Partiamo dal pregiudizio positivo che Netflix tenda a produrre serie piuttosto di successo o quantomeno ben riuscite, ma questa volta, potremmo quasi far pendere l'ago della bilancia addirittura verso il capolavoro.
BoJack Horseman è una serie animata creata da Raphael Bob-Waksberg e disegnata da Lisa Hanawalt, con un cast notevole di doppiatori, tra cui spiccano Will Arnett che dà voce allo stesso BoJack, Alison Brie (già star di Community) e Aaron Paul (Jesse Pinkman in Breaking Bad).
La storia è sostanzialmente quella di un cavallo antropomorfo, ex stella della TV, che affronta l'ineluttabile declino della sua esistenza con amara ironia e tanta droga. E gin. E vodka. E gin.
Riassunto così sembra solo deprimente, tuttavia la situazione è molto più profonda e ancora più devastante che all'apparenza; ma veniamo ai dettagli.
Il protagonista è un cavallo umanoide, una sorta di centauro al contrario con corpo umano e testa equina, che vive nella sua villa maestosa in una Los Angeles in cui umani e figure animali come lui (per esempio cani, gatti e pinguini antropomorfi) convivono tranquilli in maniera naturale e perfettamente integrata.
Durante gli anni Novanta, BoJack era una stella incontrastata del firmamento televisivo americano con la sitcom melensa e scontata ma di successo Horsin' Around, nella quale aveva impersonato per ben nove stagioni un affettuoso padre adottivo di tre ragazzini umani. A distanza di vent'anni, vive ancora di rendita non solo economica ma anche di un'illusoria fama che non corrisponde a realtà; non riuscendo ad accettare che il pubblico non lo ami più tanto, ma che addirittura non abbia idea di chi sia, decide insieme alla sua manager Princess Carolyn (una gatta antropomorfa) che scrivere un'autobiografia sarà la soluzione per riportarlo sotto le luci della ribalta. Dal primo episodio si intuisce dove lo show andrà a parare, non perché prevedibile, ma perché BoJack non è in grado nemmeno di cominciare questa autobiografia e dunque si rivolge a una ghostwriter,
Diane Nguyen. La scrittrice umana di origini vietnamite, oltre a essere un chiaro tributo nei toni e nell'aspetto alla ben più conosciuta Daria di fine anni '90, è un'intellettuale incompresa con un'infanzia difficile alle spalle, ma anche un emblema di incoerenza che sfocia nella superficialità quando si tratta di prendere decisioni rischiose. BoJack e Diane dovranno quindi vivere a tu per tu in modo da permettere la stesura del libro, ma nella storia interverranno anche personaggi più o meno invitati a partecipare, come Tod, un ragazzo umano che vive da anni sul divano del protagonista e Mr. Peanutbutter, un cane antropomorfo dalla carriera attoriale estremamente di successo e nemico naturale del cavallo. Nel corso degli episodi naturalmente, i rapporti si svilupperanno, spesso in direzioni strampalate, per esempio vedremo un BoJack che, in preda a un delirio derivante dai suoi tipici eccessi, come folle gesto d'amore non corrisposto verso Diane ruba la D della scritta Hollywood (che per altro da quel momento diventa ufficialmente Hollywoo).
Tutta la serie funziona nel suo altalenare tra momenti profondi e gag volgari perché ha un denominatore costante di intensa negatività: se una scena è disgustosa, lo sarà fino alla nausea, se è romantica, porterà alla carie, se è riflessiva, farà ragionare su quanto la vita sia una delusione continua.
Anche se a un primo sguardo, l'oggetto di tutto lo show appare essere una critica impietosa verso lo showbiz hollywoodiano e le sue di star vecchio e nuovo stampo, i suoi manager tritatutto, i suoi giornalisti rapaci e anche il suo pubblico fin troppo onnivoro; quel che colpisce di più è che il nichilismo che permea ogni episodio sia votato in realtà a una ricerca interiore delle questioni fondamentali della vita.
BoJack passa infatti buona parte della serie oscillando da un'esperienza all'estremità opposta, con l'angoscia di non riuscire a capire mai quale sia la sua vera natura e trovando risposta nell'annientamento dei sensi con droghe e alcool. Man mano che gli episodi si susseguono però, diventa tutto più introspettivo, rendendoci testimoni di una vicenda che passa dall'essere incentrata sulle bravate e le paranoie del protagonista alla ricerca stessa della felicità, del suo significato e se sia qualcosa che tutti possono davvero raggiungere, lasciando per lo più intendere un “no” all'ultima domanda, ma lasciando uno spiraglio di luce.
Non ci resta che aspettare la prossima stagione annunciata per questo 2016 per vedere se BoJack riuscirà o no a rimanere nella luce.
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Articolo bellissimo, complimenti
sembra interessante, danno me stesso per non aver ancora netflix ;(
Consiglio questa serie a tutti, il primissimo impatto più stordire, ma ci si innamora subito sia dei personaggi che della storia, una perla rara insomma.
Attendiamo con ansia la terza stagione!