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Paola Barbato: Dylan, Davvero e il coraggio di sperimentare

Qualche tempo fa abbiamo presenziato alla Sagra dei Fumetti, bizzarra e apprezzatissima fiera del fumetto slash festa della birra svoltasi nel bellissimo scenario del castello scaligero di Villafranca, vicino a Verona. Rara per il giusto mix di rilassatezza, terreno calpestabile, contenuto e ospiti, in questa cornice abbiamo potuto fare conoscenza con autori e personaggi che in situazioni più caotiche (leggi: Lucca!) è molto più difficile braccare. Una di queste è la mitica Paola Barbato, punta di diamante della redazione di Dylan Dog: abbiamo potuto chiacchierare con lei e stuzzicarla su argomenti che sia a lei che a noi stanno molto a cuore.

ON: Iniziamo dalla tua creatura più personale e sperimentale, “Davvero”: com'è nato il progetto?

PB: E' stato un caso. Discutevo con Mauro Marcheselli del fatto che un fumetto rosa, ambientato in Italia e non vincolato all'avventura, non esistesse. Secondo me era evidente che ci potesse essere un pubblico potenziale di cui nessuno teneva conto. Così ho deciso di provarci io stessa.

ON: Davvero è, a livello concettuale ed editoriale, sperimentale, audace, per le case editrici perfino azzardato. Quali difficoltà hai incontrato nel portarlo avanti?

PB: Tutte quelle possibili. Levate di scudi dei colleghi, frenate da parte degli editori, nessun desiderio di provarci seriamente e di investirci soldi (o quanto meno entusiasmo). Non me ne vengo fuori con cose tipo che "il pubblico italiano non era pronto", sarebbero pure idiozie. Ma provarci con tutti i crismi sarebbe stato interessante, sia per il pubblico che per noi.

ON: Forse è presto, ma ci piacerebbe chiederti di fare un bilancio di questa esperienza: quanto senti di aver centrato il tuo obbiettivo?

PB: L'esperienza è stata fallimentare ed è un fatto. Le vendite del n°1 hanno quasi raggiunto le 7000 copie, troppo poche anche se in molti la vedrebbero come una cifra di tutto rispetto. Umanamente è stata invece un'esperienza meravigliosa che rifarei mille volte, lo staff splendido, persone che sono entrate nella vita mia e di Matteo Bussola (il mio compagno) per rimanerci. E' una strada che comunque varrebbe la pena di cercare di percorrere, diversamente da come ho fatto io anche se non saprei dire come.

ON: Collegandoci a questo discorso, ma allargando un po' il tiro, al tuo intervento alla Sagra dei Fumetti di qualche mese fa ti abbiamo sentita criticare un certo immobilismo, o dovremmo dire pigrizia, nel mondo del fumetto. Citavi Lùmina, e il mancato sostegno da parte di molti. Vuoi spendere un paio di parole su questo?

PB: In tanti nel nostro ambiente stanno seduti a scaldarsi le chiappe, senza muoversi di un millimetro, facendo i propri compitini e basta. E non ci sarebbe nulla di male se non si scagliassero inferociti contro chi invece cerca di fare cose nuove. Quello che dovrebbe essere uno stimolo e che andrebbe visto come un arricchimento per tutti fa storcere il naso a chi non avrebbe il coraggio di gettarsi allo sbaraglio nemmeno tra mille anni. Sono cose un po' patetiche che per fortuna restano sepolte all'ombra del coraggio di pochi.

ON: Cambiamo bruscamente argomento, ma non possiamo non chiederti di parlarci di Dylan, essendo questo un periodo molto caldo per l'albo Bonelli: Roberto Recchioni è al timone, ed è il momento di grandi cambiamenti. Tu, da “insider”, come hai vissuto e stai vivendo il processo?

PB: Era un processo necessario, praticamente fisiologico. Abbiamo passato un anno in mezzo a una specie di tempesta, il passaggio da come Dylan era stato negli ultimi anni a come sarebbe diventato (o dovrei dire meglio "ritornato"). C'è stata moltissima collaborazione tra tutti, Tiziano stesso nei primi tempi è intervenuto a dare idee, indicazioni e una mano concreta nei passaggi più "tecnici" della fase 1 (che, cosa che non si capisce perché non sia chiara, era un traghetto verso la fase 2 ma si basava quasi completamente su storie che erano già pronte).

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ON: Certi cambiamenti sono destinati a far parlare, e non faremmo il nostro lavoro se non ti stuzzicassimo a riguardo: cosa rispondi a chi critica certe scelte, come dare un cellulare a Dylan o mandare in pensione Bloch?

PB: Che prima dovrebbe leggere le storie e capire di cosa stanno parlando. Ma queste persone non sono interlocutori, sono monologhisti. Non cambierà nulla, non stiamo parlando di sottrazioni ma di addizioni. Ci saranno dei personaggi in più, degli oggetti in più, dei mezzi in più, cose nuove senza nulla togliere a quelle vecchie. Dove stia il problema io proprio non lo so.

ON: Un paio di domande più veloci, ora: sei l'autrice di alcune fra le più indimenticabili storie di Dylan Dog. Ne hai una preferita, fra le tue?

PB: Molte, cambio spesso idea. Sono emotivamente legata a "Lo specchio dell'anima" tanto quanto a "Oltre quella porta". Ma anche allo Speciale "La scelta". Se dovessi dire però quale è la storia che mi è venuta meglio forse direi "Il tocco del diavolo".

ON: E invece, hai un disegnatore con cui lavori meglio, che preferisci per le tue storie?

PB: Sono molto amica di tanti disegnatori (Fabio Celoni e Corrado Roi con cui ho un sodalizio lavorativo davvero bello, per dirne due) però ogni mia storia ha una sua narrazione che chiede un tratto diverso. Certe storie sono venute bene perché le disegnava QUEL disegnatore con QUEL tratto e non sarebbero state altrettanto centrate con uno che magari mi era più simpatico. E' la storia la cosa più importante, per tutto il resto si va a mangiare una pizza insieme.

ON: Concludiamo con la domanda di rito con cui terminiamo tutte le nostre interviste: Paola Barbato, hai a disposizione un qualunque superpotere…quale vorresti avere?

PB: Difficile… Forse l'invisibilità.

Ringraziamo Paola per la disponibilità e non ci resta che aspettare il rilancio di Dylan!

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Gabriele Bianchi

Lettore, giocatore, conoscitore di cose. Storico di formazione, insegnante di professione, divulgatore per indole. Cercatelo in fiera: è quello con la cravatta.

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