Ci sono due tipi di persone: chi quando dici "L'uomo più Veloce del Mondo" pensa a Flash e chi a Usain Bolt. No, nessuno pensa a Quicksilver.
Ma forse c'è perfino chi pensa a entrambi.
Cento metri. Finalmente sei su quella pista. Tutto lo stadio borbotta, strilla, urla, sventola il tuo nome in attesa dello sparo, ma tu non li senti. Il cuore ti batte forte, i muscoli sono tesi, fremono e non riesci a stare fermo. Rialzi lo sguardo.
Sono sempre cento metri. La domanda che devi farti è una sola: sei Flash (Garrick o West poco importa) o Bolt?
Sorridi, alzi la mano quando ti chiamano ma la tua attenzione è ai passi, alla posizione e alla strada rossa davanti a te. Immagini più e più volte ogni singola mossa.
“Ai vostri posti”. Il piede destro sarà quello di richiamo, il sinistro quello di spinta. Mani saldamente a terra.
“Pronti”. Ti sposti, aggiusti e ti sistemi pronto allo sparo.
“Via”. Stacchi le mani, alzi la testa e spingi coi piedi fino a esplodere nella corsa. Da ora non conta niente e nessuno, ci sei solo tu e quei dannati cento metri. Hai lavorato sodo per essere fin qui. Lo sai bene che un solo errore vale tutto. Un insignificante piccolo errore e il lavoro di anni svanisce.
Eppure ci siete solo tu e quei cento metri, forse Quicksilver tra gli spalti.
In questa concisa narrazione possiamo riassumere la specialità dell’atletica leggera che è i 100 metri piani. Conosciuta da tutti, grandi e piccini, è la disciplina di velocità per eccellenza, la gara più breve di tutto il repertorio ed è anche quella che dichiara la persona più veloce del mondo.
E con i primati olimpico (9’’63) e mondiale (9’’58) ancora oggi imbattuti il giamaicano Usain Bolt è colui che ne detiene il titolo, considerato il più grande velocista di tutti i tempi, velocista reale, altrimenti arriverebbe dopo Flash.
Ma se anche Muhammed Alì (nella famosa copertina) poteva combattere a armi pari con Superman, perché non potrebbe farlo Bolt con Flash?
Noi di Orgoglio Nerd, senza soffermarci sulla sua lunga e vincente carriera, vogliamo rendere omaggio alla sua ultima impresa.
Compiuta ai mondiali di Pechino svoltisi quest’estate, è degna di essere trasposta e diventare il momento saliente di un film storico-sportivo, quando il protagonista afferra la tanto attesa rivalsa e conclude tra l’abbraccio delle persone care il finale; ma andiamo con ordine.
All’apertura di questi mondiali Usain arriva da un 2015 sottotono fatto di silenzi, ombre e dubbi sulle sue reali possibilità di poter ancora dare qualcosa. Sembra aver perso quella spensierata tranquillità che l’aveva consacrato a sorridente “Lightning Bolt”, in grado di ridere e scherzare fino a pochi attimi prima della gara per poi essere subito serio quando c’era da giocar duro.
Appare appesantito dagli anni e da una corona che lo impossibilita ad essere normale; un peso che sembra, all’inizio della competizione, troppo gravoso per le sue spalle, una sorta di caschetto con dei fulmini che ti identifica come eroe.
Il suo avversario per il titolo, Justin Gatlin, da contro arriva da 29 gare imbattuto, portando sui 100 i migliori tempi del 2014. E proprio come nei film, su Gatlin pende l’ombra dell’ex-dopato, del cattivo che si scontra contro il paladino della salute e dello sport. È chiaro che è l’antagonista.
I media giocano sul classico binomio bene-male e la competizione si satura di obblighi, certezze e prove che nessuno ha chiesto ma che tutti esigono.
Come da copione la semifinale passa per il rotto della cuffia. È pessima, non è la sua. A fine gara scuote la testa rassegnato, senza sorridere, ma è in finale. Prima di cominciare scambia un amichevole cinque con il favorito, il suo antagonista, poi prende posizione in corsia cinque. Non sorride. Segno della croce e si prepara. Lo sparo arriva e lui è preparato (e fortunato).
Gatlin ai blocchi fa la peggiore uscita di sempre mentre Bolt prepara passo dopo passo quella che diventerà la sua gara. Corre, allunga, smanaccia con la testa puntata a quella riga bianca imbroccando la giusta strada verso la vittoria.
Le lunghe gambe, la tecnica e l’allenamento faranno il resto.
Gatlin avverte un brivido lungo la schiena simbolo della rimonta imminente e guarda spaventato al traguardo.
Troppo lontano.
Bolt passa. 9’’79.
Gatlin dietro per un solo centesimo.
L’atletica si dimostra spietata verso il più piccolo errore e questa ne è la prova lampante. Si accontenta di un argento e si complimenta con l’avversario.
Bolt sorride. D’un tratto è ringiovanito e sorridente come i vecchi tempi. Si scrolla di dosso ogni insicurezza e frustrazione passata, accantonando ogni dubbio sulle sue capacità e si avvolge nella calda bandiera del suo paese.
Con questa vittoria diventa l'atleta più medagliato e con più titoli nella storia dei mondiali.
E a noi sembra di sentire, tra la gioia e i sorrisi, forte e chiaro il suo messaggio:
“Sono ancora il re! Il caschetto con i fulmini di Garrick è ancora mio!”
Un simbolo che comporta delle responsabilità e un peso, proprio come la tuta di Flash. Allora per un momento la distanza fra fumetto e realtà si assottiglia.
Voi a chi pensate quando vi dicono: "L'uomo più Veloce del Mondo"? Carl Lewis?
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