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The Last Dance, l’ultimo respiro | Recensione

L'ultima danza dei Chicago Bulls sta per giungere al termine

Che siate appassionati di basket o meno, avete probabilmente sentito parlare in questi giorni di The Last Dance. La serie documentario portata in Italia da Netflix, racconta la leggendaria storia dei Chicago Bulls degli anni ’90, quelli in cui militava Michael Jordan, ma non solo. Una vicenda incredibile, che sta per giungere al termine con gli ultimi episodi. Abbiamo potuto vedere il nono in anteprima, per prepararci al meglio all’ultima danza.

The Last Dance è una storia, non una vicenda

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Copyright 1993 NBAE (Photo by Andrew D. Bernstein/NBAE via Getty Images)

Prima di tuffarci in questa avventura (semi)finale, facciamo un passo indietro e parliamo dello show in sé. Tutta la narrazione è costruita sull’ultima danza di quei Chicago Bulls, The Last Dance, appunto. Una delle squadre migliori che l’NBA abbia mai visto, trainata dalla potenza di una leggenda assoluta del basket (anzi, dello sport in generale). Un team che sta per dire addio al suo allenatore, alla sua stella e a parte dei suoi pilastri. Insomma l’ultima stagione di un gruppo eccezionale che sta per sciogliersi.

Piano piano lo spettatore segue tutte le vicende di quella cavalcata. Dal gossip pre-campionato per passare poi alle vicende lungo tutto il percorso, nel corso degli episodi assistiamo a tutto quello che avviene sul campo e fuori. Eventi incredibili che ruotano ad atleti, ma anche personaggi, ancora più eccezionali. Primi fra tutti ovviamente Dennis Rodman, Scottie Pippen e “His Airness” Michael Jordan.

Lo sviluppo di questa vicenda si intreccia con tutto quello che è avvenuto in precedenza. Nei diversi episodi si va ad approfondire la vita di alcuni dei giocatori principali di quei Chicago Bulls, ripercorrendo allo stesso tempo la storia della franchigia. Due linee narrative che si intersecano alla perfezione, seguendo le difficoltà nei primi anni dall’arrivo di Jordan, fino alla prima vittoria del campionato e tutte quelle che l’hanno seguita.

Un incastro davvero perfetto. Perché quella squadra ha vissuto una storia, non semplicemente degli eventi. The Last Dance mette in luce come quegli anni per i Chicago Bulls seguano quasi perfettamente l’arco dei grandi racconti. Si tratta di un documentario, certo, ma la storia su cui si basa ha tutti gli elementi delle migliori serie TV di fiction. La forza di tutto il progetto sta proprio lì e così sfonda la barriera del resoconto sportivo, per diventare una avventura.

Grazie a figure affascinanti e carismatiche, colpi di scena e un perfetto incastro degli eventi, The Last Dance riesce a conquistare chiunque, che si tratti di un appassionato di basket o meno, che sappia come va a finire tutto o meno. E ci si trova a saltare in piedi sul divano per il canestro che arriva sulla sirena come fossimo allo stadio, nonostante siano ormai passati più di vent’anni da quei fatti.

E ora, l’ultimo respiro

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Copyright 1992 NBAE (Photo by Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images)

Il nono episodio ci sta portando verso la fine del racconto. La linea che ci raccontava della storia dei Bulls sta arrivando al punto in cui ha preso il via la docuserie. L’ultima danza nel frattempo è vicina alla sua conclusione, con la squadra chiamata a una penultima impresa. Al centro di entrambe, due serie di match storici: la sfida per il titolo con gli Utah Jazz nel 1997 e la finale della Eastern Conference contro gli Indiana Pacers nel 1998. E in ognuna di queste ci sono due partite memorabili, che hanno fatto la storia di questo sport.

La prima, quella del 1997, è passata alla storia come The Flu Game. Quinta sfida della serie, le due squadre sono ferme sul 2-2. Michael Jordan non è in forma quel giorno, è malato, ha passato la notte in piedi. Ma la vittoria del quinto titolo per i suoi Bulls è in bilico ed è pronto a dare tutto, anche quello che non ha. Uno dei momenti più emozionanti di tutta la storia che abbiamo seguito finora, pronto a lasciarci ancora con il fiato sospeso.

Did everybody else know that he was sick? I guess I was the last one to know

La seconda è l’ultima sfida con gli Indiana Pacers. In palio c’è l’ingresso nella finale di NBA e quindi il sogno della squadra di vincere il campionato nella loro ultima stagione. Una sfida combattuta con cambi di fronte continui, capace di emozionare ancora oggi.

In questa, così come nell’ultimo scontro con gli Utah Jazz del 1997 c’è un giocatore che ha il compito di fare la differenza. E non è Michael Jordan (non solo almeno), ma Steve Kerr, guardia di quella squadra. È a lui che è dedicata una lunga parte dell’episodio, per approfondirne la storia e dare spazio a un’altra figura importante per quegli anni.

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Copyright 1998 NBAE (Photo by Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images)

In questo episodio, The Last Dance tocca picchi eccezionali, arrivando a perfezionare la sua complessa alternanza narrativa. Ci dimostra come la storia dei Chicago Bulls sia perfettamente cinematografica, piena di rimandi, di personaggi, di rivalità, di filoni che si rincorrono. E lo fa tenendoci incollati allo schermo, mentre con gli occhi spalancati osserviamo le immagini del campo da gioco aspettando che quella sfera arancione entri o meno nel cerchio.

Complice anche la tensione e la posta in palio, il nono episodio di The Last Dance è forse uno dei più emozionanti tra tutti quelli della serie finora. Più che mai evidenzia quello che dicevamo all’inizio, cioè che questa è una storia unica, capace di prescindere l’interesse per lo sport in sé e coinvolgere a pieno anche chi non è mai stato interessato al basket.

E pensare che si tratta ‘solamente’ dell’aperitivo, in attesa del gran finale.

Il nono e decimo episodio di The Last Dance saranno disponibili su Netflix a partire dal 18 maggio.

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Autore

  • Mattia Chiappani

    Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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