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Ernest Egg: una porta su un universo alternativo

Abbiamo fatto una chiacchierata con i creatori di questo curioso personaggio e del suo mondo fantastico.

Ernest Egg è il protagonista principale di un affascinante progetto (non solo) editoriale tutto italiano. Un personaggio molto speciale, caratterizzato da un design originale e da un mondo estremamente ampio intorno a lui. Un universo che si è sviluppato negli anni in diversi media e che punta a raggiungerne altri ancora nel futuro. Ci siamo fatti raccontare tutto su di lui dai suoi due ‘papà’ Francesco Polizzo e Stefano Bosi Fioravanti.

Una chiacchierata allegra, in cui abbiamo indagato sui progetti futuri del personaggio, la sua psicologia e alcuni dei più affascinanti aspetti delle sue ultime avventure. Trovate tutto di seguito. Buona lettura!

Yenzeim Ernest egg polizzo bosi fioravanti fumetto yulan

Partiamo dalla domanda più classica: chi è Ernest Egg?

F: Ernest Egg è difficile da declinare in pochissime parole, però ci provo. Fondamentalmente è un figlio di nobili che fra l’Ottocento e il Novecento si affaccia sulla Rivoluzione industriale. È in un momento di transizione e sente su di sé il peso del nome che porta. Lui (o meglio la sua famiglia) è anche un coltivatore di broccoli, proprio a causa di questa variazione dalla aristocrazia alla industrializzazione.

Ernest quindi rifugge questo passato e si nasconde nella sua anima giovanile. Si definisce cacciatore di leggende, diventa uno scienziato, vuole diventare un esploratore famoso in tutto il mondo. Continua a mantenere uno sguardo da bambino, pur non essendo più propriamente un bambino.

Questa è una definizione del personaggio dal punto di vista caratteriale e se vuoi biografico. In realtà Ernest Egg è il bambino che ci portiamo dentro un po’ tutti quanti. Quella meraviglia che non deve mai mancare per non cedere alla disperazione della quotidianità. Un concetto un po’ più alto rispetto a quello che in realtà è. Alla fine è un fanfarone che fa cose divertenti e le racconta nella forma del diario.

Almeno, lo fa per la prima parte del progetto proprio perché chi legge non ha la possibilità di confrontarsi con delle altre fonti. Noi leggiamo le parole di uno che potrebbe essere un esaltato come invece una persona che racconta dei fatti veri.

“…uno scimmione ocra che fa il beatbox…”

Nel progetto ci sono commistioni di tutti i tipi. Claudio Di Biagio, regista del cortometraggio sul personaggio – che tra l’altro dopo tanti anni rilasceremo proprio fra qualche giorno – parla sempre di echi di Big Fish e in generale le tematiche di Tim Burton. Ovviamente io, avendo più dii quarant’anni, tutte quelle sensazioni di Tim Burton le ho vissute in diretta, quando era al massimo splendore come regista.Però dentro c’è veramente tantissimo. Abbiamo BeatMonkey, ad esempio, che è uno scimmione ocra che fa il beatbox. Quindi si parla di Ottocento ma poi è un Ottocento fantastico.

Nella particolarità del progetto c’è il fatto che siamo partiti prima dal character design e poi dalla storia. Cosa che quasi mai capita, perché di solito c’è lo scrittore che ha un’idea e poi chiede a qualcuno di visualizzarla.

“… siamo molto più buffoni che Indiana Jones…”

Stefano e Jack Venturelli, un altro illustratore e grafico mi hanno proposto questa immagine di Ernest Egg. Non aveva né un nome, né un passato, né una biografia e nel giro di una nottata sono nati nome, personaggio, origini e il modo di raccontarlo. Perché per evitare una copia dell’esploratore di turno, l’idea è stata quella di unirlo alla comicità degli anni ’50. In realtà questo lo avvicina di più a noi tutti: siamo molto più buffoni che Indiana Jones. Poi magari qualcuno si lancia dal tetto e vola eh, ma io queste cose non le faccio e immagino neanche la maggior parte dei lettori.

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È sempre complicato definirlo perché dentro ci sono stimoli, che arrivano da 35 anni di letture, visioni, viaggi… Oserei dire che Ernest Egg sono un po’ anche io, ma lo è anche Stefano, perché il processo creativo tra me e Stefano è molto particolare. Ci siamo conosciuti tramite Jack Venturelli a una Lucca Comics & Games del 2012 e poi abbiamo iniziato queste deliranti sessioni di telefonate, visto che per lavoro sono spesso in viaggio. I primi due anni di lavoro ci siamo visti forse due volte dal vivo, anche perché ci sono circa 2000 km di distanza tra le nostre città. Ma visto che il tema è il viaggio, non ci siamo mica spaventati.

