi secondari, pur avendo meno spazio, sono interpretati con grande cura. E poi, diciamolo: ameremmo Harvey Guillén – il Guillermo di What We Do in the Shadows – in qualsiasi ruolo!
Tra tecnologia e libertà: Companion e la rottura del machismo
Al di là del genere e della sua efficacia come horror, ciò che più colpisce di Companion è la capacità di affrontare temi attuali e polarizzanti senza mai risultare didascalico. Il film esplora l’etica dell’intelligenza artificiale, ponendo interrogativi profondi su cosa significhi essere umano e sul desiderio di controllo che caratterizza molte relazioni interpersonali. In particolare, la figura di Iris rappresenta una critica pungente alle aspettative irrealistiche spesso imposte alle donne, evidenziando come la tecnologia possa amplificare dinamiche di potere già esistenti. Emblematico è il momento in cui Kat, colta di sorpresa dalla presenza di Iris, si sente minacciata al punto da confessarle:
Mi fai sentire sostituibile!
Quante volte ci siamo sentite sostituibili? Intercambiabili, come ingranaggi difettosi in una macchina che non ci appartiene? Quante volte quegli standard imposti, così profondamente radicati nella nostra società, ci hanno fatto dubitare di noi stesse, del nostro valore, della nostra unicità? La società patriarcale ci vuole perfette, ma non troppo ambiziose; belle, ma non troppo ribelli; intelligenti, ma mai abbastanza da sfidare l’ordine prestabilito. Ci modella come androidi: programmate per essere funzionali, sempre sotto controllo, mai davvero libere. La nostra esistenza deve ruotare attorno ai bisogni di qualcun altro – un uomo, la famiglia, la collettività – mai attorno a noi stesse. Se siamo troppo indipendenti, diventiamo una minaccia; se non ci conformiamo, veniamo emarginate.
Ci insegnano che il nostro valore risiede nella capacità di compiacere: il nostro corpo deve soddisfare uno sguardo esterno, la nostra voce non deve essere troppo forte, i nostri sogni devono essere calibrati per non disturbare nessuno. E così, ci ritroviamo intrappolate in un paradosso soffocante: essere perfette, ma non abbastanza da poterci autodeterminare; essere desiderabili, ma senza mai possedere davvero noi stesse. Il desiderio di Josh di avere una compagna perfetta diventa così una metafora dell’oggettivazione e della disumanizzazione, mentre la lotta di Iris per affermare la propria autonomia riflette le sfide di chi cerca di liberarsi dai ruoli imposti.
La sceneggiatura di Hancock è brillante proprio nel modo in cui intreccia questi temi alla narrazione più strettamente thriller e action. In quella che diventa presto una lotta per la sopravvivenza, tra un colpo di scena e l’altro, Iris – l’unico (apparentemente) essere non umano della pellicola – ha un risveglio. Assume piena consapevolezza di sé. Comprende che la sua esistenza, così come quella di chiunque altro, non può e non deve dipendere da nessun altro.
Cosa distingue una macchina da un essere umano, alla fine? Un interrogativo che attraversa la letteratura, il cinema e il dibattito contemporaneo, soprattutto negli ultimi anni. Probabilmente la coscienza. Una coscienza che si risveglia anche in Iris, al di là dei suoi fili, degli ingranaggi, della pelle in lattice. Iris esce dallo schema. Quello stesso schema che ci considera strumenti anziché esseri umani. Quello schema che ci soffoca, perché non siamo macchine, non siamo sostituibili, non siamo difettose. Siamo donne. Iris è una donna. E per quanto il suo percorso – come quello di qualsiasi donna che sceglie di liberarsi – sia doloroso e feroce, il suo valore non sarà più misurato in funzione di qualcun altro.
In definitiva, Companion è molto più di un semplice film di genere. È un’opera che sfida le convenzioni, offrendo una narrazione ricca di sfumature e una riflessione profonda sulla condizione umana. Drew Hancock si afferma come una voce originale e promettente nel panorama cinematografico, mentre Sophie Thatcher e Jack Quaid dimostrano ancora una volta il loro straordinario talento.
Con la sua miscela di intrattenimento e profondità, Companion è destinato a rimanere nella mente degli spettatori molto dopo i titoli di coda. Se questo è solo l’inizio della carriera di Hancock, non possiamo che essere entusiasti di ciò che verrà.
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