Non riusciva assolutamente a smettere di sorridere.
Quella era stata, con assoluta certezza, una delle settimane più orribili che ricordasse nella sua vita, c'era perfino stato un momento, intorno a mercoledì o giovedì, in cui ferma nel suo letto con la sveglia che le urlava improperi dritta nell'orecchio, aveva pensato di non alzarsi. Perché sapeva che spostando quelle lenzuola tutto ciò che di brutto ronzava intorno a casa sua si sarebbe subitamente abbattuto su di lei; eppure alla fine si era decisa e aveva scampato per un pelo un incidente con un pullman…
Tutto sommato le era andata bene.
Le bollette che non voleva pagare erano arrivate di primo mattino nelle loro buste bianche e linde, azzimate come camerieri in una casa di aristocratici, pronti a versarti altro vino seppur a caro prezzo. La guardavano dal ripiano vicino al telefono e lei si chiese come fosse possibile che un foglio di carta piegato potesse esprimere così tanta aspettativa. Le ignorò, aveva imparato a farlo bene e inoltre era in ritardo, era l'ultimo giorno di lavoro prima del week end e il capo l'aveva convocata perché “aveva bisogno di parlarle”. Quanto odiava le volte in cui le persone le dicevano che “avevano bisogno di parlarle”, non potevano semplicemente dire quello che avevano da dire?! Era davvero necessario creare quell'atmosfera di greve mistero, neanche dovessero svelarvi il segreto dell'universo. Naturalmente quella frase faceva scattare nella sua mente il tasto dell'ingiustificato senso di colpa: anche se era sicura al 100% di avere la coscienza pulita, cominciava a scavare a fondo per ricordare quale grossolano e fatale errore avesse fatto e per il quale sarebbe stata sicuramente punita. Era sistematico. Sarà stato perché a sette anni ho inavvertitamente fatto esplodere un mortaretto in cucina? Eppure ero sicura di aver pulito il pavimento senza lasciare traccia!
Per fare più in fretta prese un caffè d'asporto al bar sotto casa. Mentre camminava spedita verso la macchina teneva con una mano la borsa, con l'altra le chiavi e il bicchierino, tentando al contempo di aprirne il coperchio per versarvi una bustina di zucchero. Non sopportava il caffè amaro.
Erano anni che si esercitava in quella procedura eppure quel giorno, forse per un colpo di vento, forse per un colpo di sfiga, ci mise troppa forza e metà del liquido scuro le si rovesciò dritta dritta sul vestito.
Imprecò e neanche tanto sottovoce. Ormai non aveva più tempo per tornare indietro a cambiarsi, sperava che la macchia si mescolasse con i giochi di colore della gonna nuova, che aveva indossato per l'occasione. Non ci credeva molto ma preferiva ingannare se stessa.
Passarono le ore, passò il meeting, passò tutto.
E,dopo tutto, non riusciva proprio a smettere di sorridere.
Ferma davanti allo scaffale della libreria era semplicemente felice. Accarezzò le copertine dei libri, quelli belli e quelli brutti, in quel momento non le importava il loro valore culturale, voleva solo assaporare la sensazione. Ne prese uno senza guardarne il titolo, lo sfogliò, lo annusò, lesse l'ultimo paragrafo.
Poi, stette.
“A giudicare dal tuo sorriso quel libro dev'essere stupendo”. Si voltò di scatto verso il ragazzo che la guardava sorridendo. Aveva un aspetto semplice e sembrava davvero interessato al romanzo che lei aveva in mano. Che cos'ho in mano? Che cos'ho in mano? D'improvviso voleva proprio fare bella figura. Abbassò lo sguardo sul libro: Norwegian Wood. Panico, non sapeva assolutamente di cosa trattasse.
“Bè.. E..ecco, sì, cioè… Molto, ehm, sì.. Dark.” Scema!
Da come la guardava capì che non se l'era bevuta ma, forse per gentilezza, le dava corda. Rimasero fermi, guardando il libro, lo scaffale, un po' anche il soffitto.
“Ah, gran bella macchia, comunque” le disse facendo cenno col capo verso la gonna.
Lo guardò un istante e poi entrambi scoppiarono a ridere.
Non smisero di conversare per molto, molto tempo.
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