Ernest Egg ha un design visivo molto particolare. Stefano, vuoi raccontarci da dove nasce? Qual è l’ispirazione che ti ha portato lì?

S: Anche questa non è una domanda semplice. Sono sempre stato convinto che esistessero degli stereotipi e studiando character design mi sono reso conto che è così. Ci sono grammatiche specifiche da seguire quando si vuole fare un prodotto per un certo tipo di target. Visto che sono ragionamenti un po’ demoniaci, quando disegnavo Ernest…

O meglio, il primissimo Ernest l’ha disegnato il mio collega Jack. Io inizialmente mi occupavo perlopiù degli altri personaggi e del loro sviluppo in 3D manuale, tipo stop-motion. Poi da lì ci sono state una serie di evoluzioni, Jack si è estromesso dal progetto perché non poteva proseguire per ragioni personali. Così Ernest è stato ridisegnato da me e con lui la grafica che lo caratterizza.

Quindi quando io e Giacomo, seduti a un tavolino a chiacchierare, pensavamo insieme ai primi personaggi volevamo ibridare sicuramente i toys giapponesi con qualcosa di molto più nostro e molto più concreto. Non volevamo le teste grosse, non volevamo gli occhi abnormi, non volevamo rispettare certe anatomie per i bambini… Volevamo sicuramente stupire con qualcosa che fosse nuovo e a tratti divertente.

Per questo i personaggi di Ernest sono fondamentalmente tutti piatti: sono molto larghi e bidimensionali. È una cosa che fa molto ridere quando li vedi di profilo o di tre quarti. È un qualcosa di non dico inedito (Spongebob ha la stessa anatomia, per esempio) ma quantomeno sorprendete da vedere su forme umane.

“…altre regole ce le siamo inventate…”

Abbiamo deciso di adottare le quattro dita rispetto alle cinque. È un processo preso dall’animazione: anulare e medio si muovono spesso insieme, quindi per risparmiare sono state accorpate e sono diventate un dito solo. Poi questa regola è stata grammaticalizzata e quindi è diventato bello avere personaggi con quattro dita, ma in realtà nasce da una necessità. Quindi abbiamo deciso di adottare questa cosa molto comoda e simpatica e abbiamo disarticolato le braccia. Ci sono una serie di regole che abbiamo rispettato, altre che abbiamo scardinato, altre regole ce le siamo inventate.

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Gli stimoli sono veramente tantissimi. In quel periodo eravamo veramente fan – ma lo siamo ancora inutile raccontarci storielle – della fotografia dei film di Wes Anderson. Sono davvero in linea con quello che immaginavamo noi per Ernest, quindi l’idea di riprendere determinati toni, di riprendere un certo tipo di simmetria ce l’avevamo. Poi è diventata buffa, poi l’abbiamo cambiata facendola diventare nostra, però è sicuramente un punto di partenza.

E poi ci siamo noi che comunque abbiamo un percorso di studi, abbiamo iniziato la nostra carriera professionale, abbiamo disegnato e quindi ci sono anche i nostri caratteri. Molti dei personaggi nascono davvero in maniera buffa. Mi viene in mente l’idea del Lisciarriccia, un mostriciattolo peloso che mangia la brillantina e si pettina e ha dei bellissimi baffi.

“…volevamo ibridare Marylin Monroe e i mariachi…”

Il Lisciarriccia nasce dai mariachi messicani. Noi volevamo ibridare Marylin Monroe e i mariachi, bestializzandoli. Così abbiamo tirato fuori il Lisciarriccia a livello di design. Volevamo qualcosa che fosse vanitoso da un lato, bello, sicuramente biondo e dall’altra volevamo che fosse rude, rustico con degli enormi baffi. I personaggi come dicevo sono molto molto articolati. Ogni personaggio in qualche modo rappresenta qualcosa anche dal punto di vista del design.

