Amiamo Avatar – La leggenda di Aang. Non per qualche effetto nostalgico: l’abbiamo vista qualche anno fa, già da adulti — e abbiamo capito fin dalle prime puntate che si trattava di una grande storia, con personaggi ben scritti e interpretati. Quindi, quando abbiamo scoperto che Netflix stava per lanciare una versione live action della serie animata, abbiamo voluto sondare il terreno guardando tutte le altre recensioni di Avatar. C’è chi ha amato la serie, chi l’ha criticata. Ma tutti quelli che conoscevano già Aang e compagni sembrano d’accordo con la nostra prima impressione: non ha la magia dell’originale. O almeno, non tutta.
Quasi nessuno si aspettava altrimenti. Anche quando l’adattamento funziona bene come in Avatar e in alcuni remake Disney o nella serie di One Piece (sempre su Netflix), il commento dei fan è sempre “bello, non come l’originale, ma niente male”. O qualcosa di simile. Quindi perché continuiamo a ostinarci a raccontare una versione spesso peggiore della stessa storia, invece di inventarne di nuove? La risposta ha a che fare con il modo in cui ragionano gli studios — ma anche nel modo in cui ragioniamo noi fan.
Perché trasformiamo film e serie animate in live action?
Qui i vantaggi del mondo Disney+. Il tutto senza costi aggiuntivi. Disdici quando vuoi.
Se seguite da vicino il mondo del cinema e delle serie TV, sapete già benissimo il perché le case di produzione vogliono fare il remake di progetti animati: i soldi. Dopotutto, si chiama “show business” per un motivo: chi finanzia un progetto per milioni di dollari può avere tutte le ambizioni artistiche del mondo, ma ha bisogno di un ritorno sugli investimenti. E puntare su una storia che ha già funzionato in passato, seppur in versione animata, sembra una scommessa più sicura che credere nel copione di una sceneggiatrice o di uno sceneggiatore debuttante.
Il live action trova più pubblico delle serie animate (purtroppo)
Netflix ha sulla propria piattaforma tutta la sessantina di episodi della serie di Nickelodeon (e anche il suo sottovalutato sequel La Leggenda di Korra), quindi sa che ci sono molte persone che continuano a scoprire e amare Aang e il team Avatar ogni giorno. Lanciare una versione live-action può attrarre sia i fan di lunga data che conquistare nuovi spettatori. È lo stesso discorso che fa Disney quando trasforma il Re Leone in CGI: punta a far tornare al cinema i bambini di ieri, possibilmente con i loro figli di oggi.
Si potrebbe obiettare che Netflix potrebbe semplicemente rilanciare la vecchia serie animata di cui ha comprato i diritti. Aang, Sokka, Katara e poi Zuko, Azula e Toph sono personaggi che possono conquistare i ragazzi e le ragazze oggi come lo facevano nel 2005, quando la serie animata debuttò in TV.
Ma gli adulti, anche chi ha amato la serie, tornerebbero a guardarla e a metterla al centro dell’attenzione? E se anche tornassimo a vederla, riusciremmo a convincere i nostri amici che non la conoscevano a guardarsi i sessanta episodi animati per recuperarla? Noi, personalmente, abbiamo un tasso di successo piuttosto basso. E con i suoi dati sullo streaming, siamo certi che Netflix lo sappia.
Il pubblico continua a snobbare l’animazione
Togliendoci un po’ di cinismo dalle dita che battono sulla tastiera, non pensiamo che chi adatta serie animate in live action come Avatar, Death Note o One Piece (tanto per restare in casa Netflix), lo faccia solamente per un ritorno più sicuro sull’investimento. Pensiamo ci siano produttori che vedono queste storie potenti e ben raccontate, con un linguaggio capace di parlare di temi forti anche ai ragazzi e alle ragazze, e vogliono che più persone possibile le vedano.
La cosa che, da amanti dell’animazione, ci infastidisce, è che pensino che per allargare il pubblico di queste serie animate ci sia bisogno di trasformarle in live action. E ancora di più — non sopportiamo il fatto che abbiano ragione.
Quando proviamo a convincere qualcuno (un po’ meno Nerd di noi) a guardare One Piece, Avatar o le serie animate Star Wars come The Bad Batch, ci troviamo sempre davanti allo stesso scoglio. La trama convince, l’ambientazione intriga. Poi diciamo che si tratta di una serie animata e assistiamo a una reazione mezza disgustata. Più o meno la stessa che riceviamo consigliando dei musical, tanto che nemmeno i trailer non vogliono ammettere che ci siano canzoni e coreografie.
Un lento cambiamento per liberarci dagli stereotipi
Nell’ultimo periodo, il successo strepitoso degli anime e il fatto che i cinefili di tutto il mondo non si stanchino di dire quanto Hayao Miyazaki sia un genio hanno migliorato la situazione. Ma nella testa di tutti noi in Occidente, l’animazione resta una questione per bambini.
Probabilmente anche nella nostra di fan, semplicemente accettiamo di comportarci da bimbi ogni tanto e ci guardiamo un “cartone animato”. E se quel cartone animato ha una trama avvincente e personaggi ben delineati come Avatar, non ce ne vergogniamo neanche un po’.
Tuttavia, noi guardiamo una marea di serie e film ogni anno — qualcuno anche per lavoro. Chi, invece, ha meno tempo per questa forma di intrattenimento, quindi tende a selezionare di più. E spesso, se deve scegliere, elimina l’animazione. Gli studios lo sanno e agiscono di conseguenza. Ma dall’altra parte, poiché gli studios mirano il marketing dell’animazione sempre verso i bambini o ragazzi (anche serie da adulti come i Simpsons o Rick & Morty), difficilmente uno scettico darà fiducia a una serie animata.
Quindi, sebbene, tutti i fan continuino a urlare “era meglio la serie animata”, difficilmente qualcuno che non la conosceva si convincerà a recuperarla. O meglio: lo faranno in pochi. Persone a cui si aprirà un mondo: non solo quello di Avatar, ma quello di tantissime serie negli anni, da quella di Batman a Clone Wars, passando per una quantità enorme di anime. E forse convinceranno qualcun altro a seguirli. Tanto che, fra qualche anno, Netflix proporrà le versioni animate di The Office e Better Call Saul, perché quelle live action non le guarda più nessuno.
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