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Ok che scrivi. Ma che lavoro fai?

Oh-oh-oh, Buon Natale.
Ebbene sì, siamo finalmente arrivati "in odor" di Natale e questo è l'ultimo numero del Licantropo prima che un uomo barbuto e sorridente, cui non farebbe male saltare qualche pasto, si lanci in un volo supersonico per distribuire doni ai bambini del mondo. So cosa state pensando ma, no, non si tratta del Rinoceronte.
In nostro amato direttore non sorride MAI.
Con l'approssimarsi del viaggio scientificamente impossibile (vi rimando ad una spassosa teoria sull'argomento) del caro San Nick, ecco crescere in me quel senso di disagio-misto-terrore che, da qualche anno a questa parte, emerge sempre contestualmente alla messa online del Santa Tracker di Google. E non è che io odii il Natale in quanto tale, sia chiaro. Come tutte le persone sane di mente, infatti, apprezzo il clima di transitoria benevolenza che contraddistingue il periodo. Diamine, faccio perfino l'albero. Un filino raffazzonato (leggasi "con decorazioni comprate in fumetteria") – ve lo concedo – ma lo faccio. Allora cos'è che genera in me questo senso di ansia esistenziale, genere "catastrofe imminente"?.
Va bene, va bene, basta girarci intorno.
Lo spettro che aleggia sulle rovine del mio orrore natalizio risponde al nome di "parentado".
Una volta, credeteci o no, non avevo la barba, e vivevo la sera della vigilia come un momento di gioia assoluta. Sant'Odino, l'anno in cui mi regalarono il Super Nintendo (sì, sono un filino "vintage"), continuai a sognarmi il momento dell'assalto ai doni per almeno una settimana. Poi, ecco arrivare l'adolescenza, e con essa il terribile fardello della domanda parentale: "…ma ce l'hai la fidanzatina\o?".
Chiaro, quella che vi sto sottoponendo è solo una situazione tipo – una delle più frequenti – ma sentitevi liberti di copia-incollarci mentalmente qualsiasi quesito, più o meno imbarazzante, lanciato da parenti semisconosciuti, evidentemente determinati ad ignorare il vostro radicato senso della privacy.
E' passato qualche anno, e con il mutare del profilo del mio mento irsuto, sono cambiate anche le domande, anche se l'imbarazzo, cacchio, quello è rimasto sempre lo stesso. Ora, con i tempi che corrono, la domanda preferita di zii ghignanti e cugini alla lontanissima (dei quali si fatica a ricordare nome e collocazione geografica) è diventata: "…ma, a proposito, che lavoro fai adesso?". 

Zoi2as
Che lavoro faccio…bella domanda, grazie.
Jerry, chiedo l'aiuto del pubblico.
Ed eccomi, al tramonto dei vent'anni (per non dire all'alba dei trenta), a balbettare:
"Mah, scrivo…".
Ed ecco un cugino austroungarico che, prontamente, ribatte:
"Sì, eh? E che scrivi?".
Palloni da calcio di sudore sulla fronte.
"Lavoro ad un progetto…scrivo di argomenti inerenti alla nerd culture…poi lavoro per diversi portali online che trattano di videogiochi, produco diversi progetti multimediali e….".
Interviene allora uno zio vestito da cosacco e vistosamente alticcio:
"Cioè, ma ti pagano per fare 'ste cose qui?".
Una transumanza sudorifera mi attraversa la barba, genere esondazione del Rio Grande.
"Bé no. Cioè, sì. Voglio dire…alcuni mi pagano, dipende dal progetto, dal momento….cioè, stiamo crescendo insieme….".
Di nuovo il cugino austroungarico, arricciandosi i baffi come un cattivo del cinema muto.
"E come arrivi a fine mese? – sorriso mellifluo – Coi soldi di papà, eh?".
A questo punto la portata massica delle vene sulla mia fronte raggiunge il punto critico, e comincio ad assomigliare a un semaforo con la barba.
"No, veramente no. Mi occupo anche di comunicazione e gestione eventi per l'Università, in più scrivo…".
"Ma, almeno lì ti pagano?"- zio indefinito.
"Bè, sì…ma non è quello che voglio fare per tutta la vita. Mi piace scrivere di cose che interessano a me, non ad altri…".
Silenzio tesissimo.
"Sì, vabbé. 'Se' hai un lavoro 'vero' tienitelo stretto, co' 'sta crisi…" – indistinguibile massa parentale.

A questo punto mi si aprono dinnanzi due possibili scenari:

  1. Estrarre un ciocco in fiamme dal braciere e malmenare i due fino al 6 di gennaio.
  2. Sfoggiare il mio miglior sorriso evasivo, indicare un punto a caso con la faccia stupita ed allontanarmi sfruttando il mio alto punteggio nell'abilità "Nascondersi".

Per evitare di diventare il protagonista del cinepanettone "Natale a San Vittore", opto per la seconda possibilità, segnandomi il nome dei due (supposti) consanguinei e sussurrando, tra me e me, le parole "valar morghulis".
Sono certo che, arrivati a questo punto della lettura, una buona percentuale di voi affezionatissimi si sarà riconosciuto, almeno in parte, nello scenario che ho appena dipinto.
Mi dispiace, avete tutta la mia comprensione.
Forse è vero, siamo disoccupati 2.0, che – inspiegabilmente – non arrivano a fine mese pur lavorando 12 ore al giorno. Io, comunque, non mi arrendo. Non accetto l'onta della cialtroneria. Io credo in quello che faccio, perché mi rende felice (il più delle volte, almeno).
Quindi, ragazzuoli, non vi fate abbattere dalla storia del "figlio del Giangi, che a 26 anni già staccava 3000 euro al mese in banca". Investite in voi stessi, cercate di assecondare le vostre passioni e fate quello che vi rende felici. D'altronde anche il buon Confucio, collega barbuto, era solito dire: "scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita".
In ogni caso, se durante il cenone vi trovate alle strette, fate come me. Ignoranza e ottusità sono nemici troppo feroci per essere battuti senza un'adeguata pianificazione.
Quando, la sera del 24, i miei lontani cugini – oriundi irlandesi – mi chiederanno "...ma tu che lavoro fai?", allora io, con sguardo fiero e piglio deciso, risponderò: "bè, sai com'è, spaccio….".

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