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Vampira umanista cerca suicida consenziente, Ariane Louis-Seize: “Sasha, il presunto mostro, ha più empatia di molti esseri umani”

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Con Vampira umanista cerca suicida consenziente, Ariane Louis-Seize debutta sul grande schermo con una storia che mescola horror, commedia nera e introspezione psicologica. Il film segue Sasha, una giovane vampira incapace di uccidere e per questo profondamente giudicata dalla sua famiglia, che stringe un legame con Paul, un ragazzo desideroso di morire. Attraverso questa premessa inusuale, la regista esplora temi universali come l’alienazione, l’empatia e la ricerca di significato in un mondo che sembra non avere spazio per chi si sente diverso, dando un aspetto tutto nuovo, ancora più pop, juicy ma molto attuale, al “teen vampire” al cinema. 

La pellicola è stata presentata all’80esima Mostra d’Arte Internazionale del Cinema di Venezia, nella sezione parallela Giornate degli Autori, dove ha vinto come Miglior Regia. Da quel momento in poi, il film non ha smesso di girare il mondo per festival e rassegne, collezionando candidature e premi. Oggi, finalmente, il film arriva in Italia sulla I Wonderfull di I Wonder Pictures. Per l’occasione, abbiamo avuto modo di intervistare Ariane Louis-Seize per scoprire il dietro le quinte di questa storia, i temi profondi e il suo approccio registico.

Vampira umanista cerca suicida consenziente, l’intervista a Ariane Louis-Seize tra vampiri, alienazione e ansia

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La figura del vampiro è spesso utilizzata come metafora per vari aspetti della condizione umana. In che modo Vampira umanista cerca suicida consenziente rielabora questa figura per affrontare questioni contemporanee?

I vampiri sono sempre stati utilizzati per esplorare le paure umane, la moralità e i dilemmi esistenziali, ma ho voluto rielaborare questa figura per riflettere le ansie moderne: l’alienazione, la stanchezza morale e la ricerca di un significato in un mondo che spesso sembra opprimente. La crisi di Sasha è profondamente contemporanea: rifiuta di prendere una vita innocente, ma così facendo si isola dalla sua stessa specie. La sua storia parla a una generazione che mette in discussione i valori ereditati, lotta con il peso dell’esistenza e ridefinisce il significato di appartenenza.

La tua rappresentazione dei vampiri sembra allontanarsi dai tradizionali stereotipi del genere. Quali erano le tue intenzioni nel ridefinire queste creature, soprattutto attraverso Sasha e la sua scelta di non uccidere? E come pensi che ciò contribuisca alla comprensione dei temi psicologici del film? 

Volevo eliminare i soliti tropi di potere e seduzione associati ai vampiri e concentrarmi sulla loro vulnerabilità. Il rifiuto di Sasha di uccidere la rende una disadattata, ma la trasforma anche in un personaggio profondamente introspettivo, che lotta con il senso di colpa, lo scopo e la sopravvivenza in un mondo in cui non si adatta. La sua storia rispecchia l’esperienza dei giovani di oggi, che spesso si sentono in bilico tra le aspettative della società e i propri limiti etici. Il film non si concentra tanto sull’orrore soprannaturale quanto sulle lotte psicologiche: l’alienazione, il dubbio su se stessi e il peso di vivere con una coscienza.

Il vampiro è una figura iconografica fortemente legata al cinema, con una lunga tradizione di rappresentazioni stilizzate. Quali scelte di regia hai adottato per dare un tocco originale alla rappresentazione visiva di Sasha e del suo mondo?

Volevo eliminare l’immagine grandiosa e gotica spesso associata ai vampiri e rendere il mondo di Sasha banale, in modo da accentuare la sua alienazione. Non ci sono castelli elaborati o costumi stravaganti: la sua famiglia vive in una normale casa di periferia, ma le loro abitudini e regole sembrano superate e opprimenti. Questo contrasto crea un tranquillo disagio. La stessa Sasha è quasi invisibile: vestita in modo semplice, si muove in modo goffo, cercando di scomparire piuttosto che dominare. Questo approccio antiestetico ha contribuito a ridefinire il mito del vampiro in modo più intimo e contemporaneo.

Chi è il vero mostro?

La relazione tra Sasha e Paul sembra sfidare le convenzioni sia del genere horror che del coming-of-age. Come hai bilanciato questi elementi per affrontare temi come l’incomunicabilità, la ricerca di sé e il senso di appartenenza?

La loro relazione si basa su un legame insolito ma profondo: Sasha cerca disperatamente di sopprimere la sua natura, mentre Paul cerca di porre fine alla sua esistenza. Entrambi sono bloccati in una sorta di limbo, incapaci di impegnarsi pienamente nella vita. Invece di seguire le strutture tipiche dell’horror o del coming-of-age, volevo che la loro relazione fosse incentrata su due persone che trovano conforto nella rottura dell’altro.

C’è qualcosa di profondamente umano nella loro dinamica: parla del bisogno di comprensione, di qualcuno che ci veda al di là della superficie. La sfida consisteva nel bilanciare l’assurdità della loro situazione con un’autentica profondità emotiva, assicurando che l’umorismo e la tenerezza potessero coesistere con i temi più cupi.

Sasha e Paul sono entrambi adolescenti che si sentono fuori posto nel loro mondo. Sono degli emarginati, degli outsider, come lo siamo stati un po’ tutti. Ma, secondo te, sono davvero loro ad essere “fuori posto” o forse è la nostra società e il suo senso di giudizio nei confronti del “diverso” ad essere sbagliata?

