Cosa succede quando non si hanno amici, non se ne hanno mai avuti, ma si sente comunque nostalgia di una vita normale e con relazioni amicali? Si può davvero avere nostalgia di qualcosa che non si ha mai avuto e non si è mai sperimentato? Un’illusione mentale che si accompagna ad altri schemi comportamentali incistitisi nel tempo e che hanno portato a crearsi una gabbia fisica e psicologica intorno a sé per tutta una vita. Non manca nemmeno qualche scheggia nel cuore che ha determinato piccole, grandi ferite sin da bambini.
La solitudine dell’animo umano, o la libertà dagli schemi sociali prestabiliti? Una domanda che, accanto ad altre, ci ha accompagnato nel corso della visione di Amanda, film scritto da Carolina Cavalli e uscito al cinema lo scorso 13 ottobre. Abbiamo potuto partecipare a una sessione di visione in sala al cinema Anteo a Milano, seguita da sessione di Q&A con parte del cast. Sul palco del cinema, l’autrice del film, con parte del cast: Benedetta Porcaroli e Michele Bravi. Vi accompagnamo in una riflessione sul film, già disponibile nelle sale, e su alcune riflessioni emerse durante il Q&A finale.
Amanda, siamo tutti soli finché non proviamo a unirci
Piccole principesse crescono. Ma non tutti i regni sono destinati a durare. Costume chic, occhiali da sole da vamp, cereali sgranocchiati distrattamente mentre si gode il sole dal materassino gonfiabile in piscina. Poi un tuffo, mentre Marina, la sorella maggiore, rimane assorta nei suoi pensieri e la domestica che si accorge per puro caso che Amanda non sta nuotando. Ma il tempo passa e i dissapori restano.
Amanda ora ha quasi 25 anni, ha vissuto a Parigi per lungo tempo. L’ennesimo cambio di residenza non ha giovato alle sue problematiche relazionali, evidenti sin dall’età dell’infanzia. Non ha alcun amico, ha avuto a fatica relazioni sentimentali e questo l’ha portata a vivere in una dimensione tutta sua. OItre che a stare in una camera degna di uno scalzacani in un hotel dimenticato da Dio. Alloggio frugale, ma l’iPhone tra le mani, dalla IA con cui dialoga ampiamente, non può mancare, simbolo della borghesia a cui appartiene.
I soldi però non fanno la felicità, nemmeno stavolta. Nemmeno per Amanda che viene additata come pigra, in grado solo di crearsi problemi inesistenti e senza alcuna voglia di lavorare. L’alternativa era facile: poteva stare nella farmacia di famiglia, dove invece lavora la sorella. Lei è ormai sposata (ma di cui non vedremo che una volta il marito) e ha due figli. Sarà in particolare la figlia maggiore, Stella, ad avere a sua volta qualche turba psicologica, affrontata con due approcci diametralmente diversi tra madre e zia.
Amanda però non è forse come viene dipinta. Ha una sua grinta, morde la vita ed è quasi più brava a cercare di stimolare le sinapsi altrui, rispetto alle sue. Riesce ad avvicinare uno “spacciatore di preservativi” ai rave party e a riallacciare i rapporti con un’amica d’infanzia, Rebecca, la quale è la classica rappresentazione degli hikikomori. Un fenomeno, quest’ultimo, sempre più attuale e altrettanto discusso e affrontato, a partire dagli ultimi anni che ci hanno visto chiusi in casa e lontani dalla vita sociale per obbligo e non per volontà, come invece sostiene Rebecca.
Lei non ci vuole andare, alle feste. Lei sta chiusa in camera sua per scelta, lo ha fatto anche per un anno intero, come suggerisce la madre Viola, interpretata da una Giovanna Mezzogiorno splendidamente calata nella parte di chi, a sua volta, non riesce a condurre una vita normale. Quasi banale, oseremmo dire, ma almeno lontana dai problemi psicologici di cui tutti i protagonisti della pellicola targata Elsinore Film Wildside & Tenderstories.
La salute mentale e le sue sfumature, tutte al femminile
Lungi dal voler arrivare a spoiler o a momenti più in là con la visione del film, possiamo però addentrarci in un’analisi breve di Amanda, tra le problematiche emerse qua e là nei 94 minuti di pellicola. La prima protagonista porta praticamente sempre gli stessi vestiti, determinata a imporre il suo stile e il suo personaggio a prescindere dagli ambienti e dalle circostanze in cui si trova. I cambi d’abito sono davvero pochi, quasi a segnalare i vari snodi della trama che incedono con un buon ritmo durante l’intero film. La storia mette in evidenza dunque diversi modi di manifestare disagi e problematiche legate all’ampio, complesso e sensibile tema della salute mentale, prendendo a esempio quasi esclusivamente personaggi femminili.
