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“Ti Chiamo Domani” di Rita Petruccioli, una storia che racconta di noi

Abbiamo letto il primo graphic novel da autrice unica di Rita Petruccioli

Ti chiamo Domani”, edito BAO Publishing, è il volume con il quale Rita Petruccioli debutta come autrice unica: il primo graphic novel nella quale l’illustratrice e fumettista romana si occupa sia della scrittura che del disegno.
È una storia che parla di un’età di passaggio, e di un’esperienza che spesso la caratterizza: quella dell’Erasmus. Parla di una giovane studentessa che va in Erasmus e vive un’esperienza mista, con degli aspetti positivi e degli aspetti negativi, come spesso succede nella vita. Ma non è tutto qui. Questo fumetto ha molti altri livelli di lettura, e quella che inizialmente può sembrare una storia leggera nella quale i giovani possono rivedere una loro comune esperienza, si rivela essere una riflessione profonda su qualcosa di molto più importante.

“Ti Chiamo Domani”: la storia di Chiara

TI CHIAMO DOMANI

“Ti Chiamo Domani” vede come protagonista Chiara, una ragazza di vent’anni, studentessa all’Accademia delle Belle Arti di Roma, che decide di passare l’ultimo anno del suo percorso di studi in Francia, tramite il progetto Erasmus (una iniziativa europea che permette scambi studenteschi fra università di paesi diversi). Finito il periodo di studio, mesi dopo essere tornata a casa, Chiara si reca nuovamente in Francia per passare un po’ di tempo con gli amici che ha conosciuto durante lo scambio, e che sono diventati molto importanti per lei.
Tuttavia il suo soggiorno si interrompe prima del previsto, quando nel cuore della notte la ragazza decide di tornare a casa, e lo fa con un mezzo abbastanza insolito: il camion. Suo padre infatti ha contatti con un’azienda di trasporti su gomma, e spesso Chiara si sposta approfittando di passaggi in camion. È questo il momento che Rita Petruccioli ha deciso di raccontarci: il ritorno di Chiara a casa, il viaggio con un taciturno camionista sconosciuto al quale racconta delle sue avventure, dei suoi traumi, e dei suoi dubbi tramite quel dialogo completamente aperto su sé stessi che si può avere soltanto con qualcuno che non sa nulla di noi.

È capitato a tutti, almeno una volta nella vita: il vicino di posto che attacca bottone durante un lungo viaggio in treno; le chiacchiere con una persona anziana durante un’attesa in sala d’aspetto dal dottore, o i discorsi esistenziali con qualcuno a cui ci si è appena presentati, ubriachi, fuori da una festa. Quando si parla a qualcuno che non sa chi siamo è molto più facile essere completamente onesti, e completamente noi stessi. Magari non riveleremo i dettagli più intimi, ma quello che diremo sarà trasparente, perchè anche il più caro confidente sa talmente tanto di noi che a volte finiamo per portare una maschera, perché quella maschera è ciò che l’interlocutore si aspetta da noi, ciò che dovremmo essere. Con uno sconosciuto, su un camion, in un momento di transizione della propria vita tutto viene più naturale, senza filtri.
Questa particolare nicchia di umanità nella quale l’autrice ha deciso di ambientare la sua storia è forse la cosa più affascinante di “Ti Chiamo Domani”, e mentre la protagonista è più propensa a parlare di se, noi lettori ci sentiamo più propensi ad ascoltarla senza pregiudizi, come se fossimo a nostra volta dentro a quel camion, occhi sulla strada e orecchie alla sua giovane voce, che quasi riusciamo ad immaginare.

Raccontare la violenza secondo Rita Petruccioli

Ed è così che la storia di Chiara, e quella dell’autista Daniele, vengono filtrate attraverso la nostra sensibilità: “Ti Chiamo Domani” è un graphic novel con tanti livelli di lettura, e a seconda della propria storia, e della familiarità con i temi trattati, il lettore può coglierne diversi.
Uno di questi temi, forse il principale, è la violenza sulle donne. È davvero curioso come, tuttavia, moltissimi lettori non coglieranno questa sfumatura, perché il messaggio non è per niente ovvio, e non è sicuramente “spiegato”. È davvero facile leggere questo fumetto, chiuderlo, e pensare “ok, è l’interessante storia di una ragazza che va in erasmus, vive delle esperienze da ventenne, e fa delle riflessioni sulla sua identità e sul suo futuro”. È facile chiudere qui il discorso, senza aggiungere che Chiara subisce una violenza che la cambia profondamente. Ma perché l’autrice ha deciso di non “spiegare” la violenza, di non renderla al 100% evidente e palese agli occhi del lettore anche meno sensibile al tema? Questo è forse la domanda maggiore che mi ha lasciato la lettura di “Ti Chiamo Domani”, ma ho avuto l’opportunità di chiederlo all’autrice stessa durante un incontro alla Libreria IGOR di Bologna lo scorso 4 luglio:

