Che la figura dello zombie sia da sempre molto diffusa nel nostro immaginario, è un dato di fatto; le testimonianze letterarie sono numerose e anche piuttosto antiche, ma sicuramente l’interesse verso questi mostri si è intensificato di recente.
Che sia per moda o per il fascino intramontabile dei nostri amici mangia-cervelli, ormai li abbiamo visti in tutte le salse: dalla semplice apparizione come classici lenti camminatori che si fermano solo per banchettare della materia grigia umana si sono evoluti a parte della società, con innumerevoli opere che trattano dell’influenza che i non-morti avrebbero sulle menti e sulle questioni umane qualora fossero una minaccia realistica.
Una piega ancora più attuale nel panorama relativo a queste creature riguarda forse uno sviluppo ulteriore di questa analisi: cosa succederebbe se gli zombie fossero integrati nella società?
Dunque zombie non più come mostri, ma persone senzienti “trasformate” in qualcos’altro; esseri umani che loro malgrado, si trovano a diventare un mostro, mantenendo una coscienza intatta, solo la loro fisiologia pare cambiare.
Santa Clarita Diet rientra sicuramente in questo ultimo approccio, e lo fa in maniera divertente e arguta, ma con un costante tributo alla tradizione più splatter del genere, con scroscianti getti di vomito e pozze di sangue alla Braindead.
La prima stagione è uscita nel febbraio del 2017 ed è stata subito accolta positivamente tanto dal pubblico quanto dalla critica; la presenza di attori di un certo calibro come Drew Barrymore e Timothy Olyphant ha certo aiutato, ma la serie si presenta piuttosto bene.
Siamo a Santa Clarita appunto, in California; Sheila e Joel Hammonds sono una felice coppia di agenti immobiliari, ma un ignoto avvenimento trasforma la donna in una non-morta (la parola zombie non piace tanto) e l’unico modo perché resti in vita, è che si nutra di esseri umani. In realtà, è perciò pressoché una cannibale, perché la sua necessità non è limitata al cervello, ma anche un piede può essere uno spuntino.
Sheila però è fortunata, non è sola, l’amore del suo Joel si rafforza perfino; presto troverà preziosi alleati anche nella figlia adolescente Abby e nel suo migliore amico Eric.
La squadra è fatta e si può continuare a vivere, ma il primo grosso dilemma nasce presto: come procurarsi i corpi?
Semplice, uccidendo i cattivi.
Il principio di Dexter di uccidere solo chi lo merita permette allo spettatore di continuare a empatizzare verso la nostra Drew Barrymore, e l’eccessivo senso di gore che viene immesso forzatamente in scene di apparente vita quotidiana, ci ricorda che è tutto surreale, come a dirci “Ehi, ricordatevi che è finto, non siete brutte persone se tifate per lei”.
E sul concetto di brutte persone, di implicazioni morali, di premeditazione fallimentare, si snoda tutta la serie, e una volta introdotti i personaggi per bene nella prima stagione, la seconda prende il volo.
Il 23 marzo, Netflix ha infatti pubblicato la nuova season e l’attesa per i nuovi 10 episodi è valsa la pena.
Ritornano prepotenti le tematiche della prima, sottolineandole e ampliandole in maniera per lo più ironica.
Di nuovo, per esempio, c’è il problema delle vittime del cannibalismo: e chi sono i cattivi per eccellenza? Ma i nazisti naturalmente!
Nascerà quindi una gag che si protrarrà in tutti gli episodi riguardo nazisti e aragoste, ma non vi spoilero altro.
Tornando all’impegno più sociale, il messaggio di fondo è quello dell’amore: tutti meritiamo di essere amati e compresi, anche se diventassimo zombie. Sì, perché l’essere non-morti è una condizione medica, come un tipo di disabilità mai visto prima e per il quale l’amico nerd Eric continua a cercare una cura.
Tutta la serie si muove nel mare della ricerca di normalità, nella volontà di avere problemi facili e usuali di tutti i giorni, nel desiderio di voler fare qualcosa di semplice come una cena con amici o costruire una libreria.
Santa Clarita Diet 2 si espone politicamente più della stagione precedente, oltre all’uguaglianza, alla parità di diritti, al sessismo, compare la questione ambientale. Il fervore con cui Abby, più matura e responsabile dei suoi genitori (almeno in apparenza), si dedica alla lotta al fracking nonostante abbia problemi più grossi potrebbe renderla un personaggio poco realistico, stonando col resto della serie. Invece no, è comunque un’adolescente e come tale, le azioni che compie, sono spesso contrastanti, estreme, irrazionali.
Problemi attuali e immaginari dunque si intersecano in una dimensione comune di profondo senso di rispetto verso la preservazione dell’umanità intesa come insieme di persone e di valori morali.
Non siamo davanti al mega capolavoro che riscriverà la storia della televisione, ma dalla recitazione più fluida (è evidente che si trovino tutti molto più a loro agio nei rispettivi ruoli), a una sceneggiatura galoppante (salvo qualche battuta trash ma in linea con il senso visivo di splatter), sono tanti i piccoli dettagli a rendere Santa Clarita Diet un piccolo gioiello.
Insomma, se questa stagione ci ha saziato, ha anche lasciato lo spazio per il dolce, che speriamo venga servito con una terza stagione.