Intrattenimento

The Shape of Water: pieno di vita, pieno di amore, pieno di cinema

"C'è un momento nella vita di qualsiasi narratore in cui, non importa quanti anni hai, prendi e fai qualcosa di diverso dal solito. Ma tutto andrà bene, se rimarrai puro e continuerai a credere nella tua fede, qualunque essa sia. Nel mio caso, i mostri". È con queste parole che, qualche mese fa, Guillermo Del Toro ha ritirato il Leone d'Oro (immediatamente soprannominato Sergio Leone) al 74° Festival del Cinema di Venezia per la sua ultima opera The Shape of Water, tra le prime ad essere presentate nella kermesse e immediatamente diventata una degli assoluti protagonisti delle discussioni degli addetti ai lavori nelle attese tra una proiezione e l'altra.
In quella frase ci sono tre concetti, che sono fondamentali per comprendere quest'opera, a partire dal più evidente: la fede nei mostri. Il cinema di Del Toro è da sempre fittamente affollato da creature di ogni tipo, variamente caratterizzate da design estremamente originali ed elaborati, ma la cui mostruosità è solo superficiale. Si può tranquillamente affermare infatti che al centro del lavoro del regista messicano c'è l'idea che molte volte siano gli umani i veri mostri terrificanti, nella loro lucida e fredda logica viziata. In The Shape of Water, questo aspetto è innalzato a livelli massimi, con un cast di protagonisti tutti a modo loro relegati ai margini del mondo degli uomini, ma che dimostrano in realtà empatia, altruismo, gentilezza e capacità di amare. L'esatto contrario dell'antagonista, che pur essendo sulla carta il più "normale" di tutti, si rivela minuto dopo minuto il più spregevole e marcio, particolare sottolineato sapientemente da Del Toro con un espediente che tuttavia scegliamo di non svelarvi qui.
Il secondo concetto presentato nel discorso è l'originalità, la necessità di fare qualcosa di diverso dal solito. Non ci si può infatti approcciare a questo film con l'idea di vedere un nuovo Hellboy anche se la Risorsa ricorda molto nel design Abraham Sapien, ma neanche un Labirinto del Fauno. Si tratta di un terreno nuovo per Del Toro, sensibilmente lontano da quanto ci si può aspettare, dove però il regista riesce a trovarsi indiscutibilmente a suo agio, regalando sequenze memorabili e virtuosismi di alto livello come la scena del canto, onirica ed emozionante nei suoi mille rimandi ai musical classici. Allo stesso tempo, quel "diverso dal solito" si riferisce al panorama cinematografico generale, da cui The Shape of Water si discosta evidentemente. Sarà facile rimanere sorpresi da alcune scelte lungo la proiezione, proprio perché nonostante le apparenze, non si tratta del classico racconto a cui siamo stati abituati.
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Infine, la frase contiene un ultimo concetto, quello di restare fedeli a sé stessi, senza tradire, rimanendo puri. Ed è questo che è Del Toro in questo film: puro, in tanti sensi diversi. The Shape of Water è innegabilmente un suo film, che raccoglie tutte le idee del regista e le sviluppa coerentemente. Non solo il tema dei mostri, o meglio ancora degli ultimi, ma anche la rappresentazione della guerra ad esempio, forse mai mostrata nella sua violenza come in questo caso, dove il fatto che sia una guerra "fredda" porta ancora più alla luce il suo lato, ancora una volta, disumanizzante. The Shape of Water è puro Del Toro, quasi una summa della sua carriera, un punto di arrivo giustamente celebrato nei diversi concorsi.
Terminata la riflessione generale, è più che doveroso sottolineare che questo film non sarebbe stato lo stesso senza il contributo di un cast incredibile, a partire dai due protagonisti Sally Hawkins e Doug Jones, alle prese con due ruoli similmente complessi da interpretare, ma che sono riusciti a fare propri, offrendo una performance artistica eccezionale. Altrettanto meritevole il cast secondario, con tante riconferme di bravura, come l'ottima Octavia Spencer, il commovente Richard Jenkins e il folle, rumoroso e clamoroso Michael Shannon nei panni dell'antagonista.
Il discorso che ha fatto da fil rouge per questa riflessione sul film si è chiuso con un'altra frase molto toccante: "Credo nella vita, credo nell'amore e credo nel cinema. Scendo da questo palco pieno di vita, pieno di amore e pieno di cinema". Vogliamo riprenderla in chiusura perché al netto di qualsiasi considerazione tecnica, qualsiasi riflessione sulla poetica di Guillermo Del Toro, qualsiasi riflessione da bookmaker sui prossimi Oscar, è così che vi sentirete una volta usciti dal cinema: pieni di vita, pieni di amore e soprattutto pieni di cinema.

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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