È proprio questa la domanda che il film pone. Sasha e Paul sono diversi, ma le loro lotte – la sensazione di essere scollegati, il dubbio sul loro posto nel mondo – sono profondamente umane. La società spesso etichetta come estranei coloro che non rientrano in un certo schema, ma forse è la società a non avere la flessibilità necessaria per accettare le differenze. La storia di Sasha e Paul non è quella di imparare a conformarsi, ma di abbracciare la propria verità, anche se questo significa rifiutare le norme imposte loro.

Mi chiedo se, in fondo, i veri mostri non siamo noi. Sasha è una vampira dalla spiccata empatia e, secondo me, guardandomi intorno, trovo un’umanità molto lontana dall’empatia.

Questo è uno dei paradossi del film: Sasha, il presunto “mostro”, ha più empatia di molti esseri umani. Mentre la sua famiglia vede il suo rifiuto di uccidere come una debolezza, in realtà la rende più umana di coloro che seguono ciecamente le regole senza metterle in discussione. Il film gioca con l’idea che la crudeltà e il distacco spesso provengono da coloro che si dichiarano “normali”, mentre i cosiddetti “mostri” possono essere i più compassionevoli. È un’inversione delle aspettative e ci costringe a interrogarci su chi siamo veramente quando ci troviamo di fronte a dilemmi morali.

L’estetica del film: dal realismo malinconico al surrealismo ironico

Vampira umanista cerca suicida consenziente mescola elementi di commedia nera con una narrazione emotivamente intensa. Quali sfide hai incontrato nel trattare temi delicati come il suicidio e l’empatia, mantenendo al contempo un tono equilibrato?

La sfida più grande è stata quella di non rendere mai leggero il peso emotivo della storia, pur consentendo l’esistenza dell’umorismo. Il suicidio è un argomento delicato e non ho mai voluto banalizzarlo. Ma allo stesso tempo, l’assurdità della situazione di Sasha e Paul crea momenti di inaspettata leggerezza. La vita è piena di contraddizioni – dolore e risate spesso coesistono – e volevo che il film lo riflettesse. La chiave è stata affrontare la storia con sincerità, permettendo alle emozioni dei personaggi di essere reali, anche nei momenti più surreali.

L’estetica visiva del film gioca un ruolo fondamentale nel definire l’atmosfera e l’identità della storia. Quali sono state le tue principali influenze stilistiche e come hai lavorato con il direttore della fotografia per tradurre l’intimità emotiva dei personaggi in immagini?

Lo stile visivo si ispira a un mix di realismo malinconico e di momenti più intensi, quasi onirici. Con Shawn Pavlin, il mio direttore della fotografia di lunga data, abbiamo sviluppato un linguaggio visivo che gioca con i contrasti: luci morbide e calde per l’intimità, ma anche composizioni crude che riflettono l’isolamento di Sasha. Ci siamo ispirati a film che fondono il realismo poetico con il genere, come A Girl Walk Home Alone at Night, attingendo anche alla fotografia che cattura l’adolescenza in tutta la sua vulnerabilità e stranezza.

Il tono del film oscilla tra il surreale, il grottesco, il malinconico e il tenero. Come hai sviluppato questa fusione visiva e narrativa, e quali strategie hai adottato per far convivere questi registri in modo armonioso?

Sono sempre stata attratta dalle storie che esistono tra i generi, dove umorismo e tristezza si intrecciano naturalmente. La vita è piena di questi cambiamenti di tono e volevo che il film riflettesse questa imprevedibilità.

Le interpretazioni sono basate su uno stile comico senza toni, in cui l’umorismo nasce dalla serietà dei personaggi in situazioni assurde. Ho lavorato a stretto contatto con gli attori sul loro linguaggio corporeo: nel film i vampiri non parlano e si muovono allo stesso tempo; si muovono e poi parlano, il che aggiunge un’aura sottile e inquietante. Il loro senso del tempo è diverso da quello degli umani, quindi i loro movimenti sono leggermente più veloci o più lenti, creando un effetto di disorientamento. I genitori si muovono spesso in sincrono, amplificando la goffaggine e l’ultraterreno della loro presenza. Bilanciare queste scelte fisiche stilizzate con l’emozione cruda delle loro interpretazioni ha aiutato il film a navigare nella sua miscela di toni senza sentirsi forzato.

Anche l’uso dei colori e delle scenografie sembra contribuire molto alla costruzione della psicologia dei personaggi. Come hai lavorato sulla direzione artistica per rafforzare il sottotesto emotivo del film?

Il design della produzione ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare le sfumature emotive del film. La casa di Sasha è piena di elementi anacronistici: drappi pesanti, carta da parati obsoleta, mobili ornati che sembrano congelati nel tempo. Non è uno spazio freddo o minimalista, ma piuttosto soffocante in un modo diverso, come se la sua famiglia si fosse rifiutata di evolversi con il mondo esterno.

Questo ambiente disordinato ed eccessivamente curato riflette il peso della tradizione che grava su Sasha.
Il colore è stato un elemento narrativo fondamentale. Il mondo di Sasha è pieno di toni smorzati e desaturati, che riflettono la sua insensibilità emotiva. Ma ogni volta che vive un momento di connessione o di scoperta, ci sono sottili cambiamenti: luci più calde, colori più ricchi, piccoli spunti visivi che rispecchiano il suo stato interiore. Questo contrasto tra l’atmosfera rigida e fuori dal tempo della sua casa e i momenti in cui ne esce rafforza la sua lotta interiore, in bilico tra le aspettative ereditate e il proprio risveglio morale.

Con Vampira umanista cerca suicida consenziente, Ariane Louis-Seize ci invita a guardare oltre le apparenze e a interrogarci su chi sono davvero i mostri della nostra società. Dal 4 Febbraio su I Wonderfull.

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