In un anno dove non sono mancati i film discussi, Megalopolis è probabilmente uno dei maggiori esempi della categoria. Pet project coccolato per anni da Francis Ford Coppola, che ha cercato a lungo di farselo produrre prima di “arrendersi” e finanziare tutto da solo. Il debutto a Cannes lo scorso maggio attirò la curiosità di tutto il mondo, ma purtroppo il responso critico fu pressoché negativo. Lungo l’estate il film è tornato a far parlare di sé, grazie a particolari “stunt” come quello legato al suo trailer, e ora è finalmente qui, pronto a incontrare il pubblico italiano. Che però difficilmente vorrà ricambiare. Vi spieghiamo perché in questa recensione di Megalopolis.
Megalopolis recensione: di cosa parla il nuovo film di Francis Ford Coppola?
Questa storia si costruisce a partire da uno scontro, quello tra il geniale, eccentrico e visionario architetto Catilina che ha un ambizioso progetto per la città di Nuova Roma (una versione alternativa di New York) e il sindaco Cicero. Da questa battaglia si ramificano tutte le altre all’interno delle rispettive famiglie, che si intrecciano e si sovrappongono, in un turbinio di intrighi e tradimenti.
Gli oggetti del desiderio per cui combattere sono tanti. Si va dall’amore alla lussuria, dal rispetto dei genitori per i figli a quello dei figli per i genitori, da beni materiali come le immense ricchezze della famiglia Crasso, padroni delle banche, a quelli più immateriali come la realizzazione di un sogno, un fondamentale obiettivo capace di fermare (anche solo metaforicamente) il tempo.
Megalopolis è un grande lavoro di misdirection, dal punto di vista della sceneggiatura. Lungo le varie scene scopriamo un panorama che si allarga sempre di più, conosciamo nuovi personaggi e angoli del mondo che sembrano aprire nuove porte e complicare ulteriormente quello che stiamo vedendo. Promesse di un intrigo gigantesco che porterà a una conclusione esplosiva dove tutta la pressione accumulata deflagrerà con potenza.
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E invece la cruda realtà è che ci troviamo davanti a un racconto che – almeno sul piano narrativo – non è così complesso. Senza entrare nei dettagli per non fare spoiler, il grande conflitto che si monta esplode sì, ma più come una bolla di sapone che come un ordigno nucleare, in un finale straordinariamente anticlimatico, che lascia davvero a bocca aperta. Ma più per il senso di vuoto che di sincero stupore.
Forse ci dice di più – involontariamente – a livello metatestuale
Come detto, se da un punto di vista narrativo Megalopolis è piuttosto semplice e lineare, lo stesso non si può dire dell’aspetto più metaforico e simbolico. Tutta l’opera è infarcita di riflessioni, analisi, pensieri complessi da decifrare, che sembrano volutamente complicati e respingenti. Se Megalopolis fosse stato un libro, ci saremmo trovati a tornare indietro di qualche riga e rileggere la pagina più e più volte.
C’è poi naturalmente tutto l’aspetto dei richiami all’Impero Romano, su cui si costruisce il grosso dell’immaginario del film. Questo parallelismo tra quell’epoca di gloria sull’orlo della decadenza e una (veritiera o presunta, lasciamo a voi decidere) simile situazione per gli Stati Uniti però è piuttosto scontato. Senza contare che sul pubblico italiano ha decisamente meno presa: citare gli scontri tra Cicerone e Catilina non ci riporta alla cultura più alta, quanto piuttosto alle versioni di latino del liceo.
Ma forse la vera lezione di Megalopolis, che vale la pena esplorare in questa recensione, è quella che possiamo scoprire nella sua metatestualità. C’è stato un momento nella proiezione di Cannes – e che alcune sale stanno replicando (qui un esempio ma occhio agli spoiler) – in cui davvero si prova ad andare oltre la quarta parete. E sebbene non sembri davvero volontario forse è un indizio della strada da seguire.
Perché questo film diventa molto più affascinante se ci allontaniamo. Se vediamo non la storia che racconta, ma quella di un autore che racconta quella storia, che dovrebbe essere in parte anche di sé stesso.
Che parla di drammi familiari coinvolgendo membri della sua stessa famiglia nella rappresentazione, che racconta di un genio egocentrico e visionario autoproducendosi. E lasciando tanti piccoli nei qua e là che con un team solido intorno avrebbero probabilmente aiutato a dare forma a questa visione.
Megalopolis, la recensione: è davvero tutto qui?
Ma provare a dare una lettura di questo tipo, per quanto possa diventare un gioco interessante, sarebbe un modo troppo comodo di proteggere questo film. Che per quanto sia l’evidente prodotto degli sforzi di un autore che ha realizzato degli straordinari capolavori della settima arte, qui non è riuscito a colpirci.
La cosa davvero sorprendente è che non lo ha fatto neanche in maniera particolarmente negativa. Sì, ci sono degli aspetti che non possiamo davvero salvare. Un esempio è il reparto degli aspetti visivi che spesso è carente anche se siamo propensi a chiudere un occhio, viste le complicate condizioni in cui è stato sviluppato il film. Ma in generale è un film che ci lascia davvero poco: non è neanche uno straordinario pasticcio, un delirio allucinante che lascia sbigottiti e stravolti. Qualcosa da bocciare ma che ha generato emozioni fortissime, come alcune recensioni iniziali di Megalopolis potevano comunque far sperare.
È qualcosa di molto semplice che cerca di confezionarsi nella maniera più complicata possibile, che riesce a tenersi in piedi solo grazie a un cast straordinariamente ricco e ispirato (compreso il tanto discusso Jon Voight) ma non va oltre.
Ma in fondo Francis Ford Coppola ce l’aveva detto dall’inizio, che Megalopolis era “a fable“, una fiaba. E chissà che davvero un giorno non scopriremo che ha sempre avuto ragione lui.
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