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Scuola e tecnologia, due rette parallele?

È stata pubblicata di recente una ricerca europea condotta da Epson, durante la quale l’azienda, leader nello sviluppo tecnologico, ha chiesto a 7.000 dipendenti del settore scolastico cosa ne pensassero dell’inserimento della tecnologia nell’istruzione, e di come la scuola cambierà nei prossimi anni grazie ad essa. Le loro risposte, e i dati che vi riporteremo nel corso di questo articolo, ci hanno spinti a mettere per iscritto riflessioni che ci siamo trovati tante volte a fare, riguardo a cose che probabilmente plasmeranno il nostro futuro, e quello delle prossime generazioni.
Qui in redazione, nonostante siamo tutti nati circa fra metà degli anni ’80 e metà degli anni ’90, abbiamo avuto esperienze molto diverse con le tecnologie a scuola. C’è chi si stupiva già se c’era la luce nel bagno, chi andava in laboratorio di informatica due volte l’anno, a cercare immagini di Eminem da mettere come sfondo nei computer della scuola. Alcuni di noi almeno avevano il proiettore in classe, e qualche professore ogni tanto usava le slides. Infine, per i più giovani, gli anni del liceo sono stati lavagne elettroniche, lezioni di programmazione al computer, o libri sul tablet. È incredibile pensare che tutto questo percorso è avvenuto in dieci anni, ed è ancora più assurdo immaginare cosa avverrà nei prossimi dieci, ma non è stato sempre rose e fiori. 
In un mondo ideale, le tecnologie arrivano e noi siamo prontissimi ad accoglierle, senza che il passaggio, l’abituarsi ad un nuovo modo di fare le cose, o anche solo accettare che questo sia il progresso, ci richieda tempo, fatica e denaro. Sono queste, in linea di massima, le difficoltà che i partecipanti alla ricerca Epson ritengono segneranno la scuola tecnologica del futuro: la mancanza di finanziamenti (48% in Italia, 47% media europea), la formazione degli insegnanti (42% in Italia, 40% media europea) e le tecnologie obsolete (40% in Italia, 34% media europea). Quelli di noi che hanno avuto a che fare, durante il proprio percorso di istruzione, con qualcosa come le futuristiche lavagne elettroniche, si sono spesso trovati a pensare che tale tecnologia comportasse uno sforzo tale, per essere utilizzata, da risultare in fin dei conti una perdita di tempo, che sarebbe potuto essere speso meglio, con i metodi tradizionali di insegnamento. Perché un nuovo metodo di fare le cose, anche uno che “a regime” snellirebbe l’attività, richiede un certo tempo per abituarcisi, e delle specifiche competenze. 
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Da qui viene piuttosto naturale passare alla questione della formazione degli insegnanti. Quelli che ormai tutti chiamano “i nativi digitali”, insomma, i ragazzetti, sono già bravissimi ad utilizzare la tecnologia, ma perché essa sia al servizio della didattica, devono essere i professori a saperla sfruttare. E questa non è una richiesta affatto ovvia e banale. In Italia la maggior parte dei docenti di scuole superiori ha fra i 54 e i 59 anni, molto più della metà del totale sono over 50. Nati e formati in un periodo in cui le tecnologie erano molto diverse, magari preparatissimi nella loro materia, ma spesso spiazzati di fronte al cambiamento digitale che il mondo sta affrontando. Si tratta di uno sforzo dovuto, che è legittimo chiedere loro, o di una pretesa che rischia di distrarli dai loro impegni, già molto serrati, di insegnanti? il 62% delle persone intervistate nell’ambito della ricerca (61% media europea) ritiene i docenti delle scuole di vario grado non dispongano delle conoscenze necessarie per utilizzare le tecnologie che si introdurranno nelle scuole nei prossimi 10 anni. Tuttavia, il dato positivo è che il 73% (60% media europea) di loro si dichiara disposto ad aggiornare le proprie conoscenze e competenze, per svolgere meglio il proprio lavoro. 
Senza considerare che la formazione costa, e a volte il suo costo supera nettamente quello delle tecnologie coinvolte. Sono costi sostenibili? Utili in un’ottica futura? O bisognerebbe soltanto aspettare che il ricambio generazionale faccia il suo corso?
Infine, forse uno degli argomenti più delicati e complessi della questione, che accenneremo soltanto, ma ci teniamo a lasciarvi anche questo spunto di riflessione. In un mondo in cui tutte le informazioni sono disponbili nelle nostre tasche, in cui siamo talmente bombardati di informazioni che uno dei problemi più grossi della cultura dei paesi sviluppati è la diffusione di notizie non autorevoli, la tecnologia ci sta rendendo persone più informate e colte? Lo sta facendo in modo proporzionale alla sua diffusione, o potremmo sfruttare meglio le possibilità che abbiamo di acquisire informazione? 
Ci rendiamo conto che questo articolo vi stia ponendo più domande che risposte, ma speriamo di ottenerne da voi, quindi concludiamo con lo stesso trend: e voi cosa ne pensate? Com’era la scuola quando la frequentavate voi? E come pensate diventerà?

