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The Fabelmans ci mostra perché Spielberg non può smettere di fare cinema | Recensione

E perché noi continuiamo ad amare i suoi film

Scendono le luci in sala, tutti gli occhi guardano lo schermo. Risate che scoppiano dopo una battuta, silenzio assoluto per trattenere le lacrime nelle scene drammatiche. Il nuovo film di Steven Spielberg incarna appieno la magia del cinema, raccontandoci una storia semi-autobiografica piena di cuore e realizzata con la perfezione tecnica che ci aspettiamo da un vero maestro di questa forma d’arte. The Fabelmans esce nelle sale italiane il 22 dicembre 2022 e possiamo dirvelo anche prima di leggere il resto della recensione: vale la pena andare a vederlo sul grande schermo, circondati da altri amanti del cinema. Perché con questo film Spielberg ci racconta perché lui non può smettere di raccontare storie, e perché noi non possiamo (né vogliamo) smettere di apprezzarle.

La nostra recensione di The Fabelmans

Il piccolo Sammy Fabelman (Mateo Zoryon Francis-DeFord) non vuole entrare al cinema. Il buio della sala, i giganti sullo schermo. Per convincerlo suo padre Burt (Paul Dano) gli spiega che è solo una proiezione, 24 immagini ogni secondo in modo da ingannare il suo cervello a vedere un oggetto in movimento. Sua madre Mitzi (Michelle Williams) gli dice invece che il cinema è magia, che potrà perdersi in una storia entusiasmante.

Insieme, convincono Sammy, che guarda con entusiasmo The Greatest Show on Earth di Cecil B. DeMille. Ma la scena dell’incidente sul treno, realizzata con delle miniature, lo tormenta. Decide allora di farsi regalare un trenino per Hannukah per analizzare la scena. Quando ricrea l’incidente, suo padre lo sgrida perché “non basta amare qualcosa, bisogna prendersene cura”. Mentre sua madre dà al bambino la videocamera del padre perché possa registrare l’incidente e riviverlo quando vuole. Il risultato è un prodigio di montaggio (lo stesso Spielberg ha ammesso che la versione romanzata di se stesso è più talentuosa di lui alla stessa età).

Vedere la propria famiglia attraverso una telecamera

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Spielberg e il suo co-sceneggiatore Tony Kushner dimostrano in queste primissime scene di avere un controllo totale su quello che stiamo per vedere. Non si tratta di un’autobiografia sterile del giovane Spielberg, ma di un’analisi di quel periodo con gli occhi del regista esperto di oggi. Un’analisi di cosa ha rappresentato il cinema per la sua vita, per la sua famiglia.

Vediamo Sammy divertirsi a riprendere le sue tre sorelle ricreando le scene dei propri film preferiti, legandosi a loro attraverso una macchina da presa. E quando vediamo la versione sedicenne di Sammy (Gabriel LaBelle) realizzare i suoi primi film nel deserto dell’Arizona, sappiamo che non è solo un “hobby” come lo definisce suo padre. Ma un narratore meno abile avrebbe reso questo il conflitto centrale della vicenda. Invece non lo è, suo padre lo supporta comprando videocamere e riempiendolo di complimenti. Spielberg non ha nessun interesse a renderlo il “cattivo”, ma piuttosto vuole rappresentare come ognuno guardi la propria storia attraverso la sua lente.

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Suo padre, informatico di talento, ha un approccio calmo e razionale ma anche una curiosità tecnologica insaziabile. È estasiato quando Sammy gli spiega di aver bucato la pellicola per creare dei bagliori in una film casalingo con una sparatoria da western. Sua madre invece, pianista che si è adattata a fare la casalinga, vive di emozioni e passioni.

Ma è potentissima la scelta di mostrare le fragilità di entrambi solo tramite le riprese del giovane Sammy. Che si accorge del sentimento fra sua madre e l’amico Bennie (Seth Rogen) solo in cabina di montaggio. Che riesce a cogliere la falsità dietro i sorrisi dei genitori dopo un litigio, così come i momenti di pura gioia, solo quando li osserva attraverso l’obiettivo di una telecamera.

