Alla notizia della produzione di Star Trek: Picard, una serie dedicata agli anni più invernali del capitano Picard, tanti si sono sentiti divisi in due. Da una parte la felicità di sapere che Patrick Stewart avrebbe ripreso i panni di uno dei capitani (ora ammiraglio) preferiti della Flotta Stellare, con nuove ore da trascorrere vivendo storie inedite, potendo assistere alla continuazione del suo viaggio. Ma dall’altra una domanda: era finita, a regola d’arte perfino (almeno la serie di TNG), perché rischiare di rovinare qualcosa di bello?
Star Trek: Picard, sperare per il meglio
Dopo più di vent’anni dalla messa in onda dell’episodio conclusivo di Star Trek: The Next Generation, è passato abbastanza tempo per farsene una ragione, perché quei personaggi e quelle vicende restassero fissati nei cuori di noi fan.
Ma per quanto si cercasse di tenersi con i piedi per terra (forse con una punta di cinismo per evitare di farsi male) era difficile non squittire di gioia alla vista dei trailer con volti noti e amatissimi: da Will Riker a Seven of Nine e l’androide Data. La presenza di Stewart nella “stanza degli sceneggiatori” non ha fatto che confortare le aspettative che subivano alti e bassi con il susseguirsi di notizie positive e negativi nel corso dei mesi.
Abbiamo fatto bene a osare sperare per il meglio? Reduci dalla visione dei primi due episodi possiamo dire di sì. L’impressione non è nemmeno stata di aver visto due episodi di una serie, ma l’inizio di un’opera cinematografica curata e dalla narrazione promettente, ad alto impatto emotivo.
A questo punto sarà inevitabile addentrarsi negli SPOILER per cui siete avvisati: se non ne volete questo è il momento di smettere di leggere. Ci vediamo dopo.
Dare la colpa alla congiuntivite andoriana
Non abbiamo mai benedetto così tanto il buio in sala a un’anteprima come questa volta. L’ultima cosa che si desidera per il proprio amor proprio è sciogliersi in lacrime gomito a gomito con giornalisti e pr. Insomma, se siete fatti di gelatina come noi a volte conviene tenersi pronta la scusa di una congiuntivite andoriana.
Non eravamo preparati a ritrovare Picard e Data di nuovo insieme sulle note di Blue Skies, i volti, positronico e umano, solcati dalle rughe degli anni, intenti a rubare un’ultima partita a dispetto del tempo. Ma tutto prima o poi deve finire. C’è un’ultima partita, un ultimo sogno e un’ultima puntata ad attenderci da qualche parte.
Con il sacrificio finale la storia di Data aveva trovato una triste conclusione, per l’androide che si è rivelato fino alla fine più umano di tanti in carne e ossa. Il suo ritorno (almeno per il momento) è infatti esclusivamente nella psiche del capitano, un ricordo vivo, di affetto e dolore che accompagna Picard nel sonno e nella veglia.
La vita dell’ammiraglio adesso è ritirata (come raccontato nell’episodio conclusivo in Ieri, oggi e domani), tornato tra i vigneti francesi di famiglia a produrre vino, con una coppia di anziani romulani ad aiutarlo. La Flotta Stellare è ormai per lui un ricordo tormentato, lasciata in rapporti non proprio amichevoli.
Star Trek: Picard: l’utopia infranta
E qui veniamo a uno dei nodi principali di rottura con il mondo di Star Trek come lo conoscevamo. Non siamo più in un mondo utopico, nel futuro creato da Roddenberry, basato su canoni di perfezione etica e sociale. Nei primi due episodi l’idea suggerita è quella di una federazione diversa, molto probabilmente corrotta, più simile al nostro mondo e lontana dall’utopia.