Mi sono resa conto che l’aspetto più importante della narrazione di questi temi non è ciò che ti dice l’autore, ma le domande che ti genera. Quindi ho costruito questo libro su una semplice base: che le domande che ti spinge a porti siano più importanti di ciò che io ti sto raccontando dal punto di vista oggettivo. Ritengo che sia importante lasciare la possibilità a tutti di fare i propri ragionamenti, soprattutto su delle cose così personali, così fragili, come i sentimenti e la reciprocità con gli altri. Volevo fare un libro che fosse basato sulle domande, non sulle risposte. È lo stesso motivo per cui dentro non c’è la parola violenza, e non c’è la parola consenso. Se io avessi detto cosa si doveva pensare probabilmente il lettore non mi avrebbe creduto e mi avrebbe contestato. Invece quello che sta avvenendo attualmente con i lettori è che innanzitutto chi non capisce la violenza (perché ci sono molte persone che non stanno intepretando come violenza quella scena) comunque trova un libro godibile, che è comunque un percorso di crescita identitario, un dialogo fra due persone.

Tuttavia un dubbio rimane al lettore, infatti nel racconto Chiara compie una decisione in seguito alla violenza subita, una decisione altrimenti inspiegabile:
Molti lettori, soprattutto amici maschi, mi stanno dicendo: io ho avuto bisogno di rileggere il libro un paio di volte per capire la decisione di Chiara. Questa cosa non è scontata, perché un libro che non ti è piaciuto non lo rileggi. Un libro che ti ha lasciato una domanda invece ti fa prendere il tempo per rileggere e ricercare, perché c’è qualcosa che non ti torna. Ecco, io vorrei che quella cosa che non ti torna nel mio libro a un certo punto non ti tornasse neanche nella realtà. Magari nella realtà del tuo vissuto personale, o di una persona che ti sta accanto e ti sta dicendo che qualcosa non va.

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In conclusione, un fumetto che racconta tante storie

Parlare di violenza sulle donne è difficile, ed difficile trovare la ricetta giusta. Non penso ne esista una soltanto. Rita Petruccioli con “Ti chiamo Domani” trova la sua ricetta, e funziona. La violenza che Chiara subisce non è estremizzata, di quelle che purtroppo spesso sentiamo nella cronaca nera, che siamo immediatamente e istintivamente portati a condannare, senza pensarci due volte ma spesso senza percepirle come “reali”. Un femminicidio, un abuso sessuale in un vicolo buio, sono cose sulle quali immediatamente possiamo apporre l’etichetta di violenza, ma anche l’etichetta di “non capiteranno mai a me, o a qualcuno che mi è vicino” o ancora “è soltanto l’operato di un folle isolato, non un problema della società“. La storia di Chiara, invece, è così estremamente reale e consueta, ai nostri occhi, che rischiamo di non vederla come una violenza. Tuttavia se riusciamo a fare quel salto, a capire cosa c’è che non va in quelle tavole del fumetto, se riusciamo a dare un nome alla sirena di “pericolo” che si accende nella nostra mente quando Chiara racconta del rapporto sessuale che ha vissuto, capiremo qualcosa di molto profondo sulla violenza che sta attorno a noi. Capiremo quanto è reale.

E se non lo capiamo? Se non si accende nessuna sirena nella nostra mente, e non cogliamo il sottotesto di “Ti Chiamo Domani”? Avremo comunque letto un bel fumetto, interessante, profondo, che ci porta a riflettere sull’esperienza di una giovane ragazza alla scoperta del mondo. Avremo comunque ascoltato una bella storia, seduti comodamente nella cabina di un camion, in viaggio verso Roma. E chissà, magari questa storia ci rimarrà, e sarà un’esperienza che si accumula a tante altre, e prima o poi quella sirena si accenderà.

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Giada Rossi

Laureata in Astronomia, aspirante Astrofisica. Curiosa di natura. Scrivo soprattutto di scienza, ma preferisco parlare di cani buffi.

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