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Logan: un cinecomic diverso da tutti gli altri

Che Logan, il terzo ed ultimo film dedicato a Wolverine nell'universo degli X-Men, sarebbe stato diverso da quello a cui siamo stati abituati in questi anni di invasione di cinecomic dovevamo aspettarcelo. Già il primo trailer, accompagnato dalla stupenda e malinconica Hurt di Johnny Cash, lasciava trasparire un approccio lontano dal solito, meno pop e più introspettivo, ed è proprio questo che troveremo nel film. Wolverine, dopo aver passato gran parte della sua esistenza in lotta con il mondo, si è arreso e cerca di tirare a campare, nascondendosi da tutti in compagnia del Professor Xavier, ultimo brandello di famiglia che gli è rimasto. Anche quest’ultimo è cambiato molto rispetto al Charles che conosciamo. L’età avanzata lo ha indebolito molto, soprattutto da un punto di vista mentale, portandolo a non essere completamente lucido, fatta eccezione per alcuni momenti di temporaneo ritorno all’antica gloria. È estremamente interessante notare come il rapporto tra questi due personaggi sia costruito sulla base di quello esistente tra un padre malato e un figlio che deve prendersi cura di lui, il tutto complicato dagli ovvi problemi che una mente come quella di Xavier può causare quando va fuori controllo.
James Mangold confeziona un film particolare, che presenta un lato nuovo di personaggi che ormai il pubblico credeva di conoscere alla perfezione, prendendo anche strade decisamente rischiose. Affidare al Professor Xavier la quasi totalità delle gag che dovranno fungere da comic relief è una scelta che farebbe rabbrividire qualsiasi fan degli X-Men, ma è stata attuata con bilancino di precisione e contagocce alla mano, ottenendo un risultato soddisfacente, che pur presentandolo in una luce completamente nuova, non snatura il personaggio. Questi strumenti sono stati utilizzati con cura anche nella gestione del lavoro di regia, curata in modo da essere evidente solo nei momenti necessari (principalmente le scene di azione più pura) e non farsi notare nelle altre sequenze, per lasciare più spazio possibile ai personaggi e alla loro interazione, vero focus del film. La sceneggiatura riesce a tenere bene il passo, nonostante in alcuni momenti scada leggermente nel recupero di alcuni cliché che, per quanto non facciano danni gravi all'impalcatura generale, stonano con l’impostazione “diversa” di tutto il film. Bisogna infine ringraziare immensamente il film di Deadpool per aver sdoganato il blockbuster Rated R, perché finalmente possiamo apprezzare un livello di violenza fisica e verbale finalmente consono al personaggio di Wolverine. Pur senza scadere nell'esagerazione, ci saranno momenti davvero forti che sono resi ancora più impressionanti dal mood del film.
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Menzione speciale va assolutamente fatta alla piccola Dafne Keen, capace di fornire una performance ottima, capace di emozionare anche nelle scene d’azione. Il vero campione del cast però è ovviamente Hugh Jackman. Per questa nona ed ultima interpretazione, l’attore australiano ha dato tutto sé stesso, deciso a chiudere degnamente un cerchio iniziato ormai 17 anni fa. Non ci si poteva aspettare niente di più e niente di meno da Jackman e sarà davvero difficile per la Fox trovare un degno sostituto per un attore che, nonostante le critiche ricevute quando fu scelto all’epoca, è riuscito a insinuarsi come il Wolverine definitivo nelle menti di tutti gli appassionati.
Insomma, Logan è senza dubbio uno dei cinecomic più interessanti degli ultimi tempi, proprio perché sa davvero poco di cinecomic. L’impressione è quasi di vedere un film indipendente sulla figura di un supereroe decadente, che tuttavia non usa un cast di personaggi generici, ma eroi che conosciamo più che bene. Che sia proprio questa la cura alla “stanchezza da supereroi” che l’ambiente cinematografico continua a prospettare per il futuro? Chissà, ma sicuramente è un buon modo per dire addio al Wolverine di Hugh Jackman.

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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Commenti

  1. È sempre agrodolce vedere Hurt di Trent Reznor passare per una canzone di Cash. Certo, è una cover molto diversa sia nella forma che nel significato ma è pur sempre il grido di dolore di un artista che merita di essere ricordato. Diciamo “interpretata” da Cash?

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