In seguito alla distruzione delle colonie su Marte, dovuta alla ribellione o improvvisa follia della manodopera droide presente a lavorare sul pianeta, la Federazione ha bandito ogni forma di vita senziente positronica. Ciò in concomitanza con l’esplosione di una supernova che ha cancellato il pianeta Romulus, portando all’annullamento della missione di salvataggio e rilocazione dei romulani comandata dallo stesso Picard. Passi indietro enormi per l’ammiraglio, decisioni che non può appoggiare, continuando a servire in un’organizzazione che avrebbe impedito a Data e a suoi simili di esistere e che si sottrae al salvataggio di vite in pericolo. I principi della Federazione di libertà universale, equità, condivisione della conoscenza e delle risorse per la cooperazione universale pacifica, subiscono un colpo mortale.
Il mondo di The Next Generation non esiste più, ma quei valori non sono stati rinnegati, anzi. Jean-Luc li ricorda molto bene ed è pronto a tutto pur di difenderli, saldo e memore di ciò che la Federazione ha sempre rappresentato. Quanto impegno occorre nel ricordare che il pericolo che le istituzioni diventino gusci vuoti è reale? Quanto dobbiamo fare come individui perché le organizzazioni e gli Stati siano sempre responsabili della collettività e dei valori che li hanno fondati?
Il disastro su Marte che ha portato a un numero elevatissimo di vittime, oltre alla distruzione di Utopia Planitia, ha provocato negli anni successivi una serie di eventi che rimangono da chiarire insieme alle cause della catastrofe, e su cui molto probabilmente si snoderà la trama della serie.
Star Trek: Picard è prodotto per i fan ma non solo…
È evidente come la struttura della serie non rispecchi più i canoni classici di episodi autoconclusivi, ma segue più archi narrativi ad ampio respiro, verso una conclusione unitaria di fine stagione. L’altro filone narrativo è legato alla misteriosa identità della (sventurata) ragazza, Dahj. Fortunatamente, viene immediatamente rivelato di chi si tratti, evitando di costruire la serie sulla scoperta della sua identità.
Costruire un personaggio per farlo sparire nel giro di un episodio non è una scelta rivoluzionaria, anche se conserva una sua forza, e siamo curiosi di vedere lo sviluppo riservato alla gemella dal pedigree così interessante.
Sembra essere una serie tranquillamente godibile per chi non abbia mai visto Star Trek, anche se naturalmente tanti riferimenti andrebbero persi e la ricca storia dei personaggi, e di Picard soprattutto, rimane essenziale per un pieno apprezzamento.
Citazioni, camei e riferimenti mancano di strizzatine d’occhio eccessive. Sono gradevoli da individuare e hanno un senso intrinseco nella storia senza essere buttati a caso. Per chi fosse preoccupato, non c’era nemmeno un tribolo, pensate un po’! Non dovrebbero far sentire escluso un neofita, e possono semplicemente confondersi con il sottofondo. Ad esempio, Blue Skies rimane una bellissima canzone per chiunque, anche se per chi ha una lunga storia con il franchise ha un livello di significato in più (Come il riferimento al Captain Picard Day…).
Vi sono poi dei temi fondanti su cui si costruisce la narrazione e i principali sono la scelta e l’immobilità. Picard ha deciso di lasciare la Flotta Stellare per una serie di motivi che andranno approfonditi. Si è ritirato, immobile, ma nel momento in cui si accorge che la sua vita è diventata un’attesa della fine, sceglie di nuovo, questa volta di cambiare le cose tornando in campo. Di agire, innescando altro movimento, nonostante gli ostacoli.
Allo stesso tempo l’immobilità sembra aver investito la Federazione, in particolare il laboratorio di cibernetica dove un tempo si studiavano e si costruivano androidi. Ormai un istituto costretto al puro studio teorico, con i macchinari immobili e le sale semivuote, senza più possibilità di creare. Un’immobilità non scelta ma obbligata, che crea sofferenza, visibile nello smantellamento di B-4 e negli atteggiamenti della stessa dottoressa Agnes Jurati a capo dei progetti.
Come ogni scelta interessante, chissà quali terribili rischi e pericoli dovrà affrontare Picard con i nuovi e vecchi compagni di viaggio. Non ci resta che goderci lo spettacolo.
Il primo episodio di Star Trek: Picard sarà disponibile a partire da domani 24 gennaio su Amazon Prime Video.
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