Recensione di The Fabelmans: il potere delle storie

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Sembra evidente che Spielberg e Kushner hanno in mente una tesi chiara nello scrivere questa sceneggiatura. Lo zio Boris (Judd Hirsch), in visita alla famiglia Fabelmans, lo dice chiaramente. La passione per l’arte e l’amore per la famiglia non possono convivere, il cinema ci spezzerà il cuore. E durante il film lo vediamo più volte: è dalla telecamera che Sammy scopre che la sua famiglia non è un paradiso. Ma con lo spirito da scienziato del padre, Spielberg mette la tesi in discussione: il film scolastico che realizza alle superiori appiana i problemi con uno dei bulli che lo tormenta. E regala ai suoi genitori momenti di pura felicità.

Il risultato è un quadro agrodolce, ma magnifico. Molti registi hanno realizzato la loro “lettera d’amore al cinema”, ma pochi hanno il coraggio di mostrare che l’amore è fatto anche di fatiche, sacrifici, incertezze. Da amanti dei film, sappiamo che la nostra recensione di The Fabelmans non può che essere di parte: questo è un film per cinefili. Ma l’intimità e la passione che riempie ogni scena incanterà anche chi quest’anno guarderà un solo film: e se dovete guardare un solo film al cinema, fate che sia questo.

Un capolavoro per tecnica e per cuore

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L’onestà intellettuale con cui Spielberg affronta questa sfida permette di mettere la storia al centro, non la sua indiscussa abilità dietro la macchina da presa. Non fraintendeteci, i movimenti di macchina e il blocking sono perfetti come sempre. In particolare, c’è una “battuta filmica” alla fine del film (dopo che Sammy incontra un John Ford interpretato da David Lynch, casting eccezionale) che sottolinea come ogni inquadratura sia meditata e abbia un senso narrativo.

Ma la forza di Spielberg sta nel fatto che non è mai stato schiavo del proprio genio. Di altri artisti ricordate le forti scelte estetiche o l’abilità nei movimenti. Di Spielberg ricordate le storie, perché sono le storie che contano: pensando a Lo Squalo o Indiana Jones vi ricordate la trama e le scene migliori, senza pensare alle soluzioni tecniche e narrative perfette che Spielberg ha trovato. Pensate alla storia, non al modo in cui la racconta (per quanto eccezionale): il miglior complimento che si possa fare a un regista.

Una storia personale, raccontata in maniera corale

E per lasciare spazio alla storia, alcune delle migliori sequenze hanno davvero “poca regia”, in un certo senso. Un primo piano di Michelle Williams mentre guarda il film “segreto” realizzato da Sammy vale da solo un Oscar: uno zoom appena percettibile, lasciando spazio all’attrice per mostrarci il tumulto interiore del personaggio senza nemmeno una parola.

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Poi c’è la fotografia di Kaminski, la colonna sonora di John Williams e il montaggio davvero brillante di Michael Kahn e Sarah Broshar. Senza parlare delle interpretazioni ottime di tutti, dal cast dei bambini fino a Paul Dano e Seth Rogen. Tutti hanno l’opportunità di brillare, senza che nessuno rubi mai la scena (eccezion fatta per Williams, ma sembra una scelta consapevole e una dimostrazione d’affetto di Spielberg per la madre). Questa è la storia di un giovane Spielberg, ma il regista sa che non è solo lui a raccontarla e lascia che ogni suo collaboratore contribuisca tanto quanto lui.

Dopo essersi messo in gioco l’anno scorso con il suo primo musical, Spielberg racconta la più personale delle storie in The Fabelmans, che come avete capito da questa recensione, ci ha incantato. Perché ha mostrato che Spielberg non può smettere di fare film: sia perché sono il mezzo con cui analizza la sua vita fin da quando aveva sei anni, sia perché ha ancora la capacità di farci ridere e piangere al buio di un cinema.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, Nerd da prima che andasse di moda.

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