Tutto questo lavoro iniziale di creazione di personaggi si è poi tradotto in tanti progetti diversi. Questo personaggio e il suo universo sono assolutamente crossmediali. Il punto di partenza da un certo punto di vista è stato il primo Diario di Ernest Egg…

F: Sì, tieni conto che il progetto editoriale è stata la base di partenza perché io già sceneggiavo fumetti. Poi in realtà già dal primo contatto con il pubblico a Lucca, quando avevamo solo i modelli di Stafano fotografati e digitalizzati, le persone richiedevano a gran voce la stop-motion. Pensavano fosse un progetto video e nel frattempo noi ci figuravamo già il gioco da tavolo e i peluche, che sono arrivati dopo.

Si può dire che il respiro di Ernest è diventato da subito crossmediale, anche se in effetti è il Diario il primo passaggio. Poi nella prima campagna di crowdfunding che abbiamo fatto le persone che si sono unite al progetto, come Claudio, penso a Michael Klubertanz, che è il compositore, provenivano dal mondo del cinema. Quindi il passaggio alla parte di stop-motion è stato fondamentalmente naturale. Ci veniva richiesto questo sostanzialmente. Il Diario è stata una parentesi nel mondo che stiamo cercando di sviluppare.

“…utilizziamo tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, ma anche quelli che non abbiamo…”

S: Fondamentalmente stiamo cercando di creare un’icona, un mito pop, dato che sentiamo il nostro Paese abbastanza carente in questo momento da quel punto di vista. Per farlo utilizziamo tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, ma anche quelli che non abbiamo. Quindi il cinema, con tutte le persone che sono salite a bordo e che ci stanno permettendo piano piano di realizzare qualcosa di grande.

Poi appunto ci sono merchandising, gioco da tavolo, l’editoria, che ci viene facile perché è quello che sappiamo fare… Insomma stiamo cercando di espandere il più possibile questo immaginario e renderlo più credibile possibile attraverso diversi mezzi.

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In questo periodo siete attivi in particolare con la campagna per Yenzeim. Vedo questo progetto un po’ come una chiusura del cerchio nel lato editoriale di Ernest Egg. Abbiamo avuto il primo Diario con Ernest, poi In Scena che era il racconto di una leggenda all’interno dello stesso mondo e ora questo. Yenzeim è un qualcosa di molto particolare, che lascerei spiegare a voi, ma va un po’ a ricollegarsi a entrambi i lavori editoriali su Ernest Egg.

F: Vero. Ritorniamo sempre al discorso del progetto creativo, della genesi delle idee. Qualche volta durante le presentazioni, dico che mi sento più un giornalista che riporta su carta quello che Ernest mi racconta, più che uno scrittore che inventa le sue avventure.

Per noi è come se fosse un universo parallelo, dove ogni tanto apriamo la porta e andiamo a fare una passeggiata da quelle parti. Anche se in realtà io e Stefano siamo entrati in quel mondo e non ne siamo più usciti. Fa strano perché sia noi che il pubblico parliamo sempre di Ernest come se fosse una persona reale. Da una parte è divertente, dall’altra un po’ inquietante.

Yenzeim è l’idea di ricollegarci a una metanarrazione che chiuda il cerchio, come dicevi, tra la realtà di Ernest, che è quella parallela alla nostra, e le leggende del suo mondo, che possono essere equiparate a Harry Potter del nostro. Poi c’è un livello ancora superiore, che è quello in cui Ernest Egg nella sua realtà conosce una leggenda e decide di tradurla dallo Yulan. Questa è una lingua creata da Matteo Bonin insieme a Stefano con delle sessioni belle toste, partite dalla classica domanda con cui di solito parto io o parte Stefano: “E se Ernest…? E se il mondo di Ernest…?”. È un continuo what if.

“…uno sbruffone, che traduce quindi una lingua che non conosce…”

Yenzeim racconta questa leggenda del mondo di Ernest Egg. È tradotta però da Ernest che è uno sbruffone, che traduce quindi una lingua che non conosce, dando un nuovo significato a quello che era il racconto di In Scena. Quindi è veramente la chiusura di un cerchio. O meglio, un primo cerchio narrativo.

Questo perché in realtà io e Stefano da sempre stiamo lavorando anche al secondo Diario. Sta diventando quasi fantomatico ma solo perché siamo impegnati su più fronti e siamo solo io e lui. Anche solo fare una campagna di crowdfunding comporta la creazione di materiali, una gestione quotidiana di contatti, situazioni… Abbiamo un piccolo team di persone che ci danno una mano, però è un progetto molto complesso.

