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Ready Player One. L'universo di OASIS è arrivato

Ready Player One, l’ultimo lavoro di Steven Spielberg, mantiene quello che promette: è una celebrazione spettacolare degli anni ’80 e ’90 con un trionfo di citazionismo assoluto. Si appoggia su un sostrato di critica sociale, spingendosi su quesiti filosofici (in particolare il rapporto tra il mondo reale e quello virtuale) tutto in salsa assolutamente spielberghiana.
Il libro da cui il film è tratto (ne abbiamo già parlato qui) è uscito nel 2011, e la storia è quella di un ragazzino che vive in una baraccopoli americana, povero e senza genitori, con una zia e il suo compagno violento e stupido. Ma il disagio sociale ormai ha divorato l’intera nazione e all’umanità non resta che fuggire in un mondo virtuale, senza la minima spinta a migliorare quello reale. Il mondo è brutto, ingiusto e inquinato, le persone però non hanno smesso di cercare qualcosa di bello ed emozionante, ma non hanno più motivo di farlo nel qui e ora.
Perché dovrebbero quando esiste OASIS: un immenso programma/gioco di ruolo virtuale dalle potenzialità illimitate, dove è possibile essere la versione migliore di sé: con un avatar che non sia quello che siamo ma quello che vorremo (più attraenti, più alti, con arti bionici…), avendo la possibilità di fare qualsiasi cosa, dal giocare a uno sparatutto a studiare i diari di Halliday.
Un mondo dove non conta chi sei e da dove vieni, un mondo democratico, in cui guadagni in base a quanto sei bravo: ma appunto se incontri qualcuno ancora più bravo di te puoi perdere tutto costringendoti a ricominciare da capo.
I creatori di OASIS sono Ogden “Og” Morrow (Simon Pegg, altrimenti noto come King of the Nerds) e, la mente dietro alla sua progettazione, James Halliday (Mark Rylance). Halliday, genio dalla personalità delicata, muore e nel suo testamento lascia OASIS a chi riuscirà a superare tre prove ricche di significato.
Il film è strutturato su due filoni: metà con attori in carne ed ossa, che segue il filo di ciò che accade nel mondo “reale” e metà dentro OASIS completamente in CGI.
Sono due in particolare le scene in cui i mondi entrano in contatto: una in cui due personaggi ballano in una discoteca di OASIS in un tunnel a gravità zero discutendo delle differenze sostanziali tra questo mondo e l’altro (forse solo Spielberg sarebbe riuscito a rendere comprensibile una scena del genere?) e una dove si compie un inganno in cui il mondo fittizio viene fatto passare per reale. (Stiamo cercando di mantenere questa recensione spoiler free, abbiate pazienza, quando lo vedrete capirete).
È una dinamica piuttosto impressionante: non è difficile immaginarci attaccati a qualcosa di molto simile a OASIS in un futuro prossimo, e purtroppo nemmeno il futuro distopico qui rappresentato di una società lacerata dal disagio sociale, e sotto il controllo di poche multinazionali che corrono a spartirsi il bottino, non sembra poi così inverosimile.
Ogni citazione che vi possa venire in mente legata alla cultura popolare degli anni ‘80 è stata infilata in questo film (dal cinema alla televisione, dai libri alla musica); varrebbe la pena di rivederlo più volte per cercare di coglierne quante più possibile. È pressoché impossibile trovarle tutte al primo colpo, ma potrebbe essere una sfida molto divertente. (Questi nerd sempre a pensare a giocare.)
 
Ma forse la vera grande citazione qui è Spielberg che cita sé stesso e le modalità narrative dei decenni d’oro del cinema anni ’80 e ’90: un ragazzino “sfigato” che viene da una situazione familiare difficile, che con l’aiuto del suo party di amici riesce a sconfiggere – grazie soprattutto alle sue capacità sopra la media che si rivelano nel corso della storia – a sconfiggere il cattivo. Un cattivo che sembra quasi disneyiano da quanto sia assolutamente “classico” e un forse un filo stereotipato, ma che ben rappresenta e parodia una determinata mentalità affaristica senza scrupoli, lontana da qualsiasi cura per il benessere della collettività.
1521570954 Ready Player One
C’è da chiedersi come si troveranno con questo film le nuove generazioni, quelle digiune da tutta la cultura pop di decenni che non hanno vissuto. Probabilmente potranno godersi comunque questo gusto estetico revival che va molto di moda oggi, magari andando poi a recuperare quello che è stato pur non avendolo vissuto in prima persona, in un’operazione un po’ nostalgica.
Per i deboli di cuore, questo film non è privo di una certa tamarraggine alla Michael Bay, che trionfa nella scena iniziale della corsa di auto. L’impressione in quel momento è quella di assistere a un gameplay: qui si compie la sintesi tra videogiochi e cinema.
Ma il film non è ovviamente un videogioco, nonostante flirti moltissimo con questa idea.
Particolarmente divertente è il momento in cui si supera di diverse lunghezza il concetto di citazione: Shining diventa estremamente invadente nella sceneggiatura in un gioco molto godibile.
Spielberg insomma nel suo ultimo lavoro rivaleggia un po’ con il sé stesso degli anni ’80 ma anche un po’ con tutti gli altri che hanno fatto del citazionismo una cifra stilistica degli ultimi anni, lanciandosi però a tutta velocità verso nuove frontiere, nel XXI secolo.

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Francesca Giulia La Rosa

Trekker, whovian. Non amo le etichette (a parte queste?). Traduttrice, editor a caccia di errori come punti neri nel tessuto della realtà. Essere me è un’esperienza profondamente imbarazzante.

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