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Quando i grandi registi parlano di cinema

Quando il cinema ci porta dietro la telecamera

Il nuovo film di Steven Spielberg, The Fabelmans, è uno di quei film che sarebbe facile riassumere dicendo che è una lettera d’amore per il cinema“. Perché lo è. Ma quando un grande narratore come Spielberg parla d’amore, sa che il romanticismo nasce dalla tragedia, che le difficoltà da superare insieme sono il sale del sentimento. The Fabelmans dimostra l’amore di Spielberg per il cinema proprio perché mette davanti alla telecamera il tumulto interiore che di solito i registi tengono lontano dall’obiettivo. Spielberg però non è l’unico dei grandi regista che racconta il cinema come una storia d’amore splendida, ma sempre complicata.

SPOILER ALERT: Il resto di questa riflessione contiene spoiler su quello che accade in The Fabelmans (e in altri grandi film). Leggete con prudenza

Quando i grandi registi parlano di cinema, film d’amore e tragedia

Uno dei momenti più catartici di The Fabelmans vede il giovane protagonista, versione non troppo romanzata di Spielberg, incontrare una leggenda del mondo del cinema: John Ford (interpretato da David Lynch, in una decisione di casting perfetta). Per dare l’idea a chi non ha visto Sentieri Selvaggi di quale genio fosse, basta dire che oltre che ispirare il giovane Spielberg, quando chiesero a Orson Wells da chi prendesse ispirazione, rispose: Solo dai grandi, quindi: John Ford, John Ford e John Ford“. Con Orson Wells e Spielberg come discepoli, possiamo dire che per proprietà transitiva ha insegnato a tutta Hollywood come si gira un film.

Nel 1971, Peter Bogdanovich (altra leggenda), diresse un documentario chiamato Directed by John Ford. In un’intervista per il film, chiese a John Ford come avesse girato una particolare scena. “Con una telecamera” rispose Ford.

john ford registi film che parlano di cinema-min

Come molti altri grandi registi, Ford non adorava parlare dell’arte di fare film. Eppure, diversi autori hanno raccontato gli alti e i bassi della carriera da regista proprio tramite il medium filmico. Un film che parla di fare film, un esercizio che sembra quasi indicare una vanità infinita e che fa pensare che siano pensati per un solo pubblico: quello fatto di registi e star dell’Academy, che vota per gli Oscar.

Forse è vero. Ma alcune di queste opere, come The Fabelmans, riesce a trascendere il livello di “storia per esperti del settore”. Finiscono per raccontare la difficoltà di inseguire i propri sogni, l’egoismo di mettere la macchina da presa al primo posto nella propria vita. Ma anche la magia di raccontare una storia che faccia commuovere qualcuno in una sala cinematografica buia dall’altra parte del mondo.

In battaglia per raccontare la propria storia

Quando lo zio Boris (Judd Hirsch) arriva in The Fabelmans, spiega al giovane Sammy le cose come stanno. “Siamo tossicodipendenti. L’arte è la nostra droga”. Indicando la macchina da montaggio che Sammy ha in camera da letto dice che nessuno della sua famiglia riuscirà mai a capire perché ama più quella cosa di quanto ami loro.

Come Mastroianni in 8 e mezzo di Fellini, i suoi ricordi e le sue fantasie saranno più vere della realtà quotidiana. Questo è il potere di guadagnarsi il pane con le storie, il rischio di vivere galleggiando per aria. Fellini conclude quel film concedendosi completamente alla fantasia del cinema. Ma la gioia che proviamo nel vedere quel finale è quantomeno agrodolce (e quindi ancora più potente).

8 e mezza film sul cinema

Durante il film vediamo più volte le difficoltà di Sammy Fabelmans nel bilanciare la propria vita con la propria arte. Anzi, il cinema più volte è quello che crea problemi e poi li risolve: se questa è la storia d’origine di Spielberg, usare la telecamera è il suo super potere. Quindi non sbaglia mai. Lo stesso Spielberg ammette che Sammy Fabelmans è più bravo di lui.

Altri creatori hanno invece racconto al cinema la propria difficoltà nel creare film. Come Charlie Kaufman nell’assurdo Il Ladro di Orchidee (diretto da Spike Jonze), in cui il suo gemello immaginario finisce per snaturare la propria sceneggiatura, concludendo il film con una serie di scene d’azione inverosimili in una meta-narrativa cervellotica ma brillante.

Il potere (a volte terribile) del cinema

Ma tra le fatiche dell’arte, tutti i grandi registi riescono in qualche modo a raccontare la potenza del cinema nei loro film che parlano di come fare film. Spielberg riesce a far commuovere la sua adorata madre come nessun altro (con l’interpretazione di Michelle Williams che merita alemno una settantina di Oscar). Non vedevamo qualcuno commuoversi tanto davanti alla macchina da presa da quando Salvatore vede il montaggio dei baci censurati alla fine di Nuovo Cinema Paradiso.

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La possibilità di vedere la propria vita in quella dei personaggi, i nostri desideri più profondi proiettati su un telo bianco. Ma forse l’impatto più potente del potere del cinema lo vediamo quando Sammy trasforma il suo bullo delle scuole superiori in un eroe in un film per il ballo di fine anno.

Il ragazzo mette Sammy con le spalle contro il muro: come si permette di trasformarlo così, di togliere i suoi difetti e renderlo un protagonista per cui fare il tifo? Quel momento ci ha ricordato una delle scene più belle di un film dei fratelli Coen. Non Ave, Cesare!, anche se è un altro ottimo film che parla dell’arte di fare cinema (o Inside Llewyn Davis, in cui l’arte è la musica ma l’amore è lo stesso). Parliamo del momento in cui John Goodman guarda con occhi diabolici John Turturro in Barton Fink, autore di teatro finito a Hollywood. Sei solo un turista con una macchina da scriveredice con disprezzo. Che diritto hai di raccontare queste storie, quando sono i tuoi personaggi a viverle?

john goodman barton fink

Tanto i fratelli Coen che Spielberg sanno che il potere nelle mani del regista è enorme. I narratori ancestrali, che raccontavano le storie ai nostri antenati agli albori dell’umanità, erano sciamani capaci di creare persone e battaglie con il solo dono della parola. Se anche altre specie sanno comunicare, raccontare è una prerogativa umana. È un arte. Ed è splendido vedere che i più grandi registi del mondo non la danno per scontata.

Perché è una magia. Anche se, come diceva John Ford, l’unica cosa che serve davvero a realizzarla è una telecamera.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, Nerd da prima che andasse di moda.

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