Alla fine non abbiamo un gruppo editoriale alle spalle che ci supporti. Abbiamo un pubblico che tra l’altro è una community nata spontaneamente intorno al progetto. Tutto è piuttosto difficile, ma cerchiamo di andare avanti e portare il progetto a più alte vette.

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S: Aggiungo una cosa sul lavoro di ricerca sul mondo di Ernest. Ci siamo accorti che spesso gli universi narrativi vengono approfonditi con il supporto di professionisti e specialisti di altri settori. Questa cosa mi ha sempre affascinato non tanto per l’inserimento dell’elemento reale nel mondo fantastico, quanto per la possibilità di esplorare delle tematiche del reale piegandole alle regole del mondo fantastico in cui si trovano e comunque raccontare delle cose che hanno un valore.

“…armonie vocaliche…”

Noi abbiamo questo caro amico linguista con una laurea magistrale in armonie vocaliche, lo specifichiamo sempre. Per chi ne capisce qualcosa ha un significato, per tutti gli altri sono assolutamente parole vuote

(risate)

F: Ma suonano bene!

È quello il concetto di armonia vocalica, no?

S: Sì, esatto. (ride) Parlando con lui ho scoperto quanto determinante sia il ruolo di una lingua all’interno di un tessuto sociale. Così nasce il maledetto what if che ci ha rovinato le notti: “E se Ernest imparasse a parlare…? Ma se inventassimo una lingua per il mondo di Ernest?”.

In qualche modo mancava l’aspetto un po’ legato all’archeologia in Ernest. Che somigliasse un po’ a quelle immagini forti di Indiana Jones nei templi quando si trovava di fronte a testi indecifrabili. Una cosa molto affascinante che volevamo riportare nel mondo di Ernest. Qui nasce lo Yulan.

Piccolo spoiler: se questa cosa dell’approfondimento dovesse funzionare, seguiranno altri approfondimenti. Non tanto in lingua, anche se sarebbe bello e non lo escludo, ma con altri professionisti. Il secondo Diario di Ernest Egg impiega molto tempo a uscire anche per altre ragioni. È un progetto molto ambizioso anche quello. Vorremmo rivolgerci a un botanico poiché si parla di intelligenza delle piante nel libro. Appunto, tematica reale applicata al mondo fantastico.

A proposito dello Yulan. Per chi legge fantasy o comunque un certo tipo di letteratura, come me o come molti nostri lettori, non è raro incontrare lingue inventate. Però mi sono sempre chiesto come funzionasse il processo di creazione di un linguaggio. Materialmente che percorso avete seguito?

S: Della parte grammaticale se ne occupa Matteo, mentre della parte creativa ce ne siamo occupati insieme. Successivamente ci siamo confrontati con Francesco. Materialmente funziona che ci troviamo seduti a un tavolo e chiacchieramo: “Ma questa parola come dovrebbe suonare? Quali sono i suoni di questa ipotetica lingua? Che concetti esprime questa lingua?”.

Ti faccio un esempio: in italiano la parola coraggio deriva dalla parola cuore. Quindi il coraggio ha a che fare con il cuore. Questo ha un significato e una carica poetica non indifferente. Nello Yulan abbiamo deciso di accostarlo invece allo stomaco. Questo perché ci siamo calati nel contesto di chi la parla, cioè del Piccolo popolo.

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Ci siamo trovati con un tipo di società, seppur fantasiosa, che rimanda a un immaginario feudale in Cina. Una società caratterizzata da un certo tipo di gerarchie, una certa concezione politica, gerarchica e strutturale e quindi, creando le cose, creando le parole ci siamo ritrovati a riflettere su questi aspetti.

“… c’è qualcosa di più profondo da ricercare nelle lingue…”

Mi faceva notare Matteo per esempio che un discorso importantissimo va fatto sui colori. In greco antico – correggetemi se faccio degli strafalcioni – il colore del mare e il colore del vino avevano un solo termine per essere indicati. Quindi questa cosa può significare o che il vino era blu (tremendo!) oppure che c’è qualcosa di più profondo da ricercare nelle lingue e nel modo in cui le persone chiamano le cose.

Così abbiamo fatto con lo Yulan, con ogni parola incontrata nel testo di In Scena. Poi chiaramente inventi una parola, vuoi non approfondire, inventare il suo contrario? Poi grammaticalmente lo Yulan prevede casi, è una lingua agglutinante, quindi la parte creativa sta nell’inventare le radici della lingua, poi la parte grammaticale ti impone di attaccarci degli altri pezzetti per dare significato alle cose. Ti ritrovi quindi con parole molto diverse da quelle che avevi pensato. È normale, lo fa ogni lingua agglutinante.