Il difficile triangolo relazionale tra Amanda, Marina e la madre Sofia; Rebecca e la sua solitudine, lontana dalla sottomessa madre Viola e quasi succube della terapeuta. Infine la nipote di Amanda, anch’essa già in terapia a soli otto anni. Vittima di un ambiente familiare soffocante o forse ereditiera di un fardello psicologico scritto nel DNA. I toni sono aspri tra di loro, solo con il tempo alcuni di questi riescono ad addolcirsi. I difficili incastri tra i pezzi di un puzzle che forse non appartengono allo stesso disegno sono tangibili fin da subito.
Due metà della stessa mela: Amanda e Rebecca
Un’altra riflessione è legata alle mancanze vissute da Amanda: dove non arriva la realtà, il vuoto viene colmato dalla fantasia. Si nutre di sue immaginazioni talvolta, cambia la realtà dei fatti in maniera sottile, pur di avere ragione e di non annegare nella piscina della vita, nella quale ancora oggi non sa nuotare, ma forse ci prova. A modo suo. Amanda, il film, porta sullo schermo un film complessivamente forte, per quanto la tensione e le difficoltà delle esistenze dei personaggi siano smorzate da qualche battuta e da situazioni tragicomiche.
L’attinenza con il teatro dell’assurdo a volte non è nemmeno così lontana e implicita, anzi, così da rendere la rappresentazione del mondo “mentale” dei protagonisti ancora più difficile da comprendere, ma evidente agli occhi dello spettatore.
L’altra faccia di Amanda è Rebecca, la ragazza che sta chiusa in se stessa, e ci sta bene, o almeno lo crede. Fino a quando non incontra, di nuovo, Amanda. Le scompiglia la vita e che quasi deve essere allontanata da lei per via dei “segnali di disturbo del comportamento borderline” che manifesta. Rebecca era la sportiva brava in tutte le discipline. Ha diverse coppe e medaglie stipate in una scatola all’interno di una camera ampia, ma sempre chiusa al mondo. All’interno, a sua volta, di una casa spoglia, per far emergere maggiormente la complessità delle loro anime inserite in una vita povera di orpelli. Ma mai in condizioni economiche disagiate.
Dietro le quinte del film, e della sua realizzazione: la sessione Q&A
In seguito alla visione del film, sono tornati sul palco la regista e sceneggiatrice Cavalli con Porcaroli e Bravi, dopo un primo, breve saluto iniziale, per una sessione di domande e risposte con il pubblico. Moderata da Simone Soranna, giornalista cinematografico, dopo aver rotto il ghiaccio con qualche battuta, Benedetta Porcaroli sostiene di aver apprezzato il personaggio di Amanda. Il personaggio è più intransigente di lei e presenta anche qualche differenza, ossia avere degli amici, o almeno presunti tali (ride, ndr).
Anche Michele Bravi è rimasto affascinato dall’ironia “francese e poetica” che trasuda dalla sceneggiatura. Ha strappato qualche sorriso quando il suo personaggio passa dallo spacciare preservativi, a dettagliare il suo shampoo alla fragola comprato dalla madre. Due facce che quasi stridono ed equilibrano paradossalmente il pusher che interpreta nel film.
Infine alcune domande emerse durante la sessione hanno riguardato la scelta di una rappresentazione così malinconica e singolare della solitudine. Hanno anche chiesto a Michele Bravi come si è inserito in questo nuovo ambito dell’intrattenimento e a Benedetta Porcaroli come ha scelto di sperimentare questo ulteriore ruolo in un film non commerciale, come altre sue precedenti rappresentazioni. Cavalli ricorda che è una storia di solitudine e spaesamento. Ritrovare una persona amica è fondamentale per comprendersi e sentirsi a casa, un antidoto infantile a una condizione esistenziale alla quale non possiamo davvero scappare.
Bravi aveva già sperimentato il mondo del cinema, ma ha apprezzato il fatto che la regista gli abbia offerto un ruolo che lo stacchi dal suo classico modo di porsi sullo schermo. Porcaroli invece cerca sempre di inserire se stessa e le cose in cui crede nei film dove decide di partecipare, sempre con tanto amore per il suo lavoro. Un’altra riflessione ha fatto emergere la responsabilità di dare voce alla solitudine e difficoltà dei giovani.
Senza dare un nome al luogo in cui si svolgono le vicende, prendendosi l’impegno di portarlo di fronte anche ai ragazzi in età liceale. Riesce a dare loro sollievo per mostrare delle condizioni che vivono anch’essi, empatizzando con loro. Un film sincero, dice il pubblico, che si chiede anche come potrebbero evolvere nella vita reale i personaggi portati sullo schermo e che sta suscitando interesse e successo tra il pubblico. Toccante, umano, sensibile e duro al tempo stesso, senza limiti geografici per dare voce allo spaesamento reale.
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Credo sia errato definire Amanda una persona con disturbo borderline di personalità.
Mi ha dato molto fastidio quando lo hanno detto nel film.
Crea una falsa visione della realtà di questo disturbo molto complesso e spesso usato a sproposito perché “fa figo”.
Ne parlo con cognizione di causa perché ne soffro (con vera diagnosi) e ne ho studiato per tanti anni i sintomi, oltre anni di terapia su me stessa.
Probabilmente gran parte del personaggio mostra tratti da sociopatico più che borderline.