Mancano ormai pochi giorni al 17 Aprile, quando saremo chiamati a votare per il referendum che è stato soprannominato “No-Triv”, e stiamo vivendo nella confusione mediatica che si accompagna immancabilmente a queste situazioni. Prima di qualsiasi considerazione però, a costo di cadere nell'ovvietà, ci sembra doveroso ribadire quale sia l’oggetto del referendum.
Esistono delle piattaforme per l’estrazione di gas e petrolio al largo delle coste italiane (66 in totale), le quali si dividono in due categorie: entro le 12 miglia (22,2 chilometri) dalla costa e oltre le 12 miglia dalla costa. Il referendum riguarda unicamente le prime, 21 per la precisione. Per estrarre queste risorse le società interessate (Eni sostanzialmente) hanno chiesto delle concessioni. Per come stanno le cose ad oggi queste concessioni hanno la durata iniziale di 30 anni, prolungabili poi ulteriormente per un numero fissato di anni. Scaduta anche l’ultima proroga la società può chiedere la concessione per continuare l’estrazione fino all'esaurirsi del giacimento. Solo quest’ultimo step della procedura verrebbe abolito se dovesse vincere il sì al referendum, causando la chiusura degli impianti nel giro di 20 anni. Ci sembra importante inoltre dare un’idea dell’entità della posta in gioco: noi produciamo nel nostro paese, grazie all'estrazione a terra e in mare, l'11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno nazionale rispettivamente di gas e di petrolio. Rispettivamente il 3% e meno dell’1% del fabbisogno vengono prodotti dalle piattaforme soggette a referendum.
Si sono dunque creati due schieramenti: quello a favore del Sì (cioè i No-Triv), rappresentati dal comitato Ferma le Trivelle, e quello a favore del no (cioè i Pro-Triv), rappresentati dall'associazione Ottimisti e Razionali. Ma quali sono le motivazioni a supporto di questi due schieramenti, e soprattutto su cosa sono basate? Per schematizzare possiamo dividere la questione Trivelle in due diversi aspetti, uno più ideologico-politico e uno più tecnico-ambientale.
Per ammissione degli stessi sostenitori del referendum, questo ha un forte carattere simbolico. Si vuole spingere il governo a investire di più sulle fonti di energia rinnovabili, e meno sui combustibili fossili, e questo referendum potrebbe essere un’occasione importante per esprimere il pensiero della popolazione in merito. Secondo i sostenitori del No tuttavia questo deve essere un passaggio graduale, che non verrà incentivato dalla chiusura di queste piattaforme, ma che deve partire da gesti quotidiani di risparmio energetico e consapevolezza dei propri consumi.
A questo si affianca la questione del turismo. Le zone in cui sono situati questi stabilimenti sono spesso turistiche e balneari, il comitato a favore del Sì ritiene che tali impianti deturpino il panorama. I sostenitori del No tuttavia obiettano che proprio le zone più interessate (la riviera romagnola in particolare) hanno un turismo fiorente e in crescita.
I Pro-Triv si mostrano inoltre preoccupati dalla disoccupazione che un esito positivo del referendum creerebbe, sostenendo che le attività estrattive diano lavoro direttamente a 10.000 persone, e indirettamente a 100.000. Non è chiaro tuttavia se questi dati si riferiscano alle sole piattaforme off-shore o alla totalità dell’indotto. L’altro schieramento obietta tuttavia che danni causati da queste attività al turismo potrebbero portare una disoccupazione ancora maggiore, in quanto l’economia delle zone costiere interessate si basa nettamente più sul turismo che sull'estrazione di gas e petrolio. Fanno inoltre notare che le chiusure avverrebbero nell'arco di 20 anni, nei quali si potrebbero quindi ricollocare questi lavoratori. A questo proposito facciamo notare che la FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici), contrariamente a ciò che ci si potrebbe aspettare, supporta il Sì al referendum.
Come avrete intuito queste argomentazioni di carattere ideologico sono molto opinabili. Anzi, spulciando la rete alla ricerca di informazioni ci siamo imbattuti fin troppo, da entrambe le parti, in articoli retorici e sensazionalistici, con il chiaro scopo di convincere il lettore coi paroloni, senza effettivamente dargli strumenti per crearsi una propria opinione, e poca, poca, poca effettiva informazione. Non c’è chiarezza di dati, tutti i dati che si trovano vengono forniti da una delle due parti interessate, e non da fonti governative, e ciò è molto grave. Paradossalmente non c’è nemmeno chiarezza su quante siano le piattaforme interessate dal referendum. 21 secondo le fonti più imparziali, ma il sito di Ottimisti e Razionali sostiene che siano 31.