Un lavoro molto affascinante. Questa idea del ‘narratore imperfetto’ invece, se così possiamo definirlo, come nasce? Qual è stata la scintilla che vi ha portato a questa idea?

F: L’idea originale in realtà non la ricordo. Tu Stefano la ricordi?

S: Penso che sia stato semplicemente un seguire il carattere di Ernest, cioè un rispettare il personaggio.

P: Ripeto, alle volte sembra quasi che dipendiamo da lui. So che sembra un’esagerazione, però nelle varie chiacchiere che facciamo io e Stefano (a parte quando cerchiamo di conquistare il mondo come Mignolo e Prof.) è uscita fuori questa idea di un impegno di del protagonista, ‘alla Ernest-maniera’. Cosa farebbe con un testo scritto in Yulan per accreditarsi presso la comunità scientifica e culturale del suo Paese?

Apro e chiudo una parentesi: Ernest è un predestinato. Nasce nobile e sa che per la vita dovrà essere nobile, ma in un contesto in cui le cose stanno cambiando. La biografia del padre di Ernest peraltro non è ancora per nulla completa, ma è una persona con cui Ernest ha difficoltà di comunicazione, come tutti i figli con i propri genitori. Tutto però in un contesto molto particolare.

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“…Ernest Egg dovrebbe prendere in mano in un futuro (ma non il suo futuro) le redini dell’azienda di famiglia…”

I nobili perdono il vantaggio nobiliare di per sé, perché l’avvento di nuovi ricchi nella Rivoluzione Industriale comporta dei passaggi incerti. Per la prima volta devono lavorare. Il padre quindi ha vissuto i vantaggi di una vita agiata da nobile a un certo punto ha dovuto fare i conti con le ristrettezze economiche. Ernest Egg dovrebbe prendere in mano in un futuro (ma non il suo futuro) le redini dell’azienda di famiglia e questo è un peso.

Quindi da una parte c’è la gravità del padre, dall’altra la levità del protagonista. Ernest preferirebbe rimanere a bighellonare come un qualsiasi trentenne di oggi. Non so se può darti una mano per comprendere da dove partiamo quando Ernest rifugge nel mondo fantastico. Lo fa perché ha un destino segnato e lui non vuole quel destino.

Vuole cambiarlo, essere protagonista e questo lo porta a esagerare un po’ su tutto. E quindi dice: “Ma perché non provare a tradurre in Yulan, tanto sono capace. Chi è più bravo di me? Chi è meglio di me?”. Ha un forte ego, che però deriva da un rapporto conflittuale con il padre.

“…Ernest Egg non raccoglie la foglia piegandosi a terra, ma fa le capriole e poi la prende…”

Anche questo ci muove a pensare delle cose come le farebbe Ernest. Come dice sempre Claudio, Ernest Egg non raccoglie la foglia piegandosi a terra, ma fa le capriole e poi la prende. Che non ha nessun senso: se ti cade qualcosa la raccogli piegandoti, non facendo una capriola, prendendola lanciandola e poi riprendendola in mano. Quindi nelle avventure animate, che ci auguriamo siano tante e numerose in futuro, Ernest fa queste cose.

In natura gli animali riducono lo sforzo energetico, se possono stanno sul divano tutto il tempo. È legato proprio al movimento, al moto, all’energia dell’universo oserei dire. Ernest se ne frega e fa le cose esagerando. Da lì forse è nata l’idea, nel delirio delle chiacchierate che di solito facciamo con Stefano e in questo momento stiamo facendo con te. Puoi capire quindi un po’ l’approccio che ci porta alla realizzazione dei progetti finali.

S: Quello che abbiamo cercato di fare fin dall’inizio è stato creare personaggi che fossero il più possibile accurati. Dovevano avere valori, caratteri forti, motivazioni, storie personali. Questo perché a noi non piacciono i personaggi strumentali. Ci piace di più per affrontare un determinato tema calare un personaggio in un contesto, piuttosto che piegare un personaggio a quelle esigenze narrative. Ernest è tutto fuorché una macchietta.

