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Perchè prevedere i terremoti è così complicato?

La tragedia che ha recentemente colpito il nostro paese è soltanto la più recente delle occasioni nelle quali ci siamo trovati frustrati, arrabbiati di fronte all’apparente inevitabilità di fenomeni come un terremoto. Parte della frustrazione è nei confronti delle istituzioni, per via della mancanza di misure di sicurezza, per i danni e la perdita di vite umane, ma c’è anche altro. 
In un mondo nel quale abbiamo la sensazione di sapere tutto, e di stare per scoprire tutto ciò che non sappiamo; di poter riparare tutto, e costruire meglio ciò che non è riparabile; di essere onnipotenti e plasmare la natura a nostro piacimento, è terribilmente frustrante non poter prevedere una cosa come un terremoto, ma perché è così difficile?
Innanzitutto, se per terremoto si intende il movimento dei blocchi di crosta terrestre su cui abbiamo costruito le nostre case e le nostre città, i terremoti accadono incessantemente. La terra è in continuo movimento, con una frequenza e un’intensità che dipendono ovviamente dall’area geografica nella quale ci troviamo. Detto questo, ciò che noi veramente vogliamo quando parliamo di “previsione del terremoto” è  la previsione di un evento sismico di entità tale da arrecare danni alle costruzioni. Questo cambia sostanzialmente le cose. Ad esempio, alcuni studiosi ritengono che l’entità di un terremoto venga determinata soltanto ad evento già in corso. Come la personalità da adulto di una persona non può essere determinata a tre anni, perchè dipende anche da tutto ciò che avverrà nella sua vita, allo stesso modo quando il terremoto ha inizio non sarebbe possibile sapere quanto sarà intenso, neanche se avessimo la sfera di cristallo. Questa è soltanto una teoria, terrificante, ma soltanto una teoria, per darvi un’idea di quanto ancora sia spessa la nebbia che ci separa dai risultati che vorremmo. Poniamoci invece nel “migliore scenario”, quello ritenuto più probabile: all’inizio dell’evento sismico, la sua entità è determinata, ed è possibile scoprirla, soltanto che noi allo stato delle cose non sappiamo farlo. 
Due sono le strade che potrebbero portarci ad un risultato, e che i ricercatori del campo stanno percorrendo da decenni: l’approccio probabilistico e quello deterministico. Non si tratta semplicemente di due tentativi di fare la stessa cosa, ma di due metodi completamente differenti, per ottenere cose completamente differenti.
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La probabilità nella scienza è sempre un potente alleato, da prendere con le pinze. L’approccio probabilistico è quello che scrive le mappe sismiche, basandosi sui dati storici di un luogo, e sulle conoscenze geofisiche che possediamo della crosta terrestre sottostante. Se sappiamo ogni quanto la terra trema in un certo luogo geografico, possiamo sapere qual è la probabilità che lo faccia di nuovo. Naturalmente tutto ciò è basato su modelli matematici, e dati geofisici, ma si parla pur sempre di una probabilità che ha senso considerare soltanto su scale di tempo di decenni. Sembra inutile, no? Noi vogliamo sapere quando evacuare la gente, vogliamo le previsioni del terremoto come quelle del tempo, ma in realtà questi dati sono importanti. Dire “c’è una probabilità del 30% che avvenga un terremoto distruttivo nei prossimi 50 anni, in questa zona” sembra un’informazione inutile, ma dovrebbe muovere le risorse economiche, ed è vitale. 
In realtà si sta provando a trasportare questa tecnica sulla scala di settimane, se non giorni, tramite l'Operational Earthquake Forecast (OEF). È logico che, parlando di settimane, le probabilità in gioco diventino molto molto minori. Sapere che la prossima settimana la probabilità che avvenga un terremoto devastante passa da “praticamente impossibile” a “estremamente improbabile” non significa di certo evacuare le persone dalle case, ma potrebbe significare una prova di evacuazione in più, un ripasso delle norme di emergenza sul posto di lavoro, cose che comunque possono salvare vite. 
Fra l’altro l’Italia è leader nello sviluppo di questa ricerca. Nel 2000 a Faenza, Emilia-Romagna, si sono verificate una serie di scosse appena percettibili, ma l’OEF indicava un aumento nella probabilità che un sisma di grosse dimensioni avvenisse. Il comune ha quindi predisposto alloggi in tenda per chi non si sentiva al sicuro a casa sua, e distribuito istruzioni su come comportarsi in caso di emergenza. Il sisma non si è verificato, ma se fosse successo molte vite sarebbero state salvate
Il secondo approccio, quello deterministico, è quello che potrebbe fornirci i mezzi per prevedere il terremoto nel senso che tutti noi immaginiamo: saperlo qualche ora prima, evacuare gli edifici, prepararci all’evento. Sostanzialmente si ricerca un segnale precursore che arrivi prima del terremoto (ore, giorni, settimane) e ci avvisi: una serie di scosse di minore magnitudo, un cambiamento chimico del suolo, qualsiasi cosa va bene, purchè funzioni. Molti sono i candidati, ma ad oggi nessuno è pienamente soddisfacente.
È come vedere una goccia d’acqua ferma sul vetro della finestra mentre piove. Sai che cadrà, puoi spiegare fisicamente perchè cadrà, e sai che lo farà nel giro di due o tre secondi, ma è incredibilmente difficile determinare se ce ne metterà 2.45 o 2.47. Lo stesso vale per i terremoti, soltanto che invece dei secondi abbiamo i secoli, e purtroppo sapere che il terremoto avverrà nel giro di un paio di decenni non ci basta. 

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Giada Rossi

Laureata in Astronomia, aspirante Astrofisica. Curiosa di natura. Scrivo soprattutto di scienza, ma preferisco parlare di cani buffi.

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