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Nerd to Africa: riflessioni sulle difficoltà della divulgazione scientifica

Date la possibilità a un nerd di inseguire una passione e questo vi si lancerà dentro con anima e corpo. Permettetegli di inseguire questa passione girando in jeep per la savana accompagnato dalla musica di Indiana Jones e avrete il ritratto della felicità. Concedetegli anche la possibilità di parlare di scienza e avrete il perfetto riassunto della nostra esperienza africana. Siamo appena tornati dall’Africa, dopo un soggiorno di un mese presso un resort italiano sulla costa keniota, passato a destreggiarci tra escursioni naturalistiche ed educazione ambientale. Ma se da un lato il Kenya ci ha offerto la possibilità di vivere e scoprire luoghi inimmaginabili, dall'altro ci ha anche messo di fronte alle difficoltà  che si incontrano nel promuovere la divulgazione scientifica in una società che tende a preferire il nascondere la testa per celarsi alle difficoltà, che il reale operarsi per risolverle.
Ma procediamo con ordine. Siamo stati scelti come primi membri di un progetto di ricerca italiano che promuove l’educazione ambientale tramite la presenza di biologi in alcuni resort del mondo, per accompagnare escursioni naturalistiche, spiegando sul campo i diversi ecosistemi incontrati e l’importanza, la necessità, della loro salvaguardia. E non c’è posto migliore del Kenya per iniziare un progetto del genere: tra le sue foreste tropicali, lo scorcio sull'Oceano Indiano e le centinaia di chilometri di savana offre probabilmente uno tra i paesaggi naturali più selvaggi ed incontaminati al mondo e quindi più adatti al nostro scopo. Ironicamente è anche uno dei luoghi maggiormente ignorati e sottovalutati. Perché se lentamente la popolazione locale, per povertà, mancanza d’istruzione ed alternative, sta disperatamente andando a distruggere uno dei pochi luoghi di questo pianeta dall’aria ancora respirabile, il villeggiante medio è troppo pigro anche solo per rendersi conto delle meraviglie che lo circondano. L’abbronzatura è diventata più importante dello scoprire un luogo sconosciuto, postare un selfie in una piscina di lusso più interessante di uova di tartaruga deposte la sera prima proprio sotto al lettino. Il primo problema con cui abbiamo avuto a che fare è stato lo stesso di ogni divulgatore scientifico: trovare un modo per destare l’attenzione. E se la proposta di un’escursione di snorkeling accompagnata e arricchita da chi ha passato metà della propria vita a studiare specie marine non ha inizialmente avuto successo, il riformulare l’offerta banalizzandola ad un semplice “Andiamo a fotografare le stelle marine?” ha riscosso le adesioni a noi necessarie per iniziare a parlare di ciò che ci sta a cuore, la tutela del mare in questo caso. Siamo l’era dei social ma basta davvero un espediente così banale per ricevere in cambio attenzione?  
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Una volta acquisiti fiducia e interesse, un’ulteriore difficoltà non è stata tanto farsi ascoltare, quanto riuscire a far permeare il problema ambientale. La scienza di ogni tipo è figlia della curiosità, la caratteristica umana per eccellenza, per questo siamo sempre propensi a imparare cose nuove soprattutto se possiamo toccarle con mano. Ma una cosa è imparare, un’altra è prendere a cuore tematiche sociali. Troppo spesso le questioni relative alla tutela ambientale vengono liquidate come esageratamente allarmanti o remote. “La morte dei coralli causata dall'aumento della temperatura sta facendo morire l’intero ecosistema marino? Ho problemi più importanti io a cui pensare! E  spero che quei soldi li investano in qualcosa di più utile che nel cercare di salvare qualche pesce!”. E questo è solo un esempio delle tipiche frasi che abbiamo ascoltato in quel periodo. Discorsi del genere valgono per qualsiasi tipo di tematica educativa, volta a creare un qualche tipo di consapevolezza, sia essa scientifica o sociale. Spesso siamo troppo concentrati sul piccolo universo che ci circonda - con noi stessi al centro -, per poter pensare di usare le nostre energie anche solo per capire un qualcosa che apparentemente può sembrare futile o remoto. Non è tanto egoismo, ma più una sorta di pigrizia che ci indispone, creando la convinzione che finché i nostri personalissimi ostacoli saranno lì ad attenderci, questi saranno talmente insormontabili da non lasciarci ulteriori energie da investire sul resto del mondo. In questo modo ci affidiamo troppo spesso a chi ci offre giudizi e sentenze “precotte” già pronte per essere condivise, che pigramente ci donano la parvenza di avere dati a sufficienza per esprimere pareri, senza però indagare o essere realmente informati. 
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Ovviamente non bisogna generalizzare. E con quello che abbiamo raccontato vogliamo semplicemente offrirvi un ulteriore modo per guardare all'educazione ambientale, e alla divulgazione scientifica più in generale, attraverso una delle nostre più dirette esperienze. La consapevolezza e l’adeguata informazione su ciò che ci circonda è, ora come ora, indispensabile per creare un adeguato bagaglio culturale. Che siano scie chimiche, vaccini o la noncuranza verso le questioni ambientali, dobbiamo sforzarci e mantenere accesa la nostra curiosità, coltivando la voglia di fare la differenza. Troppo spesso ignoriamo i problemi per pigrizia intellettuale e ancora più spesso abbiamo troppa fretta di esprimere un’opinione, per troppa fame di socialità, risultando totalmente disinformati. Ma se l’esperienza africana ci ha insegnato una cosa, è che bisogna trovare il coraggio per continuare a usare il cervello, credendo nella scienza e nell'informazione accurata, accumulando più prospettive possibili per affrontare al meglio il mondo che ci circonda. E voi che ne pensate?

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