Ma l’aspetto nel quale si fa più grave la mancanza di dati certi è quello tecnico-ambientale. Insomma, queste piattaforme danneggiano l’ambiente? Greenpeace sostiene di sì, e lo fa in un rapporto molto dettagliato, con dati e percentuali di inquinamento relative ai vari parametri, basato su dati richiesti esplicitamente da Greenpeace al Ministero dell’Ambiente. La cosa grave tuttavia è che questi dati non sono reperibili pubblicamente. Si può soltanto leggere il suddetto rapporto di Greenpeace, e la risposta di Ottimisti e Razionali, i quali sostengono che i parametri su cui l’intero documento è basato riguardino le acque di laghi, fiumi e bacini interni, inapplicabili alle acque marine. Senza essere degli esperti, e senza dati originali alla mano è veramente difficile stabilire dove stia la verità, anche in questo aspetto prettamente tecnico nel quale, a logica, essa non sarebbe opinabile.
Uno scontro che non porterà di certo al lancio di galassie, ma che sicuramente sta alzando un polverone.
Noi come sempre vi invitiamo a leggere tutto ciò che vi abbiamo linkato, cercando di crearvi un’opinione il più possibile informata, che deve essere alla base di ogni voto consapevole, ma ci troviamo tristemente a constatare che si tratta di un’impresa per nulla facile e questo, ci teniamo a sottolinearlo, è grave. La domanda "Con chi credete di avere che fare?" questa volta non è retorica.
Non fatevi trascinare dalla facile propaganda (da entrambe le parti) e cercate di votare (andate a votare, sempre) il più consapevolmente possibile, allora si che arriverete fino alla Luna. Volete sapere quale è la nostra posizione sulla faccenda? Tenete d'occhio il nostro editoriale!
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Grazie mille per le informazioni ON! Era ora che sentissi delle informazioni imparziali, grazie!
Ottimo lavoro!
Gran lavoro, vi ringrazio per le delucidazioni!
Tecnicamente no, l’articolo non è imparziale.
Il referendum, nello specifico di tipo abrogativo, è uno strumento di democrazia diretta, facente parte della nostra costituzione.
Questo strumento prevede che, previa la raccolta di 500.000 firme, si possa porre ai cittadini una semplice domanda: volete abrogare la legge X ?
Orbene quando i membri dell’assemblea costituzionale scrissero questo strumento pensarono di inserirvi una “clausola” chiamata quorum, che impedisce a una piccola quota (20,30,40%) di cittadini di abrogare una legge che influenza tutti.
Concludendo, fa parte dei miei diritti NON andare a votare un referendum che non mi interessa o peggio che non voglio che passi.
Quindi l’articolo non è imparziale perché, invitare ad andare a votare un referendum abrogativo, equivale a schierarsi dalla parte dei SI.
Al link sotto trovate un estratto dal verbale dell’assemblea costituente, dove è contenuto quanto ho detto.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10209689359858607&set=a.1211415813377.2034002.1468210863&type=3&theater
Se i contrari fossero così sicuri del NO, andrebbero tutti a votare NO battendo il SI’.Battere il SI’ sommando quelli che non votano di proposito a chi effettivamente non va a votare per pirgrizia/impegno/disinformazione/altro motivo, sarebbe un po’ come dire “ti piace vincere facile?”Se sono così contrari, che abbiano il coraggio e che si mettano d’impegno nel fare una campagna pro NO, e non contro il voto. Così sarebbe una votazione alla pari che rispecchierebbe nel modo più attendibile il desiderio della popolazione.Il quorum è stato inserito per rendere attendibile la votazione di un referendum, non per falsarlo. Sfruttare il sistema del quorum per far decadere un referendum per mancanza di voti secondo me è estremamente scorretto.Credo che Orgoglio Nerd intendesse questo quando ha detto di andare a votare comunque. Che poi in questo caso (e in molti altri) andare a votare NO equivalga a votare SI’, è colpa dei sostenitori del NO che come sempre “imbrogliano” invitando a non votare. Colpa loro se il NO equivale al SI’.
Vittorio, a me sembra che tu non abbia capito il punto di Giovanni: cerco di esplicitarlo con un caso limite: se andassero a votare il 50%+1 degli aventi diritto (quota minima per il raggiungimento del quorum), esiste solo un caso per cui la maggioranza degli italiani abbia effettivamente deciso di abrogare la legge: cioè che TUTTI votino sì. In qualsiasi altro caso si tratta di una minoranza della popolazione italiana che decide per tutti. Se io penso che la legge vada bene così com’è, ho quindi tutti i diritti di non ritenere nemmeno utile la votazione, quindi sta al comitato promotore dell’abrogazione riuscire a convincere il 50%+1 degli aventi diritto, dando per scontato che chi non è interessato non andrà a votare.
Il non andare a votare funzionerebbe al posto del “no” solo se tutti quelli che vogliono far vincere il “no” non andassero a votare. Ma così non sarà, molte persone andranno a votare “no”. Perciò il quorum verrà probabilmente raggiunto, ed allora conteranno solo i voti. E indovina un po chi non è andato a votare “perché tanto non votare o votare no è lo stesso”? Pertanto chi non va a confermare il suo “no” votandolo, favorisce il “si”.