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Giada Rossi

Laureata in Astronomia, aspirante Astrofisica. Curiosa di natura. Scrivo soprattutto di scienza, ma preferisco parlare di cani buffi.

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Un commento

  1. Sono un insegnante, quindi mi trovo coinvolto nella discussione e cercherò di dare il mio punto di vista sull’argomento.
    Ho 30 anni, il che nel mondo della scuola significa essere “giovane”, per quanto nel mondo “reale” significhi essere ben lontano ormai dalla giovinezza; la tecnologia a scuola si sta diffondendo a macchia di leopardo: per una scuola che ha tablet e LIM, ci sono scuole che invece non hanno nemmeno le vecchie lavagne in ardesia. Queste differenze, in larga parte geografiche e economiche, sono già un primo ostacolo alla diffusione omogenea delle tecnologie nella scuola e nella formazione degli insegnanti.
    Questo ostacolo, infatti, si riverbera nella formazione dei docenti!
    Nell’articolo si sottolinea come l’età media degli insegnanti italiani sia piuttosto alta (ed io lo posso confermare visto che molti colleghi mi trattano come se fossi un figlio più che un collega…), questa “vecchiaia” è un grosso problema per i più: i docenti affermano di essere pronti all’aggiornamento, ma una cosa è dirlo, o anche cercare di farlo seguendo qualche corsetto a scuola in cui ti insegnano le basi, un’altra cosa è effettivamente farlo! Se ti propongono un corso d’aggiornamento sarà su come usare Windows, forse Word, nei migliori dei casi Ppt, ma questo non è aggiornasi, questo ormai è essere arretrati! L’aggiornamento dovrebbe necessariamente comprendere tutti i social network, tutti i sistemi di app “et similia”.
    L’uso delle LIM (la lavagna multimediale per intenderci) è uno degli esempi più rilevanti di questo problema: nella maggior parte dei casi la LIM è usata come un proiettore con cui fare vedere “roba” da internet; questo modo di utilizzarla è banale e, ancora peggio, uno spreco di denaro pubblico. La Lim infatti permette di fare tantissime cose, permette di facilitare la lezione e di renderla davvero interattiva, permette la programmazione di esercizi con sistemi di autocorrezione, permette la creazione di contenuti. Per fare tutto ciò ovviamente servono però conoscenze, nemmeno troppo avanzate sia chiaro, ma servono conoscenze che richiedono delle basi quantomeno solide.

    Nell’articolo ci si chiedeva se il gioco valesse la candela: la risposta è SI, a patto che gli strumenti vengano usati con cognizione di causa ed al massimo delle loro potenzialità.

    P.s.
    Un breve cenno al ricambio generazionale dei docenti: se i docenti vanno in pensione a 63 anni circa, ci vorrà ancora un decennio affinché l’età media cali di .. un decennio scarso!
    Entrare nella scuola ormai è una lotta continua tra avvocati e ricorsi!
    Personalmente ho seguito la strada che il MIUR aveva delineato: abilitazione, concorso a cattedra -> immissione in ruolo.
    Ho vinto una selezione pubblica con 3 prove (2 scritti ed una prova orale) per poter partecipare al corso di abilitazione (solo 10 posti nella mia regione); ho partecipato al concorso a cattedra (13 posti nella mia regione) e sono arrivato 4°.. al momento sono in attesa da un anno di immissione in ruolo ed il tempo passa inesorabile.
    Se i giovani devono aspettare ancora ed ancora per entrare nel mondo della scuola, smettono di essere giovani.. e la scuola invecchia.

    Perdonate il “papiello”.

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