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Ikoria e il suo design: top-down vs. bottom-up

Parliamo di Ikoria, il nuovo set di Magic: the Gathering, e del suo interessante game design

Ikoria: Terra dei Behemoth sarà ricordato a lungo come uno dei set più sfortunati degli ultimi anni. Questo sarebbe dovuto essere il weekend del release internazionale dell’espansione, ma, a causa degli insormontabili problemi che tutti conosciamo, la Wizards of the Coast ha deciso di posticipare l’uscita di Ikoria, perlomeno nella versione fisica. È già possibile giocare con le nuove carte e le nuove meccaniche su Magic Arena e su Magic Online, ma, non essendo possibile recarsi fisicamente nei negozi per godersi un bel prerelease con gli amici, tutti gli eventi sono stati posticipati. Per ora, la data scelta è il 15 maggio, e sarà un momento importante: si svolgeranno in contemporanea il prerelease di Ikoria, la release dell’espansione, e saranno disponibili i nuovi mazzi di Commander 2020. Non possiamo però lasciar passare un altro mese prima di parlarvi di questa espansione, che è tanto, ma tanto interessante. In particolare, vogliamo approfittare dell’uscita di Ikoria per offrirvi un approfondimento di game design che riguarda le due “filosofie”, i due approcci, che portano alla nascita di un’espansione: l’approccio top-down e l’approccio bottom-up.

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Top-down e bottom-up sono due termini originati nell’ambito della programmazione informatica. Si riferiscono, in generale, agli approcci di acquisizione, elaborazione e gestione delle informazioni nell’ottica di risolvere un problema, o di elaborare un progetto. Sono poi stati esportati in molti altri ambiti, come la psicologia o, appunto, il game design. Vediamo in breve a cosa si riferiscono nel loro ambito di partenza, e poi cerchiamo di capire come si applicano alle nostre carte Magic.

L’approccio top-down prevede innanzitutto una visione complessiva del sistema di riferimento, o della problematica da risolvere. Il primo passo, insomma, è l’individuazione dell’obbiettivo principale, della finalità ultima dell’intero progetto. Solo successivamente si procederà ad entrare nel dettaglio delle varie componenti coinvolte, affinandole e definendole sempre di più, finché il risultato sarà soddisfacente. Insomma, si parte da un sistema complesso e lo si “risolve” suddividendolo via via in parti più semplici. Nell’approccio bottom-up, invece, si inizierà proprio dai singoli elementi, definendone ogni dettaglio, e poi si cercherà di creare delle connessioni fra essi per costituire parti sempre più complesse, arrivando alla soluzione o alla creazione del sistema generale alla fine del processo. Entrambi i metodi hanno i propri vantaggi e svantaggi, naturalmente: il top-down consente, perché lo richiede, di comprendere molto bene e fin da subito il sistema nel suo complesso, ma il processo di scomposizione può diventare molto lungo e laborioso. Viceversa, con un approccio bottom-up si è operativi fin da subito perché si agisce sui piccoli tasselli che poi andranno connessi in un secondo momento. Così facendo, però ci si espone al pericolo di scoprire che queste connessioni non sono poi così funzionali alla risoluzione del problema finale, e si rischia di dover accantonare tutto e ricominciare.

Top-down: flavor first

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Benissimo, abbiamo un’infarinatura sui due termini. Come si applicano al design delle espansioni di Magic: the Gathering? Ovviamente dovremo riadattarli un pochino. Il top-down, in questo caso, rappresenta il processo di creazione di un set che parte da un’idea complessiva di quale debba essere il feel dell’espansione, qual è l’obbiettivo finale, cosa l’espansione cerca di rappresentare, quale storia racconterà. Partendo da questa idea, poi, si passerà ad inventare le singole componenti, in questo caso le meccaniche, e poi le carte. È il caso di tutte quelle espansioni che hanno al centro un nucleo concettuale o un flavor molto forte. Innistrad, ad esempio, è il set top-down per eccellenza: prima di tutto è stato definito l’obbiettivo, ovvero creare un mondo gotico ispirato ai classici dell’horror, e solo in un secondo momento sono state ideate delle meccaniche la cui finalità era il rappresentare al meglio i vari aspetti di quella ambientazione. Questo processo è frattale: scendendo più nello specifico, il percorso è lo stesso. Dopo aver determinato la necessità di avere i licantropi nell’espansione, il team si è posto il problema di inventare una meccanica che li rappresentasse, e così sono nate le carte bifronte. E ancora, al livello della singola carta si parte da un’idea (ad esempio la paura del numero 13) e si disegna una carta che la rappresenti (Triscaidecafobia). Theros, Eldraine, Time Spiral, Kamigawa, sono tutti buoni esempi di set creati con questo approccio.

