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Prison Pit: la mia vita si spegne e la vista si oscura

Sangue, brutalità e morte.
Questo è quello che offre la prima copertina della serie fumetto Prison Pit aprendo a pagine e vignette che lasceranno un segno indelebile, nel bene e nel male, nella vostra capacità di giudizio. Un’opera che divide, scuote, risveglia, sbigottisce e alla fine obbliga a sorridere (i più temerari ad applaudire).
Sangue, brutalità e morte.
Era il lontano 2009 quando Johnny Ryan, il creatore dell’opera, getta le basi per la re-definizione dell’alternative comics e presenta al mondo “Prison Pit: Book one”. 
Dopo sei anni, quattro volumi al seguito e una serie animata, Prison Pit prende a pugni in faccia chiunque abbia un parere contrario, non ne riconosca la genialità o decida di relegarla a pura e semplice volgarità.
Fa della semplicità narrativa un must e si gode appieno l’amplesso. La trama scorre cosi lentamente che praticamente non esiste, ma non se ne avverte affatto la mancanza.
Il protagonista si chiama Cannibal Fuckface (in italiano tradotto con l’eleganza di Cannibal Faccia di Cazzo) un enorme bruto con la testa ricoperta di sangue che viene gettato su un pianeta morente abitato solo da  creature dalle forme e protuberanze più disparate. Da qui inizia il suo viaggio-carneficina in un crescendo di violenza, disgusto e  non-sense.
Sangue, brutalità e morte.
L’incipit iniziale è semplice e una volta avviato non si ferma più. Non c’è un attimo di pausa nella narrazione. 
I dialoghi sono pochi e quelli presenti sono ridotti a ironia demenziale e volgarità da strada. Ryan non racconta attraverso le parole ma attraverso la lotta e la depravazione racchiuse e schematizzate in quattro vignette per pagina. 
L’opera è un grosso e unico palcoscenico su cui viene decantata e lodata un’unica dea: la violenza.
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Non importa come essa venga generata, ogni mezzo ha la sua strofa. Armi, artigli, seghe, corde, brufoli, escrescenze, peni, vagine, sangue, vetri, braccia, vermi iniziano una lista che sarebbe troppo dispendioso completare.
Le creature sono fatti di carne, di pezzi e vengono trattati alla stregua di giocattoli montabili. I corpi vengono tagliati, trucidati, smembrati al ritmo della pura fantasia e sempre da essa vengono rimodellati e ricomposti per generare nuovi mostri. Tutto si modifica, niente cambia.
L’autore si diverte a farci sguazzare in un calderone di perversione e disgusto facendoci assaggiare ogni sua singola pietanza raccontata con la scorrettezza storica che lo caratterizza. 
Cannibalismo, stupro, omicidio, coprofagia, parassitismo, fetish. Niente ci viene risparmiato insegnandoci che non solo il più forte sopravvive, ma anche il più spietato.
In definitiva Prison Pit è imprevedibile. È un incubo che cambia quando ti accorgi della direzione che stai imboccando. È una storia che non racconta ma si racconta, fatta di mostri, sesso e rock and roll. 
E con le parole dell’autore riassumiamo quanto detto finora e chiudiamo: 
This is a fucking book about monster men beating the living shit out of each other”.
Sangue, brutalità e morte.
Notizia di servizio: In America la serie è arrivata al quinto volume nel 2014 ed è diventato un classico del fumetto indipendente, fonte di spunto per le nuove leve. In Italia invece sono giunti solo i primi due capitoli che sono stati raccolti in un unico volume intitolato “Il pozzo di sangue” permettendo cosi a Fuckface di espandere il proprio dominio anche da noi. 

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Mattia Russo

Laureato in Comunicazione, Marketing e Pubblicità per farla breve, e aspirante giornalista. Curioso per natura, dalla vena impicciona, tendo a leggere qualsiasi cosa, con un'inclinazione al fantasy. Non sono uno che ama i silenzi e parlo troppo. Pace.

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