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L’incredibile Hulk: il film dimenticato del Marvel Cinematic Universe

Riflettiamo

Il 13 giugno 2008 usciva nelle sale L’incredibile Hulk, il secondo film di un neonato Marvel Cinematic Universe e speranza per quello che sarebbe divenuto poi quell’universo, anche senza di lui. Diretto da Louis Leterrier e con Edward Norton nei panni di Bruce Banner, il film è stata l’opera cinematografica che ha incassato meno nella storia del marchio. In seguito Norton è stato sostituito da Mark Ruffalo e del film in sé ci si ricorda poco e pian piano è caduto nel dimenticatoio. A tredici anni esatti, ci chiediamo se sia giusto che occupi l’angolo polveroso di quell’universo sfavillante.

L’incredibile Hulk: le premesse

L’incredibile Hulk aveva tutte le premesse per farcela. Concepito come un reboot del precedente Hulk di Ang Lee aveva nel suo roster attori di primo piano. Edward Norton in primis, anche se con un carattere caldo, sia sul set che in sala di scrittura, aveva reso una performance ben accolta, sia da pubblico che dalla critica; Liv Tyler ci provò, ma non riuscì; la durezza da fumetto di William Hurt risultò fuori luogo anche se poi lui sarà l’unico ad essere salvato nei film successivi; perfino lo sguardo folle di un Tim Roth a basso voltaggio rendeva come il titano di attore che è. La storia non era neanche una sorta di inizio, convogliato tutto nei primi flash iniziali, ma partiva già sulle sue gambe, non spiegava com’era nato Hulk, lo trasmetteva. La domanda allora ritorna forte come un pugno durante la ripresa: cosa è andato storto?

L'incredibile Hulk e Bruce Banner

La spavalderia dei muscoli

In un tempo in cui il Marvel Cinematic Universe neanche si chiamava così, l’idea di un nuovo film su Hulk sembrava estranea al loro modo di fare. D’altronde il mondo era pieno di supereroi, c’era da capire perché avessero voluto proprio uno di quelli che non potevano distribuire. Più un’idea da fumetto che cinematografica. Partiamo dallo scheletro: un reboot che per la poca spavalderia, quasi per timidezza, sembra essere più sequel che altro. Le nervature intorno alle ossa però sono diverse: stile più semplice, lineare, senza sconvolgimenti di trama, ma soltanto pensante a come racimolare più attenzione possibile per lo scontro finale. Ci sta, che la maggior parte del film sia di un piattume unico, se non nelle tre volte in cui ci sono scene di azioni. Si spera in film che mostri i muscoli e in centotrentacinque minuti li vediamo soltanto una manciata di volte. È poco.

Hulk: Spacca!

Già dall’inizio si capisce cosa succederà nel film. L’esercito americano non è una sfida all’altezza del gigante verde, si sa. Il Generale Ross è giusto l’innesco, perciò è frustrante che il film, per quanto ci provi, non colga mai davvero l’occasione per mostrarsi interessante, lanciando semi di frutti che mai attecchiranno. Leterrier è bravo a girare le scene d’azione, ma ne gira troppo poche. L’incredibile Hulk è stato costruito unicamente per il combattimento finale, unicamente per quella ragione. Così facendo si perde di vista la metafora che il personaggio rappresenta, una delle più abusate in letteratura: uomo-mostro. Si prova a fare un poco di introspezione e un poco di azione, riuscendo a non cogliere a pieno entrambi. Il film precedente non aveva aiutato. Come è solito fare in Marvel: se qualcosa non funziona, si cambia rotta e si dimentica.

L'incredibile Hulk confronta Blonsky

L’incredibile Hulk: la fine

Col tempo in Marvel hanno capito che ogni film doveva possedere uno stile diverso, un unicum, ma sempre seguente una linea comune. Vedere un film su Hulk fatto di sedute psicanalitiche, di paturnie (giuste per carità) e di soluzioni temporanee che ogni spettatore già sa che non porteranno da nessuna parte, non era proprio quello richiesto. È nella rabbia che Hulk rende al meglio, lasciatelo arrabbiare. Ci sta, però, un errore di gioventù dei Marvel Studios. Si impara per poi fare meglio. Con Ruffalo poi hanno aggiustato il tiro, anche se mai con un film su di lui (problemi di distribuzione). L’incredibile Hulk è un film spaccone che alla fine non spacca abbastanza.

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Mattia Russo

Laureato in Comunicazione, Marketing e Pubblicità per farla breve, e aspirante giornalista. Curioso per natura, dalla vena impicciona, tendo a leggere qualsiasi cosa, con un'inclinazione al fantasy. Non sono uno che ama i silenzi e parlo troppo. Pace.

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