Per questo pensiamo spesso a lui come a una persona vera e vale per ogni personaggio. Claudio ci dice sempre che ogni personaggio del mondo di Ernest meriterebbe uno spin-off. Ci troviamo in difficoltà a dover ridurre quello che abbiamo immaginato per un personaggio nei suoi modi di fare o nei suoi tatuaggi o nel suo modo di vestire. Quello che cerchiamo di fare è raccontare tante piccole cose attraverso dei dettagli. E poi quando abbiamo spazio, in maniera libera.

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Guardiamo verso il futuro. Sappiamo che ci sono tante cose in cantiere. Quali saranno i prossimi passi del mondo di Ernest Egg?

F: Stiamo cercando di portare avanti diverse linee legate al progetto. Stiamo lavorando al soggetto del film. Ci ha preso tantissimo tempo, ma siamo alle battute finali. Questo perché siamo partiti dalla materia narrativa, ma poi ovviamente il media è differente e sostanzialmente poi c’è il rischio o di sbagliare o di snaturare.

Però questo è insito nel gioco: se leggi Il Signore degli Anelli o vedi solo il film le esperienze sono differenti. Ci sarà sempre chi è più contento o scontento di una forma o l’altra. Io sono dell’idea che bisogna tradirla. Quindi siamo partiti con quello con Stefano, con Claudio e con Francesco, che è una persona che ci sta dando una mano in questa fase. Fa un po’ il ‘mister No’ della situazione. Quindi man mano abbiamo maturato delle idee che venivano o cassate o accettate e siamo andati avanti.

Questa è il progetto a più lunga scadenza. Per quanto la sceneggiatura possa essere pronta in qualche mese, poi ci sarà una parte di pre-produzione, produzione e post-produzione che sarà sicuramente importante. Stiamo cercando di fare un film in stop-motion, che in Italia non si fa, con un respiro internazionale e con una produzione alle spalle che mira a una distribuzione mondiale.

Può sembrare una cosa da esaltati, ma in realtà il team di produzione che sta alle nostre spalle ha già una distribuzione per un altro film a livello mondiale. Non è campata in aria. Ovviamente i tempi del cinema, le situazioni che si innescano, la produzione… Come puoi immaginare non è come un libro dove io e Stefano ci diamo delle tempistiche e portiamo avanti nel mezzo dei tanti impegni questa cosa.

“…un altro pezzettino di crossmedialità aggiunta: il teatro…”

Per i progetti più vicini c’è una riduzione di In Scena/Yenzeim in uno spettacolo di teatro/danza con delle musiche originali, curate da Michael. Probabilmente ci saranno anche delle parti di testo che sono legate anche all’audiolibro che stiamo cercando di portare avanti attraverso la campagna su Eppela. Anche questa è una cosa in divenire ma che potrebbe vedere la luce, quindi un altro pezzettino di crossmedialità aggiunta: il teatro. Poi stiamo lavorando al gioco da tavolo e poi stiamo lavorando alla seconda avventura editoriale di Ernest. Questo mentre portiamo avanti le nostre vite.

Quindi ci sono diversi progetti. Il gioco da tavolo per esempio viene sviluppato, con un altro paio di elementi, che hanno competenze quasi trentennali nell’ambito dei giochi da tavolo. Probabilmente queste e il Diario sono le opere che sono più vicine temporalmente. Anche se per noi il tempo può essere anche più lungo.

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Avremmo potuto cavalcare l’onda e tirare fuori un secondo Diario un anno dopo. In realtà ci stiamo prendendo tutto il tempo necessario perché quello che stiamo creando è un mondo complesso. Vogliamo che le persone si affezionino al personaggio e sappiano gustarsi i prodotti così come hanno fatto con il primo Diario di Ernest Egg. Tornando a rileggerlo e chiedendo a gran voce altro come fanno normalmente i fan.

Se la prima stagione di una serie TV è andata bene io aspetto anche cinque anni prima di vedere la seconda, ma quando vedo la seconda dev’essere superiore, non inferiore. Questo è il mio punto di vista, magari poi non ci riusciremo. La base sulla quale muoviamo le nostre attività creative sono quelle di riuscire a soddisfare poi chi alla fine sostanzialmente sostiene il progetto comprando e spendendo dei soldi.

E con questo la nostra chiacchierata è conclusa. Ringraziamo ancora una volta Francesco e Stefano per la loro disponibilità e gli facciamo un grande in bocca al lupo per il futuro di Ernest Egg!

Se volete saperne di più sul mondo di Ernest Egg seguite il progetto su Facebook, o date un’occhiata alla campagna di crowdfunding.

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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