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September 5: un’ode al giornalismo, ai suoi meriti e demeriti | Recensione

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Arrivato in punta di piedi e senza smuovere troppo le acque in questa stagione dei premi, conquistando candidature interessanti sia ai Golden Globe che agli Oscar, September 5 è un film che si incasella nella lunga e fortunata serie di “racconti di giornalismo”, recentemente passata in secondo piano. Abbiamo avuto The Post, abbiamo avuto Il caso Spotlight e su, su fino a Tutti gli uomini del presidente. E forse ancora più che in questi casi, ci troviamo davvero davanti a una intensa riflessione sul giornalismo. Anche troppo, per certi versi. Vediamo come e perché nella nostra recensione di September 5.

September 5, la recensione: la prima crisi in diretta

Siamo alle Olimpiadi estive di Monaco del 1972, le prime organizzate dalla Germania (Ovest) dopo la Seconda Guerra Mondiale. I tedeschi vedono questa come un’occasione di riscatto, per ricostruire l’immagine del Paese agli occhi del mondo, distrutta dagli orrori nazisti. La rete americana ABC ha deciso di seguire l’evento in grande stile, con collegamenti in diretta e un grande dispiegamento di telecamere.

Quello che doveva essere il classico trionfo dello sport però prende una piega terribile. All’improvviso si sentono degli spari nel villaggio olimpico e in pochi minuti la situazione precipita. Un gruppo terrorista ha preso in ostaggio la squadra israeliana e chiede la liberazione di diversi prigionieri palestinesi. Ne nasce una vera e propria crisi mondiale, che solo la troupe sportiva di ABC può raccontare in diretta a tutto il mondo.

SEPTEMBER 5 | Official Trailer (2024 Movie)

Non è un caso che agli Oscar questo film concorra per il premio alla Miglior sceneggiatura, perché il lavoro fatto dagli autori è certosino. Innanzitutto perché va dritto al punto: entriamo negli studi di ABC pochissime ore prima che inizi tutto. Abbiamo una rapida ed efficace introduzione dei diversi protagonisti, dei loro approcci, dei loro ruoli e poi via. Ma c’è un altro aspetto che ci dimostra la cura con cui questo film è stato realizzato, ovvero il fatto che noi da quegli studi non usciamo mai.

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Il punto di vista dello spettatore è sempre nella sala di regia e nelle stanze attigue. Vediamo ciò che succede sul campo dalle riprese che arrivano in studio, ma non lasciamo mai quelle mura. È difficile mantenere alta la tensione narrativa con un approccio del genere, ma se riesci a farlo l’effetto è moltiplicato dal fatto di non sapere cosa stia succedendo fuori. E September 5 ci riesce in pieno.

Un film politico, ma non come te lo aspetti

Che conosciate o meno gli eventi di Monaco del 1972 (magari grazie a Munich di Steven Spielberg) è facile immaginare come un film su questa storia in questo momento possa ricollegarsi a eventi attuali. Eppure, paradossalmente, September 5 non parla quasi per niente di Israele e Palestina anzi, è più concentrato sulla Germania e il suo tentativo di superare gli orrori del proprio passato a ogni costo.

Potremmo addirittura spingerci a dire che il film funzionerebbe ugualmente anche con una crisi completamente diversa, compresa una inventata. Perché quello di cui vuole parlare davvero è, come dicevamo all’inizio, di giornalismo. E nel farlo non prende la strada più semplice.

Perché sarebbe facile parlare della troupe di ABC come di grandi eroi dell’informazione, non dissimili da quelli che abbiamo conosciuto nei film che citavamo nell’introduzione. Dopotutto sono giornalisti sportivi che in nome della Vocazione con la V maiuscola, quella di portare la conoscenza a tutti nella maniera più diretta e completa possibile, si sono rimboccati le maniche, sono usciti dalla loro zona di esperienza e hanno cercato ogni tipo di espediente per compiere il proprio dovere.

Ma September 5 non è solo questo. Perché quei giornalisti hanno dovuto prendere tante decisioni quel giorno e non tutte sono state giuste. E allora, ecco che a fianco della ricostruzione storica, del dramma appassionante (come oltre 900 milioni di persone connesse in diretta possono testimoniare) spunta il tema centrale del film: dove arriva il dovere e la responsabilità della cronaca?

September 5, recensione: un film che rifugge la spettacolarizzazione

In conclusione, September 5 è un film che parte da una storia potentissima e da un certo punto di vista la disinnesca. Non ci porta mai in mezzo all’azione vera, non assistiamo ai momenti di tensione ma li viviamo sempre mediati dal racconto altrui, dal riflesso di un monitor, dalle immagini che arrivano allo studio. Noi viviamo un tipo di azione diversa, quella di chi vuole raccontare al meglio una storia, anche se non è quella che si era preparato a raccontare. Perché in fondo, se hai intrapreso questa via è perché ti senti chiamato a fare questo, raccontare. A prescindere dal tema.

E tutto si sviluppa in maniera non scontata, scegliendo per esempio di intrecciare il vero materiale, le vere riprese di quella “diretta che cambiò la storia”, come unica fonte di quello che succede oltre i confini dello studio. Ma soprattutto sceglie di non celebrare quell’impresa in maniera acritica, anzi. Mette in scena anche e principalmente le scelte difficili, gli errori e più di tutto i dubbi.

Anche in questo September 5 scappa dalla facile drammatizzazione. Non ci consegna degli eroi che hanno cambiato la storia, ma uomini e donne che hanno dovuto decidere come raccontarla e forse ancora adesso si chiedono se abbiano fatto le scelte migliori.

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