Bottom-up: mechanics first

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Viceversa, in un set creato from the bottom up viene data la priorità all’individuazione delle meccaniche, alla definizione di come l’espansione dovrà funzionare, più che a ciò che dovrà rappresentare. Tutte le espansioni costruite attorno alle combinazioni di colori, o alle tribù e ai tipi di creatura, sono ottimi esempi di bottom-up. In particolare una delle espansioni più amate, Ravnica, è un ottimo esempio di questo approccio. L’obbiettivo del set era andare a definire meccanicamente ogni coppia di colori in Magic, in perfetta simmetria. Solo in un secondo momento si è proceduto a prendere ognuno di questi singoli tasselli e a connetterli insieme fino ad arrivare alla creazione di un insieme organico. Lo stesso è avvenuto con il blocco di Alara, il blocco di Tarkir e la recente M20 per le combinazioni di tre colori, e con Ixalan, un’espansione creata per lo specifico scopo di scoprire se fosse possibile utilizzare quattro fazioni, anziché cinque. Anche questo approccio si applica all’intera espansione e alle singole carte: si parte da una funzione meccanica necessaria (ad esempio una potente rimozione universale) e si disegna una carta che la svolga (Trofeo dell’Assassina). Solo in un secondo momento si mette in connessione con il resto del set, in questo caso decidendo che questa carta rappresenta un momento topico nella storia.

E Ikoria?

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Ikoria, con le sue affascinanti rivisitazioni di alcune meccaniche storiche e l’introduzione di assurde novità, è un ulteriore esempio dell’approccio bottom-up. Come il blocco di Tarkir, Ikoria è meccanicamente suddivisa nelle cinque combinazioni di tre colori “nemici”, in gergo wedge, ma la complessità meccanica dell’espansione è molto più profonda: nessuna carta al di sotto della rarità “rara” è di tre colori, quindi la stragrande maggioranza dell’espansione è basata sulle coppie di due colori, con un grande sbilanciamento verso i colori “nemici”. Inoltre, sovrapposta a quella dei colori in Ikoria è presente una peculiare meccanica tribale: da un lato gli Umani, dall’altro i non Umani. Di entrambe abbiamo già avuto un assaggio, rispettivamente in Innistrad e in Eldraine, ma le due non erano mai state incorporate nella stessa espansione in modo così preminente. Ikoria mostra il suo approccio bottom-up in due altre meccaniche, che mostrano il “motore” meccanico del gioco come mai è stato fatto prima. La prima è quella dei segnalini abilità, con cui è possibile letteralmente aggiungere keyword alle creature; questo fa il paio con un numero altissimo di carte che diventano più potenti in presenza di altre con le stesse abilità. La seconda è quella dei Compagni, una serie di creature leggendarie che è possibile lanciare da fuori della partita se la composizione del proprio mazzo rispetta certi requisiti. Questo fa di Ikoria un’espansione molto intrigante dal punto di vista del gameplay: le interazioni fra le molteplici meccaniche daranno vita a partite molto complesse e decisioni difficili fin dal momento del deckbuilding, molto più di quanto non avvenga in altri casi. Al contempo, l’ambientazione può risultare più difficile da grokkare, perché non gira attorno ad un concept di immediata comprensione.

Chiudiamo con un punto importante: non è assolutamente detto che un set creato con la filosofia del top-down non includa singole carte frutto di approccio bottom-up. Sarebbe impossibile: ogni espansione deve comunque funzionare meccanicamente e deve interagire in modo consapevole con il resto delle carte esistenti. Ecco perché per ogni Cosa nel Ghiaccio si trova una Dissoluzione Angosciosa. È ovviamente vero anche l’opposto: nel più bottom-up dei set è comunque sempre possibile trovare esempi di singole carte create con l’intento di rappresentare qualcosa, come nel più classico top-down. In Ikoria, ad esempio, fa capolino Kogla, il Gorilla Titanico, che altri non è che una magificizzazione di King Kong, con tanto di rapimento di un Umano!

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Gabriele Bianchi

Lettore, giocatore, conoscitore di cose. Storico di formazione, insegnante di professione, divulgatore per indole. Cercatelo in fiera: è quello con la cravatta.

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